Questa è la storia delle mancate lezioni di economia domestica nelle scuole di fine Novecento. Questa è la storia d’una nevrosi diffusa ma che solo io sono così eroica da ammettere. Questa è la storia di tutti voi, anche se fischiettate e vi fingete estranei a certe dinamiche di pezzenteria.
L’altro giorno ho comprato uno scaffale da quattrocento euro che non mi serve. L’ho comprato perché quello che mi serviva ne costava duecento, e al momento di inserire i dati della carta di credito il sito mi ha visualizzato le spese di spedizione, che non venivano azzerate per acquisti sotto i duecentocinquanta euro. In un programma che ha formato la mia generazione, Pippo Chennedy Show, c’era un personaggio d’adolescente scema la cui chiusa comica era «Non esiste proprio»: è la mia frase di fronte a qualunque forma di spese di spedizione. Spendere quattrocento euro per risparmiarne otto di spedizione m’è sembrato perfettamente logico, pagare la consegna non esiste proprio.
La mia amica F. è una delle più scarse conversatrici del pianeta. Non ha mai un guizzo, un pettegolezzo, un niente. Non c’è una ragione al mondo per cui sia mia amica, ma le sarò eternamente affezionata e devota perché, mentre stavo traslocando, è venuta a casa mia e ha stappato e svuotato e buttato centocinquanta bottigliette di bibite che non avrei mai bevuto, e che avevo comprato solo perché, comprando quattro confezioni di quella bibita, l’Esselunga non ti faceva pagare la consegna della spesa. No, non ho mai fatto il conto di quanto mi siano costate in effetti le consegne pagate in bibite che non bevevo (probabilmente più dei quattrocento euro che m’è costata la spedizione dello scaffale).
Le nevrosi non si discutono: è inutile mi diciate che della tal cosa c’è un prezzo più vantaggioso, se quel prezzo non mi fa accumulare punti per qualche raccolta di pentole che non mi servono o se quel prezzo prevede quell’inaccettabile vessazione che sono le spese di spedizione.
Mercoledì sera il mio amico A. mi ha fatto presente che mancavano poche ore alla scadenza dei punti Trenitalia: mica li volevo lasciare inutilizzati? Certo che no. Sono corsa sul sito constatando con amarezza che, avendone io già usati molti, ne avanzavano 2064, la cifra perfetta per non servire a niente: un biglietto omaggio in executive, solo andata, ne costava 2100, e io viaggio solo in executive (la settimana scorsa ho preso due RyanAir: per la quota «viaggi coi poveri» sono coperta fino al 2023; ma soprattutto: no executive, no tramezzini di Cracco).
Con mille punti si può però fare un upgrade da business a executive. Allora compro due biglietti di business per un giorno futuro in cui forse dovrò andare da Milano a Bologna, e poi faccio due upgrade – penso, sentendomi una donna che vive nel suo tempo e nella performance e ha il controllo della situazione e conosce le leggi della raccolta punti e ve ne farà dono. Dimenticando però un cavillo che pure conoscevo.
Il cavillo lo conoscevo perché lo scorso autunno Linkiesta mi aveva fatto un biglietto di business e io non ero riuscita a fare il passaggio a executive dal sito. Nella lounge Frecciarossa milanese, dove di solito sono cafonissime e non sanno neanche come si chiamano, avevo trovato una rara impiegata non impedita che mi aveva spiegato il problema: il cambio di classe si può fare solo su biglietti di tratta unica. No andata e ritorno. Se doveste scrivere una tesina sulle regole insensate, questa sarebbe un buon oggetto di studio. Mi sfugge che ragione possa avere, a parte quella di mettere più limiti possibili per non farti usare i punti che hai accumulato, cioè: di fregare la clientela.
Il cavillo lo conoscevo ma mercoledì lo dimentico, e quindi faccio il biglietto con tariffa base, quella pienamente rimborsabile e sulla quale si può fare il passaggio di classe, e poi procedo a cercare di usare i miei punti per passare in executive.
Il sistema, evidentemente pensando «ma tu guarda questa allocca», mi dice: non si può, è un’andata e ritorno. Maledizione. Ma non c’è problema: farò un altro biglietto, intanto mi faccio rimborsare questo, è in tariffa base, diamine.
L’andata l’hai pagata 66 euro, te ne tratteniamo 13, va bene?, mi chiede il sistema con la disponibilità al dialogo dei rapitori di Aldo Moro e una concezione tutta sua di «pienamente rimborsabile». Quindi saranno 26 euro buttati tra andata e ritorno, e tutto per non lasciare i punti inutilizzati, penso, vacillando per un attimo nella mia determinazione di puntista. Ma una nevrosi è una nevrosi, quindi procedo.
Il ritorno non riesco proprio a farmelo rimborsare: è una truffa? Forse no: temo che, mancando un’ora alla scadenza dei punti, tutti gli scrocconi d’Italia si siano precipitati sul sito Frecciarossa, e il sistema sia affaticato. Poco dopo mi dice che la mia partita iva, che ha in memoria da decenni, non esiste.
Nel frattempo mi viene in mente che l’ennesimo inutile festival culturale cui devo andare mi ha prenotato dei biglietti in business. Sentendomi magnanima gentildonna, dico sempre a festival pezzenti editori pezzenti e committenti di assortita pezzenteria di farmi pure un biglietto di business: poi me lo cambio io, ho un sacco di punti.
Tutto risolto: quei duemila li uso per andare al festival in executive. Macché. I maledetti pezzenti il biglietto di business l’hanno fatto con la più economica tariffa non modificabile. Sento già le ferite di andare ad autografare ben quattro libri a un festival dove mi avranno messo in una stanza d’albergo con vista parcheggio, e di andarci in una classe di treno da poco ricchi.
E quindi torno al piano originale. Ricompro il Milano-Bologna. Ricòrdati, Guia: tariffa base, solo andata. La business in tariffa base, alla quale potrò fare l’upgrade coi miei mille punti, costa 81 euro e 70 centesimi. Clicco dopo cinque secondi di esitazione, passati a fissare la colonna destra: comprare direttamente il biglietto di executive nella tariffa non modificabile me ne costerebbe 77 e 80. Sto regalando tre euro e novanta a Trenitalia solo per il gusto di quasi azzerare i punti. (Tre euro e novanta più i tredici che le ho regalato poco prima più il mezzo biglietto che ancora non sono riuscita a farmi rimborsare).
Vorrei sfogarmi con qualcuno che capisca i problemi miei di risparmiatrice. Scrivo alla mia amica C., che condivide questa mia nevrosi. Mi dice che mi richiama la mattina dopo: è impegnata a fare biglietti per destinazioni a casaccio con tutti i punti che le restano, prima che venga mezzanotte e i punti Trenitalia si trasformino in zucca.