I ristoranti di cucina giapponese, più o meno originale e ortodossa o che si apre al mondo e accoglie influenze e ingredienti di altre culture gastronomiche, sono sempre più numerosi. La conoscenza della cucina giapponese invece non è così diffusa, e spesso limitata ai pochi piatti universalmente noti.
Sushi, sashimi, uramaki e gunkan, non esauriscono il ventaglio di ricette Made in Japan, in altri termini Giappone a tavola vuol dire “nonsolocrudo”. In questo senso, una tecnica e uno strumento di cottura che stanno prendendo piede negli ultimi tempi nei ristoranti giapponesi, e non solo, è la Robata.
Il metodo non è certa una novità: corsi e ricorsi gastronomici l’hanno portata alla ribalta anche se, forse, pur avendola sentita nominare non tutti la conoscono. Sono nati locali che hanno Robata nel nome, tanti i ristoranti giapponese che l’hanno adottata come tecnica di cottura che ha conquistato anche insegne italiane.
Il contesto è quello della cucina di stampo giapponese tradizionale e volendo fare un’estrema sintesi si tratta di una versione orientale del barbecue occidentale, ma andiamo con ordine.
Robata è un termine che può venire tradotto con focolare, e di cottura al fuoco si tratta, o meglio, alla carbonella. Nella versione originale assume anche una dimensione conviviale e spettacolare che coinvolge il cliente-spettatore che assiste alla cottura degli ingredienti infilzati su grandi spiedi posti accanto alla brace.
Le contemporanee versioni della Robata indentificano questa cottura con la presenza di una o più griglie sovrapposte sulle quali il cibo, al calore della brace, acquisisce sentori e consistenze unici, il tutto preparato in cucina e non più in sala.
Tra oriente e occidente abbiamo sentito due voci differenti per capire e apprezzarla meglio.
Waby: tra bellezza del fiore di loto e passione per griglie e carboni ardenti
Da qualche mese a Milano in zona Corso Como ha aperto Waby che nel proprio menu presenta una sezione dedicata alla Robata, siamo andati a visitarlo e ci siamo fatti raccontare da Matteo Zhu, patron del locale, la sua Robata.
Wabi-sabi è l’espressione giapponese che indica la bellezza imperfetta, Matteo ha creato un neologismo con Waby ma che si rifà a questo concetto e come simbolo ha scelto quello di un fiore la cui foglia ha la forma di un cerchio, di per sé perfetta, ma che non si chiude perfettamente: il loto.
Interni di design creati con cura sartoriale e una sala principale con archi che si aprono alla luce esterna, che, al calar del sole, arriva dal soffitto disegnato con cerchi di luce dorati, 18 mesi di cantiere per realizzarlo. Come fosse un palcoscenico, rialzato si trova il bancone sushi con gli sgabelli con vista sul taglio del pesce e dietro la cucina che ospita la Robata.
Una famiglia di origine cinese dello Zhejiang, quella di Matteo, già attiva nel campo della ristorazione e dell’import export; lui è nato a Biella e cresciuto a Milano, ha viaggiato e dall’atmosfera del locale e dallo stile della cucina questo si vede. Se giapponese è la tecnica e l’impostazione, gli ingredienti rappresentano il bagaglio di un globe trotter gastronomico. Dal gambero rosso di Mazara allo jamon iberico, dalla bottarga di muggine al tartufo, senza tralasciare tutto il campionario di ingredienti giapponesi. Da non perdere il sashimi di salmone scottato, asparagi e uova di salmone o i gustosi bocconi di carbonaro nero dell’Alaska marinato al miso in pasta kataifi.
Una carta con una nutrita selezione di Sakè anche magnum (tra le referenze il primo sakè biologico al mondo e un sakè che è stato anche nello Spazio) costruita grazie alla consulenza del sommelier Bartolomeo Bellarmino.
Matteo è un giovane imprenditore di 26 anni, completo blu e sorriso pronto, ci racconta che alla base della Robata c’è una cottura che esiste da sempre, quella a carbonella, nasce come tecnica che prevede l’utilizzo di uno spiedino. La cottura è dolce e anche un po’ lenta per mantenere tutti i succhi del pesce o della carne, per dare un profumo tipico e anche un po’ affumicato.
