Vladimir Putin sta per scatenare sanzioni efficacissime contro l’Europa tagliando unilateralmente le forniture di metano sul lungo periodo. Efficaci in un certo senso come quelle che l’Europa ha deciso per punire e ostacolare la sua sanguinaria invasione russa dell’Ucraina, soprattutto per i risvolti politici sui governi.
Questo è il chiarissimo sospetto che ogni giorno che passa si fa più concreto a partire dalla leadership della Germania, per finire con quella di Bruxelles (e Roma). Gli scenari per l’autunno-inverno che dipinge il verde Robert Habeck, vice cancelliere tedesco e ministro dell’economia, sono poco meno che apocalittici: in seguito al crollo volutamente programmato dal Cremlino delle forniture di metano, si potranno verificare chiusure in massa di aziende, licenziamenti a valanga, disagi acutissimi per la popolazione tedesca. Il tutto, sostiene, con l’aperto obbiettivo di Vladimir Putin di scatenare in Germania ondate di populismo e di creare un clima nel Paese che spinga il governo a incrinare la solidarietà attiva con l’Ucraina. Solidarietà che vede già la Germania comportarsi come il ventre molle dell’Europa su più piani. Allarmanti.
È Berlino, con l’Aja, (con l’abituale cecità rigorista-liberale) a opporsi al Price Cap sul metano che permette a Vladimir Putin di abbassare le forniture lucrando sempre gli stessi profitti. È Berlino a congelare i nove miliardi di prestiti a interessi nulli all’Ucraina sull’orlo del default perché dovrebbero essere finanziati con Bund garantiti dalla Ue (di nuovo il rigorismo anti-europeista). È Berlino, secondo la rivelazione della Bild Zeitung a rimangiarsi l’impegno a investire 100 miliardi nella Difesa nei prossimi tre anni e, soprattutto, è Berlino a fornire col contagocce gli aiuti militari all’Ucraina. Molti indizi di pericolosa e ipocrita flessibilità nei confronti della Russia che iniziano a costituire una prova.
Questo perché Vladimir Putin, mentre la Russia è colpita e ferita dalle sanzioni (ma non in modo tale da frenare l’aggressione contro l’Ucraina) ha deciso di colpire l’anello debole energetico dell’Europa, la Germania, giocando una partita speculare: l’embargo energetico. E la sua manovra spregiudicata pare proprio sia ad effetto. Un big game simile a quello che giocarono, con pieno successo, i paesi arabi nel 1973 col blocco dell’esportazione del petrolio che costrinse America ed Europa a bloccare l’avanzata militare inarrestabile di Israele in un Egitto indifeso, con Ariel Sharon che stava per conquistare il Cairo e fu costretto a desistere.
Il fatto è che quando le sanzioni colpiscono un regime autoritario o dittatoriale vengono sì pagate dalla popolazione e dal sistema economico, ma il regime, proprio perché non dipende dai meccanismi sensibilissimi e articolati di consenso democratico, può continuare comunque, anche se a fatica, sulla sua strada. Così accadde per l’Italia fascista che invase l’Etiopia, così per l’embargo degli Stati Uniti contro Cuba, così per le sanzioni contro Saddam Hussein, così per le sanzioni contro la Libia di Gheddafi, l’Iran o la Corea del Nord.
Quando invece le sanzioni – il blocco del metano, la prima fonte energetica – colpiscono una società democratica, il sistema di rappresentanza reale, articolata ed effettiva del consenso popolare preme con forza sulla leadership e sul governo, penalizzandoli pesantemente e indirizzandolo verso altre scelte politiche.
Il vice-cancelliere tedesco Robert Habeck, a differenza di un sempre più sbiadito Olaf Scholz, ha ben chiaro il rischio politico che l’embargo metanifero di Mosca crei nella popolazione tedesca una reazione esasperata e, quindi. una pressione intollerabile dal governo per annullare o diminuire le sanzioni contro la Russia e gli aiuti militari all’Ucraina. Per questo lo contrasta nell’unico modo possibile: parla al Paese e alle coscienze con efficace chiarezza e soprattutto avvia radicali piani di emergenza.
Ma la partita è aperta e di dubbio esito. Soprattutto per l’ennesimo errore di valutazione compiuto dall’Europa che, dopo essersi resa assolutamente dipendente per la vitale energia dalla Russia, ha pensato che Vladimir Putin non avesse possibilità di vendere altrove il suo metano e il suo petrolio.
Invece, alla effettiva compattezza dell’Occidente ha corrisposto una disponibilità, in un mondo globalizzato e affamato di energia, di fornire alla Russia altri mercati di sbocco per il metano e il petrolio. E non si tratta solo della Cina, dal momento che la platea delle nazioni che non partecipano alle sanzioni occidentali (nessuna in Medio Oriente, 34 su 54 in Africa, l’80% in Asia e molte in America Latina) e di quelle prontissime a acquistare energia da Mosca si avvicina alla metà della popolazione del pianeta. Basti pensare all’India.