Una storia che comincia in una casa immersa in un fitto bosco di castagni può facilmente dar vita ad un immaginario da racconto dell‘orrore firmato dai fratelli Grimm: a trasformarla in una favola zuccherata il giusto – quello che serve a rendere il vino equilibrato e beverino – ci ha pensato l‘estro di Maurizio Zanella, fondatore di Ca‘ del Bosco, etichetta la cui onomastica fa riferimento proprio a quella casa originaria acquisita negli Anni 60 da sua madre Annamaria Clementi.
Una Ca‘ del Bosco sita a Erbusco, nel cuore della Franciacorta, che oggi è diventata una cantina tra le più note nello Stivale e all‘estero, anche per quel metodo omonimo, che tratta le uve come se fossero i gioielli più preziosi della corona territoriale (lavaggi e idromassaggi dei grappoli, affinamenti dei lieviti lunghi, dégorgement pensati ad hoc per evitare shock ossidativi).
Ossessioni e visioni che sono imprinting del fondatore, Maurizio Zanella, l‘allora enfant terrible che negli anni dell‘adolescenza viaggia fino alla zona dello Champagne, e decide di replicare nei 247,77 ettari del territorio natio la viticoltura ad elevate fittezze, scelta che fa urlare allo scandalo gli allora esperti del settore, e che però si rivela lampo di genio.
Un piano messo in atto grazie alla figura mitologica di Antonio Gandossi, fattore dal volto segnato eppure lieve, in testa una coppola che lo fa rassomigliare ad una rivisitazione del “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo in salsa lombarda.
E oggi, quella Ca‘ del Bosco si è trasformata in un luogo altrettanto fatato, dove si nascondono cupole sotterranee a 17 metri di profondità, da cui partono le gallerie per lo stoccaggio e affinamento dei vini, sotterranee di un castello, e però in stato costante di ebrezza, visto l‘odore di mosto che si dipana persistente.
A puntellare questo regno, opere d‘arte e memorabilia di spessore, come le foto firmate da 11 sublimi obiettivi – tra di loro Mimmo Jodice, Helmut Newton, Ferdinando Scianna e Alice Springs – che raccontano a più mani un unico vino (una collezione fotografica raccolta nel libro 11 fotografi e un vino, edito da Skira). Animato dall‘idea mutuata da Luigi Veronelli, quella che «il vino è un valore reale che ci dà irreale», Zanella, regnante dal sorriso sornione di queste valli assolate e dal romanticismo malinconico, ha voluto abbinare ai tannini la cultura: cos‘è il vino, in fondo, se non cultura del territorio?
Così, camminando per i giardini che circondano la cantina, si possono incrociare opere site-specific commissionate dal brand, dalla scultura in marmo di Carrara di Mitoraj (Eroi di Luce), al rinoceronte a grandezza naturale in vetroresina, appeso al soffitto (Il peso del tempo sospeso, di Stefano Bombardieri) passando per i lupi guardiani in plastica riciclata, che sorridono benevoli tra i vigneti, firmati dal collettivo Cracking Art (Blue guardians).
Un percorso affascinante nel passato e nel presente di un territorio benedetto dal clima e dall‘estro spumeggiante di Zanella, che oggi è aperto anche ai visitatori, con visite guidate di un‘ora. La degustazione, è, ca va sans dire, compresa.