Il settore della pesca e dell’acquacoltura in Italia è in crescente espansione soprattutto nell’allevamento di specie di acqua dolce che già nel 2014, secondo un rapporto Fao, incideva per il 27% sul valore dell’intero fatturato dell’acquacoltura nazionale, con un volume di produzione di circa 36 mila tonnellate.
L’acquacoltura è una pratica antichissima – il primo trattato sul tema fu scritto in Cina da Fan Li nel 500 d. C. – destinata a diventare sempre più importante.
La sua crescita nel mondo è molto rapida, per molte specie oltre il 10% annuo, mentre nell’ultimo decennio è restata stazionaria, o diminuita la pesca tradizionale. E può salvare e recuperare varietà di pesce pregiate e quasi in estinzione, come il carpione del lago di Garda.
Amato, troppo amato fin dal Medioevo, protagonista di ricette famose, tanto da dare il nome a un modo di preparare il pesce ormai esteso anche ad altri pesci e a carne e verdure, il Gardaseeforelle, come lo chiamano i tedeschi, era ancora abbondante negli anni Sessanta quando ne venivano pescate ogni anno tra le 16 e le 40 tonnellate, ma ha subito un rapido declino tanto da essere inserito nel 2006 nella lista rossa della Iucn (International Union for Conservation of Nature) fra le specie a più alto rischio di estinzione sul territorio italiano.
La pesca intensiva, la riduzione delle aree di riproduzione a causa dell’antropizzazione delle coste, l’introduzione di specie aliene nel lago, ne hanno ridotto a tal punto il numero che le tre regioni rivierasche ne hanno proibito la pesca, dal 2015 Lombardia e Veneto e dal 2019 il Trentino.
Ma qui, già nel 2014, era nata l’idea di recuperarne la disponibilità come prodotto gastronomico di qualità grazie all’allevamento, avviato nell’impianto di Ospedaletto per iniziativa del Consorzio Trentino Piscicoltura, società partecipata dall’Associazione Troticoltori Trentino (Astro) e dal Consorzio di tutela della Trota Trentina Igp, con la collaborazione scientifica della Fondazione Edmund Mach.
L’azienda, l’unica a praticare commercialmente l’allevamento del carpione, produce qualche decina di quintali di prodotto, destinati alle tavole e ai ristoranti per sostenere l’offerta turistica.
Un lavoro non facile perché il carpione cresce molto lentamente, in tre anni raggiunge appena i 450 grammi, e richiede acque di sorgente con condizioni simili a quelle naturali.
La possibilità di usare in abbondanza acque correnti, di fiumi o di sorgente, la temperatura adeguata e la collaborazione fra enti di ricerca e piscicoltori sono aspetti essenziali dell’acquacoltura moderna e la premessa per riuscire a mettere a punto una metodica di riproduzione e allevamento efficaci.
Dell’acquacoltura come mezzo per tutelare la biodiversità e della reintroduzione del carpione si è parlato anche al convegno ospitato a maggio dal Festival del pesce d’acqua dolce di Torbole, sul versante trentino del lago di Garda. Partendo da un dato di attualità, soprattutto in questo periodo di grave crisi idrica.
Il lago di Garda, infatti, raccoglie il 40 per cento dell’acqua dolce di tutta Italia e necessita quindi di speciale tutela, ma è, grazie anche alla pratica dell’acquacoltura sostenibile, un modello di uso accorto delle risorse.
Da fine ‘800, quando la prima itticoltura si sviluppò a Torbole, il settore si è via via ampliato grazie alle caratteristiche dell’area, ricca non solo di acque ma anche di forti dislivelli che la ossigenano naturalmente.
Caratteristiche che lo rendono significativo anche se le imprese, una settantina, per lo più familiari, sono lontane dai grandi numeri delle quattro regioni che insieme garantiscono il 70% della produzione ittica in acquacoltura: Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Puglia.
La spia di un allevamento sano, oltre che una delle specie più allevate, è la trota, pesce sentinella usato anche per monitorare gli acquedotti delle grandi città. Sul Garda, il suo ciclo comprende la nascita nel fiume, lo sviluppo nel lago, e il ritorno al fiume in autunno per deporre le uova.
Una volta le trote venivano pescate in questa occasione, impedendo così la risalita, che nel tempo è stata poi ostacolata dalle canalizzazioni e dagli impianti per l’estrazione della ghiaia che hanno alterato l’ambiente.
Oggi in Trentino ventinove cooperative di pescatori, per tutelare le specie autoctone provvedono, quando le trote e altre specie autoctone come il salmerino trovano ostacoli per risalire, a prenderle, senza danneggiarle, e a estrarne le uova che sono poi messe negli incubatori. Gli avanotti vengono allevati, crescono e tornano da soli al lago.
Dove è possibile sono state create briglie artificiali per favore la discesa, o la risalita e per legge una parte della captazione delle acque per uso agricolo viene rilasciata.
A valle del lago, una diga regola il flusso in modo da distribuirlo tra attività agricole e scopi di tutela. Opere che in questa estate di siccità sono particolarmente importanti per riuscire a mediare tra le necessità dei diversi utilizzi.
Fino a qualche anno fa l’acquacoltura sostituiva la pesca, ma con maggiori costi, oggi si riesce a sfruttare il lago in modo sostenibile e questo significa una produzione media garantita senza sfruttamento di 700 tonnellate di pesce, che è considerato il limite per non compromettere la fauna.
Un equilibrio delicato, che deve tenere conto della massiccia richiesta dei ristoranti, della pesca sportiva, dei predatori introdotti nel corso del tempo nel lago e delle regole precise che occorre anche rispettare negli allevamenti dove le variazioni di temperatura possono causare in poche ore morie che vanificano il lavoro dell’anno.
Per il consumatore, che non vede i retroscena di questo processo, le condutture che rilasciano l’acqua fresca, le vasche monitorate, le reti per impedire che gabbiani, fenicotteri, cormorani e altri “pescatori abusivi” si servano, resta il prodotto finale. Da ordinare al ristorante, da comprare al supermercato o direttamente in allevamento.
Molte aziende, infatti, in Trentino e non solo, propongono ormai, oltre all’acquisto del pesce fresco, prodotti lavorati, o servono i loro prodotti in piccoli ristoranti. Con specialità come lo speck di trota, un’esclusiva dell’azienda agricola Armanini di Storo, nella Valle del Chiese, le sarde di lago in saor e la bottarga di trota.
Nell’angolo estremo dell’Italia, invece, ai confini con la Slovenia, l’agriturismo Zobec nel suo ristorante propone menù interamente a base di salmoni e storioni allevati nelle acque del torrente Rosandra-Glinščica, l’unico corso d’acqua superficiale del Carso triestino.