Addio gas russo?Draghi ci sta liberando dalla schiavitù energetica verso il Cremlino

Il suo governo si è mosso prima, e meglio, di altri esecutivi per diversificare le forniture: in termini di importazioni di gas, l’Italia ha abbattuto la sua dipendenza da Mosca dal 40 al 25% (con la prospettiva di scendere ancora). Ma i costi geopolitici del riposizionamento italiano (ed europeo) potrebbero avere effetti negativi nel lungo periodo

LaPresse

Un’estate rovente rischia di essere il preludio a un inverno gelido. In un caso è colpa del cambiamento climatico, con un’ondata di caldo che miete vittime e divora migliaia di ettari tra gli incendi; nel secondo c’entrano altri negazionisti, quelli che hanno frenato gli exit plan dal gas russo e riconoscono l’emergenza solo a tempo (quasi) scaduto. 

In attesa di capire se Mosca riaprirà il gasdotto Nord Stream, fermo per «manutenzione», e di conoscere i piani dell’Unione europea per resistere a un’eventuale chiusura dei rubinetti, c’è un dato di fatto che va riconosciuto a Mario Draghi. Il suo governo si è mosso prima, e meglio, di altri esecutivi europei nel diversificare le forniture. Così oggi l’Italia è una delle Nazioni che ha ridotto con più efficacia le importazioni energetiche dalla Russia. Per certi versi, il nostro Paese ha incarnato un esempio di come smarcarsi dalla relazione tossica con il Cremlino. 

Il ritorno in Algeria è l’ultima casella di una serie di viaggi. L’attivismo del presidente del Consiglio ha a volte anticipato le tappe – e quindi le mosse – di altre potenze europee. La lista degli accordi chiusi in pochi mesi è lunga: Azerbaigian, Angola, Congo, Israele, Qatar, Mozambico, Egitto. In questi giorni, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha incontrato il capo di Stato egiziano Abdel al-Sisi, mentre Ursula von der Leyen è reduce dalla missione a Baku. Emmanuel Macron ha invece ricevuto all’Eliseo con tutti gli onori il presidente degli Emirati Arabi, Mohamed bin Zayed Al-Nahyan. 

La compravendita degli idrocarburi è inevitabile per smettere di finanziare la guerra brutale di Vladimir Putin, ma i pellegrinaggi dei leader segnano la rivalutazione nei rapporti diplomatici di alcune Nazioni in passato criticate per i diritti negati e non tutte specchiate democrazie. È qui che la Realpolitik redistribuisce le quote di mercato prima coperte dalla Russia, creando nuove dipendenze. 

L’accordo con l’Azerbaigian dovrebbe valere 20 miliardi di metri cubi di gas entro il 2027 e, già nel 2022, 12 miliardi di metri cubi contro gli 8,1 dell’anno scorso. Come scrive il Foglio, l’Ue ha risposto ai ricatti di Putin praticamente dimezzando le importazioni via gasdotto: -43% da inizio anno. Sono state compensate dai fornitori storici, come Norvegia e Regno Unito, e con più acquisti di gas naturale liquefatto. Il gas naturale liquefatto (gnl) arriva soprattutto via nave: gli Stati Uniti hanno promesso 50 miliardi di metri cubi da qui al 2030, ma ancora non ci sono le infrastrutture, anche se un grande porto di approdo in Portogallo sarà operativo entro sei mesi. 

Per via dell’incremento da 4 miliardi di metri cubi da sommare ai 2 già negoziati ad aprile, l’Algeria diventerà la prima fonte dell’Italia. Hanno aiutato i legami consolidati dell’Eni nella regione. Al secondo posto resta stabile Oslo, seguita proprio da Baku. In poco tempo, il nostro Paese è riuscito a ridisegnare gli approvvigionamenti, abbattendo la sua dipendenza da Mosca dal 40 al 25% delle importazioni di gas, con la prospettiva di scendere ancora. 

È grazie a questa credibilità che Draghi può spingere a livello comunitario la proposta di un tetto al prezzo del gas. Le riserve europee, in questo momento, sono piene al 63%: non abbastanza per passare un inverno senza contraccolpi. Il livello di salvaguardia indicato dalla commissione europea è dell’80%, mentre per l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) bisogna arrivare al 90%. Un regolamento del 2017 delinea un meccanismo di solidarietà tra gli Stati membri, per condividere gli stoccaggi in caso di crisi dei rifornimenti. Palazzo Chigi proverà a chiedere il price cap in cambio all’accesso al suo tesoretto energetico, con un futuro da «hub del gas» del Mediterraneo. 

Il piano d’emergenza di Bruxelles arriva a prevedere i razionamenti nello scenario limite. Sarà fondamentale mobilitare i cittadini. Cambiare le nostre abitudini può fare la differenza: non è retorica. Secondo i calcoli della Commissione, si possono risparmiare 11 miliardi di metri cubi di gas abbassando di pochi gradi i termostati. Si raccomanderà, da subito, una moratoria sull’aria condizionata, basta temperature da ibernazione, e sul riscaldamento verso la stagione più fredda. È un “sacrificio” che sarebbe offensivo paragonare a quelli patiti dopo il 24 febbraio dalla popolazione ucraina. 

Ci sono poi gli altri costi, geopolitici, del riposizionamento europeo. Per esempio, il gas aggiuntivo pompato dall’Algeria corrisponde quasi in toto a quello che non le compra più la Spagna, suo cliente decennale. Algeri ha sospeso il trattato d’amicizia con Madrid per l’appoggio del governo di Pedro Sánchez alle rivendicazioni del Marocco, suo rivale, sul Sahara Occidentale. E figura anche l’Algeria tra la conta delle astensioni alla mozione di condanna all’Onu dell’invasione russa dell’Ucraina. Negli Emirati, con cui Parigi rafforza la partnership, attivisti e giornalisti vengono spesso messi in carcere. Una reputazione simile ce l’ha l’Azerbaigian, dove le proteste vengono represse con la forza. Baku non si era fatta scrupoli di spendere 3 miliardi di dollari per cercare di corrompere politici europei proprio per riabilitarsi l’immagine. Infine, con l’Egitto brucia ancora il vergognoso insabbiamento dell’omicidio di Giulio Regeni. 

Ad Algeri, Draghi non ha parlato della crisi di governo. In un clima internazionale arroventato quanto quello meteorologico, i grillini cercano di impallinare il premier. Senso delle istituzioni zero. L’effetto collaterale delle assemblee permanenti dei Cinquestelle non può essere abbattere il governo che in mezzo a una guerra, l’inflazione e le recrudescenze della pandemia ci sta affrancando dalla schiavitù energetica verso il Cremlino. Sarebbe l’ennesimo favore a Putin di Giuseppe Conte. Senza il Tap che secondo i pentastellati «minacciava gli ulivi secolari» della Puglia, poi, liberarsi da quella dipendenza sarebbe stato impossibile. 

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