Tom #nofilterCruise è la J.Lo dei maschi: ha gli stessi addominali e gli stessi denti che aveva a 25 anni

Mentre in un cinema accanto al Dams di Bologna guardavo quel miracoloso capolavoro che è “Top Gun: Maverick” (e piangevo, due volte), ho fatto anche una grande scoperta: ma questo è un soft-core per maschi omoaffettivi! Poi mi hanno detto che cani e porci avevano già scritto la stessa cosa, ma io me l’ero persa perché leggo solo me stessa

LaPresse/Daniel Cole

La prima cosa che ho fatto, uscita dal cinema dove avevo visto “Top Gun: Maverick”, è stata scrivere al mio critico culturale di riferimento chiedendogli come fosse possibile che nessuno avesse detto che era il film più busone dai tempi di “Point Break”. Sono stata rassicurata: l’avevano scritto cani e porci, me l’ero perso perché leggo solo me stessa.

Il mio critico culturale di riferimento era seduto vicino a me quattro anni fa all’Anteo, quando ho capito tante cose. Proiettavano per la stampa l’ultimo “Mission: Impossible”, io ero rapita dalla lunga scena dell’inseguimento in moto a Parigi, quello al termine del quale Tom Cruise salta su un motoscafo che passa sotto alla strada su cui pare essersi appena cappottato ma evidentemente doveva cappottarsi proprio lì per gettarsi sottoterra nel punto giusto (se siete come me, a questo punto avrete già smesso di leggere per correre a rivederlo; se posso rendermi utile: “Mission: Impossible – Fallout” è su Prime; prego, non c’è di che).

Il mio critico culturale di riferimento mi fissava attonito mentre io fissavo lo schermo rapita: ma da quando ti piacciono gli inseguimenti. Già, da quando? È la menopausa? È che mi piace vedere i soldi sullo schermo, e quanto gli sarà costato bloccare mezza Parigi per girare ’sta roba? O è che Tom Cruise sa essere una star del cinema e ormai quasi ogni altro no?

“Maverick” è una specie di miracolo: il film che mette d’accordo tutti. Non c’è uno che tornato da Cannes non me ne abbia detto meraviglie, e in America sta facendo incassi mai visti, non solo come cifre assolute ma come curva (tra il primo e il secondo weekend in genere il botteghino s’ammoscia; “Maverick” ha aumentato il numero di sale). È perché è Tom Cruise, l’ultima star del cinema, che non ha ceduto allo streaming e illumina lo schermo con quel sorrisone? È perché, dopo anni che non lo fai, perfino andare al cinema può sembrarti un diversivo appetibile? O è per la nostalgia canaglia?

Quando uscì “Top Gun” facevo il primo anno di liceo, e non sapevo niente. Non sapevo che il “Sapore di mare” che avevo visto pochi anni prima giocava sulla nostalgia per gli anni Sessanta che non si poteva non avere negli anni Ottanta. Non sapevo che l’“Happy Days” che avevo visto alle elementari faceva conto sul fatto che negli anni Settanta il pubblico avesse nostalgia degli anni Cinquanta. Non sapevo neanche di far parte della generazione che quel meccanismo l’avrebbe perfezionato: quella che si sarebbe inventata “Anima mia”.

Non sapevo niente della nostalgia, nonostante avessi squarciagolato quella, celeste, di Cocciante sull’ultima scena di “Sapore di mare”. E infatti non me ne importò niente quando, poche settimane dopo “Top Gun”, uscì un altro film con Tom Cruise, il seguito dello “Spaccone”, “Il colore dei soldi”. Adesso, se una quattordicenne mi dicesse che a lei cosa gliene frega del seguito di “Top Gun”, la manderei in un collegio militare.

Ho capito che “Maverick” era il capolavoro che tutti mi avevano annunciato al minuto uno, che è identico al minuto uno del “Top Gun” ormai splendido trentaseienne: la portaerei, e a tutto volume “Danger Zone” (la musicassetta con la colonna sonora di “Top Gun” la consumai). È tutto uguale senza sembrare forzato, e questa roba qui poteva riuscire solo a Tom Cruise, la Jennifer Lopez dei maschi: uno per cui il tempo non passa.

