Nel Donbass lo scontro tra l’esercito russo e quello ucraino va avanti a colpi di artiglieria. I soldati di Kyjiv sono totalmente dipendente dagli aiuti provenienti dall’estero, le forze dell’invasore ogni giorno rischiano di strappare un pezzo di terra, una città, un territorio importante alla resistenza. Sotto la guida di Vladimir Putin, Mosca sta spingendo sull’Ucraina orientale, strappando una pagina dal playbook della campagna militare organizzata in Cecenia tra gli anni ‘90 e l’inizio di questo secolo.
Lo schema è sinistramente simile. C’è già stata una pesante campagna di bombardamenti, città e villaggi sono ridotti in macerie. Migliaia di civili sono già stati uccisi. La Russia lo ha già fatto in passato e ci sta riprovando.
La Cecenia è una piccola repubblica a maggioranza musulmana nel sud della Russia, appena 1,5 milioni di persone. La sua storia di resistenza al dominio russo risale ad almeno due secoli fa, ma in epoca recente i ribelli iniziarono ad alzare la voce per la loro indipendenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991.
Già nel 1993 Mosca pianifica un’invasione su larga scala, caratterizzata da incessanti attacchi aerei e colpi d’artiglieria pesante. Dura un paio d’anni, perdono la vita migliaia di combattenti e decine di migliaia di civili ceceni, la capitale Grozny è ridotta a un cumulo di macerie.
Sorprendentemente la Russia non ottiene quanto sperato, almeno in un primo momento: il governo del presidente Boris Yeltsin nel 1996 firma un trattato di pace, rimuove tutte le truppe russe dal territorio e concede un’ampia autonomia alla Cecenia, sebbene non un’indipendenza formale.
Tre anni dopo, poco prima di lasciare l’incarico, Yeltsin nomina come suo primo ministro Vladimir Putin. L’attuale leader russo sale in carica il 9 agosto 1999 e già alla fine del mese la Russia torna a farsi avanti con una campagna di bombardamenti contro i ribelli ceceni nel tentativo di cancellare la precedente disfatta. È una seconda guerra cecena. Più brutale, più sanguinosa, anche più efficace di quella precedente: le forze russe prendono il controllo della repubblica separatista in pochi mesi.
A marzo del 2000 Akhmad Kadyrov diventa il reggente della Cecenia, un fantoccio con cui il Cremlino ha intenzione di rafforzare la presa sul territorio. Kadyrov viene assassinato nel 2004, ma suo figlio, Ramzan Kadyrov, è ancora più fedele a Mosca ed è lui l’uomo forte della Cecenia.
«Ci sono alcuni parallelismi piuttosto inquietanti», aveva scritto ad aprile Thomas de Waal del Carnegie Europe, specializzato in Europa orientale, sul Wall Street Journal, parlando delle somiglianze tra passato e presente. «L’uso dell’artiglieria pesante, l’attacco indiscriminato di un centro urbano. Riportano alla mente ricordi piuttosto terribili degli anni ’90», ha scritto. Ma ci sono anche punti di contatto sul piano politico: «Così come c’era un progetto per riportare la Cecenia sotto il controllo russo, oggi ce n’è uno per riportare l’Ucraina nella sfera di influenza russa. E ugualmente non c’è alcun Piano B, non c’era in Cecenia, non sembra esserci ora».
Anche gli errori del primo mese dell’invasione russa dell’Ucraina somigliano sorprendentemente a quelli dei primi due anni della campagna cecena.
È evidente che ci sia una volontà di replicare quel modello. Anche se stavolta Mosca si trova di fronte a una popolazione 40 volte più grande di quella della Cecenia, in un territorio molto più vasto.
L’Atlantic ha individuato a grandi linee le fasi in cui si potrebbe delineare il piano russo, ricalcando quello applicato alla Cecenia. La prima fase è la pacificazione, scrive Neil Hauer, giornalista con sede in Armenia: «La pacificazione, dal punto di vista russo, arriva rapidamente dove può, e più lentamente dove non può. Nel caso dell’Ucraina, era facile portare sotto il proprio controllo il sud del Paese: il terreno aperto e le difese insufficienti hanno offerto poca resistenza all’avanzata russa che ha travolto città come Melitopol e Kherson nella prima settimana dell’offensiva».
Dove non si arriva facilmente si passa alle maniere forti. Così come Grozny, capitale cecena, è stata distrutta dai bombardamenti, in Ucraina lo stesso destino è toccato a Mariupol: una città bella e vivace ridotta in tre mesi di assedio a una rovina fumante.
Una volta completata la fase di conquista, è necessario trovare un tiranno locale adatto e autorizzato a governare la popolazione locale, così come in Cecenia ci sono stati i due Kadyrov. «In Ucraina ci sono stati abbastanza candidati nelle parti già occupate di Donetsk e Luhansk, e altre regioni appena conquistate hanno presentato le proprie candidature: un delinquente locale che vede una possibilità di farsi largo politicamente e farsi grande agli occhi di Mosca o una docile consigliera che è disposta a fornire un surrogato senso di normalità mentre gli occupanti vanno a sradicare la resistenza», si legge sull’Atlantic.
Infine, Putin proverà a costruire un nuovo apparato di dominio. Ma per farlo avrà bisogno che i vinti si assumano la responsabilità di schiacciare la resistenza locale più dura da eliminare. Per far questo, sostengono alcuni esperti, saranno previsti incentivi simbolici, forme di compensazione che il Cremlino è disposto a pagare ai nuovi oligarchi o ai nuovi signorotti locali.
«Ai cittadini traumatizzati – scrive Hauer sull’Atlantic – verrà insegnata una nuova versione della propria storia, in cui l’assorbimento russo è stato del tutto volontario e una salvezza dai “terroristi occidentali”. Alla fine, una nuova generazione dovrebbe crescere con l’idea di servire la madrepatria russa come un obbligo sacrosanto, sotto la guida di un leader che rinomina la strada principale della capitale in onore del presidente russo e si dichiara regolarmente il “soldato di fanteria” di Putin».
Forse l’aspetto più inquietante di questo piano diabolico è la disponibilità e la volontà da parte della Russia di aspettare a lungo, anche anni se necessario. Anche se dovesse essere necessaria una tregua apparentemente duratura: il conflitto con la Cecenia è iniziato negli anni ‘90 e si è concluso nel 2000, con un triennio di cessate il fuoco.
Per ora, il destino dell’Ucraina è in bilico. È una nazione molto più grande della Cecenia e il suo popolo è fortemente impegnato nella lotta. Per fortuna stavolta il flusso di aiuti militari in arrivo dall’Occidente è valido e supera di gran lunga qualsiasi supporto su cui potessero contare i ribelli ceceni.
Ma la logica della guerra di logoramento gioca a favore della Russia, la pazienza strategica di Putin si basa su solidi precedenti. «Mosca – è la conclusione dell’articolo dell’Atlantic – sa perfettamente come vorrebbe che fosse l’esito della guerra nell’Ucraina orientale: molto simile alla Cecenia. Se l’Occidente dovesse abbandonare un’Ucraina devastata a un destino simile, lo scenario sarà esattamente quello».