Il terzultimo o quartultimo pacchetto di «urgenze che non richiedono una pronta risposta» presentato da Giuseppe Conte al governo Draghi riguardava la questione delle armi all’Ucraina, una specie di decreto aiuti a un popolo sotto attacco che Conte non voleva votare così come oggi non voterà gli aiuti a favore del popolo italiano martoriato dalle sue disastrose politiche sociali, sanitarie ed economiche.
Prima di arrivare al punto che oggi sta cambiando il corso della guerra in Ucraina, è necessario un breve riassunto per inquadrare il contesto di quel no contiano a fornire «armi offensive» agli ucraini aggrediti, violentati e uccisi dalla Russia.
Quando era premier, l’avvocato del populismo aveva le farfalle allo stomaco ogni volta che vedeva il criminale di guerra Vladimir Putin e il golpista Donald Trump, i due soci nell’affare di cancellare la democrazia liberale e altri pilastri della società aperta servendosi anche degli utili idioti che in Italia progettavano di superare la democrazia rappresentativa e di mettere i nemici del popolo alla gogna in apposite gabbie agli ingressi della tangenziale.
Conte si è messo sull’attenti quando la Casa Bianca ha provato a divulgare la bufala made in Cremlino di un surreale complotto italo-ucraino per screditare il Russiagate, l’inchiesta che aveva svelato i rapporti molto stretti tra la cosca di Putin e il mandamento di Mar-a-Lago.
In concorrenza spietata con Di Maio nella corsa a blandire Putin, Conte ha consentito all’esercito del Cremlino – lo stesso che in questi mesi ha ucciso a tradimento migliaia di civili in Ucraina – di sfilare per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale in un paese occidentale con una parata militare volta a farsi riconoscere dagli italiani come i liberatori dal Covid, un purissimo pensiero magico che gli ominicchi anche italiani di Putin immaginavano anche per l’Ucraina. Gli ucraini però sono un popolo serio, al contrario della masnada di poco raccomandabili in t-shirt putiniana che ha governato la prima metà della legislatura.
Una volta defenestrato da Palazzo Chigi per manifesta incapacità di vaccinarci e di presentare il piano per ricevere i copiosi finanziamenti europei che ci spettavano proporzionalmente ai disastri da lui combinati nella gestione sanitaria e sociale del Covid, o più banalmente una volta cacciato dal governo per scongiurare l’inevitabile morte fisica e finanziaria di tutti noi se fosse rimasto al governo, Giuseppe Conte – e con lui il suo ex sodale Matteo Salvini, ma non di Di Maio e Meloni – ha continuato a mostrare una certa attenzione alle ragioni degli invasori, in linea con la politica ufficiale grillina di collaborazione con il partito unico di Putin, di riconoscimento dell’annessione della Crimea, di indebolimento dell’Unione Europea e di smantellamento della Nato.
E arriviamo, quindi, alla questione della stravagante tesi contiana secondo cui l’Italia avrebbe dovuto inviare all’Ucraina aggredita dalla Russia soltanto armi difensive, non offensive, e che quella fosse in quel momento la «linea del Piave» dei babbeiacinquestelle.
Ovviamente la distinzione tra armi difensive e offensive era pretestuosa, ma le notizie di questi ultimi giorni, riportate dai giornali di tutto il mondo, chiariscono di che tipo fossero le armi offensive che Conte non voleva mandare al popolo aggredito.
Qualche settimana fa, sono arrivati in Ucraina i primi otto Himars, High Mobility Artillery Rocket System, lanciarazzi mobili americani che colpiscono obiettivi a settanta chilometri di distanza con un margine di errore di nove metri. Accertati gli effetti sul campo degli Himars, si è finalmente capito perché i tanti sostenitori di Putin nei talk show italiani tenevano molto alla distinzione tra armi difensive e offensive.
Con soli otto Himars, scrivono i giornali, gli ucraini sono stati in grado di colpire i depositi di munizioni nelle retrovie del Donbas che i russi credevano al sicuro perché fuori dalla gittata delle armi difensive in dotazione all’esercito ucraino fino a quel momento. Grazie agli Himars ora la guerra sta cambiando corso: i russi hanno perso potenza di fuoco, non hanno rifornimenti sufficienti a tenere le postazioni e gli ucraini cominciano per la prima volta a immaginare come riconquistare i territori occupati dalle armate imperialiste del Cremlino.
Altri quattro Himars arriveranno a brevissimo dagli Stati Uniti, assieme al personale per addestrare gli ucraini a utilizzarli al meglio, e altri ancora ne arriveranno da Germania e Gran Bretagna. Sul Washington Post, l’esperto di strategie militari Max Boot ha suggerito di inviare subito in Ucraina fino a cento Himars, in modo da far finire una volta per tutte la guerra d’aggressione russa che qualcuno evidentemente non vuole che finisca con la sconfitta di Putin.
Ieri Conte è risalito sulle montagne russe per spiegare acrobaticamente al paese che «alla Camera dove è possibile il voto disgiunto abbiamo espresso ovviamente la fiducia, ma al momento del voto finale non abbiamo partecipato al voto», mentre oggi al Senato i suoi non voteranno la fiducia, parole sue, «con le medesime lineari e coerenti motivazioni».
Solo nel fantastico mondo di Conte è lineare e coerente votare la fiducia a Draghi martedì e sfiduciarlo il giorno dopo, mettendo a rischio la tenuta del governo che aiuta gli ucraini e l’occidente a liberarsi da Putin.
Le posizioni curve e il nonsense politico di Conte sono espedienti amatoriali ormai noti a chiunque tranne che a Marco Travaglio e a Giuliano Ferrara. Persino Nicola Zingaretti se ne è accorto. L’unica cosa davvero lineare e coerente dell’esperienza populista dei grillini è la zelante determinazione a facilitare in tutti i modi il progetto eversivo dei nemici del mondo libero, fornendo loro anche l’arma offensiva della sfiducia al governo atlantista di Mario Draghi.