Da Waby la usano sia col metodo classico, tipicamente con lo spiedino di coscia di pollo laccata in salsa Yakitori con cipollotto, oppure ancora nella versione più gourmet del Wagyu Jalapeno senza spiedino. In quest’ultimo caso il manzo nobile giapponese subisce una cottura semplice, senza troppe salse, il valore aggiunto del piatto oltre alla materia prima è già la cottura a darlo, profumando la carne, giusto qualche cristallo di sale Maldon e un lime a parte per chi gradisce un po’ di acidità.
Il locale ha aperto da circa tre mesi ma le prove per trovare nuove e migliori soluzioni con la Robata continuano ancora oggi.
Occorre saperla padroneggiare la Robata, ci fa intendere Matteo, la fiamma va preparata in anticipo e poi addomesticata per non bruciare gli ingredienti che cuociono al dolce calore di una carbonella su cui posizionare la griglia. La Robata di Waby è di design e manifattura Giapponesi, ha una singola griglia che posa su una pietra porosa che accoglie il carbone ardente e trattiene il calore. Anche la scelta del carbone è attenta e non casuale.
Ne hanno provati tanti da Waby per trovare quello più adatto e ora usano un carbone di legno di leccio biologico: alcuni tipi di carbone facevano troppo fumo, o conferivano ai cibi note troppo affumicate, altri ancora duravano troppo poco, quello di leccio si è rivelato più adatto anche alle esigenze di un ambiente come la cucina di un ristorante, ci racconta Matteo.
Carne, pesce o verdura tutti e tre finiscono sulla Robata, e tutto avviene in cucina da Waby: hanno fatto alcune prove di servizio di fronte al cliente o una sorta di “cottura al tavolo” prima di arrivare a questa decisione giudicata migliore per evitare fumo o odori. Il piatto arriva adagiato su piccole griglie posizionate su cubi decorati ma senza carbonella all’interno, un finale scenografico ma tutta la sostanza della preparazione avviene in cucina. Se chiedi a Matteo quale ingrediente rende meglio al calore della Robata non ha dubbi e ti risponde la carne. Anche se la vulgata sulla Robata vuole che questa cottura nasca per il pesce; la storia dei pescatori che trovandosi nelle condizioni di cucinare in maniera espressa il pescato del giorno ricorrono a contenitori con fiamme vive improvvisate e segnano così il big bang della Robata, secondo Matteo è più una bella storia da raccontare che un dato storico reale. Nonostante la sua diffusione i suoi clienti però ancora non ordinano molto la Robata, un motivo in più per raccontarla.
Da Waby ci tengono a sottolineare l’importanza della differenza rispetto ad altre cotture, a partire dai tagli degli ingredienti fino alle marinature. Poi naturalmente se parliamo di cottura a carbonella in generale esiste praticamente da sempre e ovunque, ogni regione la adatta alla propria cultura gastronomica. Marinature e spennellature in cottura cambiano a seconda degli ingredienti: carne, anguilla o verdure vengono accompagnati diversamente. Ad esempio, con il carbonaro nero dell’Alaska (il black code) usano il miso che crea con la cottura alla Robata una laccatura brunita e dal sapore deciso.
Langosteria: da Milano a Parigi i sapori mediterranei sposano la Robata
Langosteria è un’insegna milanese di successo ormai declinata in quattro locali in città. Allontanandosi non poco dalla cerchia dei Navigli, Paraggi e Parigi le due più recenti aperture: il mare a pochi passi dal tavolo nel primo caso, la Senna e una vista che spazia su tutta Parigi nel secondo. Parliamo di una cucina di mare, dove la materia prima è preziosa e gustosa ma parliamo anche di un’atmosfera e di un servizio che rendono ormai Langosteria uno stile di ristorazione riconoscibile ovunque ci si trovi.
Anche qui da qualche anno (nei locali di Via Savona a Milano, a Paraggi e anche a Parigi) è presente in menu una sezione Robata utilizzata per nobili ospiti del mare quali king crab, gamberoni rossi, dentice.
Ne abbiamo parlato con Michele Biassoni, nel gruppo Langosteria da un paio di anni e con un curriculum che parla giapponese (executive chef presso il ristorante Iyo e con stage in Giappone). Oggi è Executive chef presso Langosteria Parigi, il locale che sorge al settimo piano del nuovo hotel Cheval Blanc del gruppo LVMH.
