Di Palermo si suole spesso dire che è la città delle contraddizioni. E mai come in questi giorni, segnati dal 12° Pride e dal 398° Festino di santa Rosalia, sembra mostrarne appieno tutti i caratteri. Ma forse sarebbe più corretto definirla crogiolo di diverse culture, sensibilità, aspirazioni e luogo dalle infinite identità, che una storia di miserie e grandezze modella senza sosta da millenni. Più che da ossimori Palermo è dunque permeata da differenze, che, pur tra mille problemi, s’integrano e s’includono. La marcia dell’orgoglio Lgbt+, che ha avuto luogo sabato, e U Fistinu, che toccherà stasera il culmine con la sfilata del carro trionfale lungo il Cassaro (ossia la lunga via Vittorio Emanuele), ne sono eloquente riprova. A testimoniarlo anche il neosindaco di centrodestra Roberto Lagalla, che il 9 luglio s’è unito alle 100.000 persone della parata arcobaleno e, l’indomani, ha partecipato all’antico rito devozionale dell’offerta della cera, con cui hanno preso ufficialmente l’avvio le celebrazioni in onore della santa patrona. È d’altra parte la prima volta che il Pride cittadino è venuto a cadere alla vigilia dell’inizio dei festeggiamenti di santa Rosalia, lasciando la piacevole impressione d’una prosecuzione dell’uno negli altri senza soluzione di continuità.
In verità qualche voce critica s’è levata. Ma del tutto extra chorum. Il primo cittadino ha infatti sparigliato le carte sin dal mattino di sabato, quando, in conferenza stampa presso il Teatro Massimo, ha detto senza troppi giri di parole: «La mia presenza al Pride vuole rappresentare la testimonianza di apertura e pluralità di Palermo. Come già successo quando ero rettore dell’Università, anche oggi da sindaco intendo confermare l’apertura dell’istituzione cittadina verso tutte le sensibilità». Riaffermando la vocazione inclusiva del capoluogo siciliano, ha poi aggiunto: «Sono assolutamente convinto che una manifestazione come il Pride non debba avere né pregiudizi né praticare esclusioni. Rispetto a questo tema, se favorissimo l’esclusione, favoriremmo la violenza e questa amministrazione non farà alcun passo indietro sui diritti civili».
Mescolato nel pomeriggio del 9 scorso alla marea colorata e gioiosa, che ha inondato il centro nel ricordo dei moti di Stonewall, Lagalla ha così partecipato alla marcia dell’orgoglio Lgbt+ accanto al “madrino” – lo ha chiamato così il comitato organizzatore – Beppe Fiorello, senza scomporsi per lo striscione d’apertura con la scritta Mafia, fasci, capitale? Rivolta genderale. Se imbarazzo c’è stato, lo si deve piuttosto ipotizzare tra gli attivisti e le attiviste, che il 4 novembre scorso, a pochi giorni dalla bocciatura del ddl Zan in Senato, non avevano esitato a contestare il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto, intervenuto in Comune alla presentazione del libro sul delitto omofobico di Giarre.
Si motivò all’epoca la protesta con l’appartenenza del deputato a un partito come Italia Viva, accusato, nonostante lo scrutinio segreto, d’aver votato in blocco la cosiddetta tagliola sul disegno di legge. Che Scalfarotto non c’entrasse nulla con tale votazione e che, soprattutto, fosse presente a Palermo nelle vesti di componente del governo a un evento culturale non era stato neppure preso in considerazione. A pochi mesi s’è così registrato un repentino quanto provvido cambio di passo nei riguardi di Roberto Lagalla, la cui appartenenza politica e la cui recente elezione come candidato di Forza Italia, Fratelli d’Italia, salviniani, Udc, Nuova Dc e lista del senatore renziano Davide Faraone sono state distinte dal ruolo istituzionale di sindaco. Il quale sindaco, seguendo l’esempio del predecessore Leoluca Orlando, ha anche giustamente disposto un finanziamento di 12.500 euro + Iva per il Palermo Pride. Ma, come si sa, pecunia non olet.
Passando al festino di santa Rosalia, che si concluderà domani con la processione delle reliquie contenute nella preziosa urna d’argento seicentesca, Lagalla, per la prima volta, sarà protagonista questa sera di un’antica e amata consuetudine: salito sul carro trionfale ai Quattro Canti, griderà infatti per tre volte: «Viva Palermo e santa Rosalia». Gesto però innovato dallo stesso primo cittadino, la cui triplice invocazione di giubilo sarà urlata contemporaneamente anche da un sanitario e da un volontario della Protezione civile, distintisi durante l’emergenza sanitaria da Covid-19. «La città – così Lagalla il 1° luglio scorso – non è del sindaco. Mi auguro per Palermo quello che un padre si augura per un figlio. Mi auguro un impegno civile sempre più diffuso per provare a raggiungere degli obiettivi certamente non facili né immediati».
Il culto rosaliano affonda d’altronde le sue radici proprio in un’epidemia, vale a dire la pestilenza, che dal giugno 1624 al maggio 1625 causò a Palermo la morte di 8.456 persone. Le cronache coeve raccontano che il contagio si sarebbe bloccato il 9 giugno 1625 a seguito della prima processione cittadina con le reliquie della vergine eremita. Da allora U Fistinu viene appunto celebrato in memoria dell’evento prodigioso e in relazione alla scoperta dei resti mortali della santa, avvenuta sul Monte Pellegrino il 15 luglio 1624. Riletto in ottica contemporanea come «un canto contro la peste», il 398° Festino «soprattutto dopo gli anni di pandemia, con le conseguenze psicologiche, relazionali, economiche, sociali che ha causato, non può e non deve essere – come scritto dall’arcivescovo metropolita – un motivo di evasione, di alienazione. Ma motivo di autentica festa. Ci chiede di cantare insieme – forti di un ritrovato senso comunitario e fraterno della vita – un inno di liberazione che nasca da cuori e mani che hanno deciso di coinvolgersi in un cammino di liberazione e di rinascita di questa nostra città amata da Rosalia». C’è solo da sperare che la patrona istilli nei suoi devoti anche il buon senso nell’osservare i consigli sanitari per la prevenzione e il contenimento del Covid-19, che in questo mese di luglio è tornato a infuriare. Quod est in votis.