PiscialettissimoI ragazzini sono scemi, ma noi che ci adeguiamo ai loro tic siamo anche peggio

La Rai ha deciso di allinearsi allo spirito del tempo mandando in onda programmi sullo scontro generazionale. Ma è una formula già usata da decenni. La generazione dei giovani “che salveranno il mondo” ma che non sanno nulla lo ignora, gli altri fanno finta di nulla

di Markus Spiske, da Unsplash

Quando, venticinque anni fa, ho lavorato per la prima volta in Rai, la frase che sentivo più spesso dire era «I vecchi poi muoiono»: era la motivazione che i dirigenti si davano per il goffo inseguimento del pubblico giovane. Era una motivazione meno fessa di «questa generazione ci salverà» e altre puttanate che noialtri adulti diciamo dei ventenni d’oggi.

All’epoca noialtri ventenni eravamo figli della generazione che aveva inventato la ventennitudine: quelli che avevano avuto vent’anni negli anni Sessanta. Quindi forse eravamo vagamente complessati, vagamente consapevoli di non essere altrettanto rivoluzionari (noi che avevamo sì e no avuto la Pantera, noi che avevamo avuto i paninari), il che mitigava il delirio d’onnipotenza connaturato all’età.

Quelli d’oggi, figli di noialtri disgraziati, sono convinti d’essere i primi e gli ultimi ventenni della storia del mondo, e che ogni cosa che accade a loro sia specialissima, esclusiva, inedita, degna d’attenzione. E noi – i peggiori genitori della storia del mondo – non osiamo contraddirli.

Il risultato è che martedì, tra indiscrezioni e annunci ufficiali, è stata data notizia di ben tre programmi autunnali (tutti e tre della Rai, quindi alla fine saranno di più: vuoi che le altre reti lascino libero il campo?) il cui scopo è contrapporre giovani e adulti.

Solo che gli adulti non sono più adulti: sono boomer, uno dei tic lessicali più sciatti della storia del mondo. Boomer sarebbe chi è nato negli anni del boom (cioè: nel dopoguerra); solo che i ragazzini d’oggi – persino più analfabeti di quanto fossimo noi alla loro età – lo usano indistintamente per chiunque abbia il difetto d’essere più adulto di loro. E noi cosa facciamo? Ci adeguiamo.

E quindi uno dei programmi – condotto dalla mia coetanea Alessia Marcuzzi – s’intititolerebbe Boomerissima, una parola che mi fa venir voglia d’andare a darmi fuoco nell’ufficio di Fuortes. Pensate a un programma degli anni Ottanta in cui i giovani baccagliano con gli adulti, e pensatelo intitolato Matusissimo. Un brivido.

La cosa interessante è che, a furia di non contraddire questi ragazzini che siamo convinti salveranno il mondo (lo salveranno da noi, mormoriamo indossando il cilicio), siamo diventati scemi quanto loro. E quindi parliamo dello scontro televisivo tra generazioni come fosse una novità, un guizzo creativo, un’invenzione di ora. Siamo come loro quando credono che le canzoni degli anni Sessanta siano nuove perché qualcuno le ha campionate su TikTok.

Negli anni Novanta in tv non c’era praticamente altro: quasi più programmi sullo scontro generazionale di quanti ci toccherà scanalarne in autunno. Lo stesso Pierluigi Diaco (che condurrà uno di questi tre nuovi programmi) nasce televisivamente in un programma di metà anni Novanta in cui si confrontava coi grandi. Un programma generazionale fu la prima conduzione di Ambra dopo Non è la Rai. E poi c’era lei, l’unica autrice televisiva italiana degli ultimi decenni: Maria De Filippi.

Prima di tutti, lo scontro tra generazioni se l’era inventato lei, trent’anni fa, con Amici. Che non era la gara di balletti di adesso, era un programma del sabato pomeriggio in cui gli adolescenti andavano a raccontare i loro disagi.

Amici era un programma di gente poco più giovane di me, loro erano liceali e io avevo vent’anni, e lo ricordo impagabile nel farmi pensare che per fortuna non ero uno di quei piscialetto che vanno a lamentarsi della vita in uno studio televisivo.

Sono passati trent’anni e i piscialetto hanno tutti fatto più carriera di me, e forse dipende da quello lo sterminato spazio che abbiamo deciso di concedere ai ragazzini d’oggi: certo, ora sono solo dei cretinetti che ci chiamano boomer, ma metti che domani ce li ritroviamo autori televisivi, direttori di giornale, piccoli potenti che possono tornarci utili. Forse questo giovanilismo è una strategia simile a quella battuta di Spike Lee: ricòrdati di me da ricco, io mi ricordo di te da povero.

Ho saltato, nell’elenco giovani/vecchi delle trasmissioni che furono, un altro format degli anni Novanta. Era un programma in cui liceali impegnati politicamente andavano a discutere col ministro dell’Istruzione. Andava in onda su Videomusic, se l’era inventato Flavia Fratello (all’inizio di questo secolo, in Inghilterra, Mtv fece una cosa analoga; fece notizia perché i ragazzini discutevano con Tony Blair: facile fare la tv quando hai lo star system).

Tra le promettenti liceali che la Fratello aveva trovato in giro per scuole e aveva messo in uno studio televisivo intuendone le potenzialità, c’era una certa Giorgia Meloni. Per allora sarò morta di colesterolo e pressione alta, e purtroppo mi perderò la nemesi che arriverà tra una trentina d’anni.

Quando le mie coetanee smaniose di dire che i ragazzi di oggi sono i migliori della storia del mondo, sono migliori di noi, sono quelli che aggiusteranno tutte le nostre nefandezze, quando le mie coetanee di sinistra pronte a inchinarsi a ogni capriccio di gioventù si ritroveranno con una Giorgia Meloni allevata nella tv del senso di colpa, nella tv costruita dalla mia generazione per dar lustro alla loro. E si chiederanno chi sia il responsabile di questa deriva a loro così sgradita, e non si guarderanno allo specchio.

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