Un progetto ambizioso lo definisce Michele: circa novanta coperti all’interno e una balconata lungo il perimetro del ristorante per una cena all’aperto, oltre alla terrazza utilizzabile al netto di cambi climatici parigini.
Ama innovare Michele e andare alla ricerca di tecniche che esaltino sempre di più il prodotto ittico. Aperto alle tecniche internazionali ma mantenendo il nostro gusto italiano, è questo il modo in cui definisce lo stile che lo identifica. Parigi e i parigini hanno dato un riscontro super positivo, tanto che da marzo sono aperti anche a pranzo.
Venendo al punto centrale della nostra conversazione, la robata, Michele ci racconta che in realtà è presente a Longosteria già da anni e riscuote successo, tanto che è prevista anche nella nuova cucina che apriranno a Saint Moritz. Se non è lui ad averla portata nel gruppo sa però esattamente come utilizzarla e a Parigi l’ha voluta fortemente, soprattutto memore della sua esperienza in Giappone dove ci racconta che ogni ristorante di livello ha la sezione dedicata alla griglia.
Il gusto e il lavoro sulla carbonella li ama da sempre, fin dai barbecue familiari durante le feste all’aperto. Sono molte le preparazioni che utilizzano questa cottura a Langosteria, anche per vegetali che poi andranno a costituire il contorno per altri piatti o per cotture di crostacei realizzate al momento oppure ancora con una succulenta costata di tonno con l’osso cotta durante il servizio.
Dalla robata esce anche lo chateaubriand di cernia. Preparazioni di mare che nel nome e nell’aspetto richiamano il regno della carne senza nulla perdere dello spirito e del sapore marino. Il gusto che viene conferito è quello dell’affumicatura tipico della carbonella che stimola l’appetito.
Rispetto a una griglia qualunque la differenza sostanziale è la pietra all’interno, una pietra lavica in grado di trattenere il calore e di fare bruciare la carbonella meno velocemente. La robata ortodossa che Michele ha visto in Giappone non prevede nemmeno l’uso di griglie ma stecchini in acciaio che infilzano l’alimento, anche 30-50 cm di lunghezza dove poter infilzare l’anguilla, ad esempio, per non fare imbarcare il filetto e avere una cottura uniforme.
Non la definirebbe una cottura lenta ma occorre saper calcolare i tempi, l’alimento deve avere modo di prendere il sapore della robata oltre che cuocere. Tra le varie accortezze che suggerisce Michele quello di non eccedere con condimenti grassi perché, se si unge troppo, l’olio colando può fare la fiamma e questa brucerebbe i grassi dando un sentore di bruciato, va bene la carbonella incandescente ma non il fuoco vivo.
La carbonella usata a Langosteria è 100% vegetale e naturale, senza nessun tipo di additivi chimici. Il profumo rilasciato è gradevole e può venir dato da legni anche qui tipo il leccio, legni profumati ma non troppo. Ogni robata ha la presa d’aria, puntualizza Michele, che una volta aperta serve anche per alimentare ulteriormente il fuoco.
La fabbricazione è made in Italy e su misura come le cucine di ogni singolo locale, seguendo però la filosofia orientale. Un sodalizio Italia-Giappone anche in cottura dove tornano anche qui le marinature del pesce prima della cottura. «Sono un fan della marinatura» chiarisce Michele, avendole approcciate a fondo nel suo percorso orientale. Marinature leggere, anche solo sale e olio magari profumato alle erbe, realizzate espresse dieci minuti prima della cottura.
Il massimo della resa per Michele è con i filetti di pesce ai quali la robata conferisce al tempo stesso croccantezza esterna, nella pelle, e succosità dentro.
E il pubblico francese come risponde al richiamo della robata? «La richiedono tantissimo, quando scriviamo sul menu “cuit au charbon” la stragrande maggioranza dei clienti richiede quel piatto». Per chi poi dalla teoria volesse passare alla pratica, “Robata – Japanese Home Grilling“ scritto da Silla Bjerrum (Jacqui Small editore) è un testo in inglese, illustrato, che può tornare utile per chi vuole muovere i primi passi e sperimentare la versione casalinga.