Forse avrei solo messo un altro attore a fare il capo dell’accademia che non sopporta “Maverick”, per quel problema delle serie televisive che ti appiccicano addosso un personaggio che poi non ti scolli più: Jon Hamm cazzia Tom Cruise, e tu ti chiedi cosa ci faccia Don Draper all’accademia della Marina militare.
Ma per il resto è un film perfetto, ho persino pianto due volte; una non vale perché è quando fanno vedere le immagini del primo film, la morte di Goose, per didascalizzare ai pesci rossi senza memoria che abitano questo secolo quanto gli volesse bene Maverick e quanto sia terrorizzato di ritrovarsi morto pure suo figlio, che è uno dei piloti che dovrebbe mandare in una missione semisuicida.

La seconda volta ho pianto quando tutto finisce bene – non ditemi che vi rovino la sorpresa: pensavate veramente che il seguito di “Top Gun” non avesse il lieto fine? – e il figlio del morto gli si avvicina dicendogli «Sir», e Tom Cruise risponde stritolandolo in un abbraccio che finalmente scioglie la tensione erotica con cui quei due ci stavano tormentando da due ore.

E poi, sì, bisogna citare la scena del football in spiaggia, quei dorsali e bicipiti unti di nessuna utilità narrativa ma indispensabili nel film più busone del secolo (le due donne pilotesse che sono state messe nel gruppo per non farsi dire «tutti maschi» in quella scena lì sono in penombra: siamo qui per fare del soft-core per maschi omoaffettivi, scansatevi con quei bikini). Se una macchina da presa indugiasse con tanto compiacimento su corpi seminudi femminili, in un film per famiglie di questo decennio, ci sarebbero interrogazioni parlamentari o giù di lì.

Ma, soprattutto, conta quel che sappiamo di Tom. Essendo una delle ultime star, Cruise è perfettamente consapevole che le cose che sappiamo di lui nella vita influenzano la nostra percezione di lui sullo schermo. Ma quali di queste cose? Non Scientology, suvvia, non importa più a nessuno: vale tutto, c’è gente la cui religione è dire che gli uomini possono restare incinti e le donne avere l’uccello, mica ci sconvolgeremo perché Cruise crede in una religione picchiatella né più né meno di quanto lo fossero le religioni prima del postmodernismo.

E neanche la sua bislacca vita sentimentale con annesse leggende ci turba, no. Non importa più a nessuno neppure che sia basso: non importa neanche a lui, che addirittura gira delle scene in cui Jennifer Connelly svetta in piedi e lui è accovacciato sulla moto; lontani i tempi in cui Kelly McGillis doveva appoggiarsi al lavandino in modo che lui, in piedi, sembrasse più alto di lei. È Tom Cruise, ha sessant’anni e gli stessi addominali e gli stessi denti che aveva a venticinque: che complessi vuoi che abbia?

La cosa che ci importa tra quelle che sappiamo di Tom, la cosa più rilevante che abbiamo appreso negli ultimi anni, è che lascia disoccupate le controfigure. Si fa le scene d’azione da solo, rischia in modo assurdo ogni volta, si rompe una caviglia saltando da un tetto all’altro e tocca fermare le riprese, i registi sudano freddo quando pretende di scalare davvero una montagna come fa il suo personaggio nel copione.

Quindi, quando vediamo le scene in cui i piloti risalgono a un’angolazione impossibile con una pressione in faccia da svenire, sappiamo che Tom l’ha fatto davvero, che quella faccia schiacciata dalla gravità non è un trucco.

Ho visto “Maverick” in un cinema di fianco al Dams, a Bologna. Pensavo fosse un gesto situazionista: dai, andiamo a vedere il filmone da popcorn nel covo degli intelligentisti. Quando sono uscita ho sperato che non lo proiettassero in quella sala per caso, che lo studiassero: è il testo tramite il quale capire che, se il mondo ti disabitua alla finzione narrativa e ti abitua alla vita in presa diretta su Instagram, poi se uno sa fare la star del cinema si adegua. Mi chiamo Tom Cruise, faccio il pilota della Marina per finta, ma lo faccio davvero: vieni a vedere come, no filter.

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