Preghiera del giorno dopo: lasciate stare i liberali.
Non tirateli in ballo per spiegare, rivendicare, progettare qualcosa in nome loro, dopo l’omicidio-suicidio del governo Draghi. Smettetela, se siete di Forza Italia, della Lega o dei 5S, di citare il sostantivo e l’aggettivo. Perché il 21 luglio, arrivati al dunque, si è capito che la posizione vera, profonda non è proprio per nulla quella liberale. Salviamo almeno il nome per usi più rassicuranti.
Le scelte liberali sono quelle che mercoledì hanno diviso e deciso, facendo cadere l’alibi nominalistico e facendo esplodere come un kamikaze l’ultimo vaffa della vergogna italiana.
La prova del nove sul tasso di liberalismo sono state due paroline: taxi e balneari. Per i più colti: applicazione della direttiva Bolkenstein, dal nome del commissario Ue, liberale, anzi presidente all’epoca dei liberali europei. Bestia nera del corporativismo italiano dal 2006, quando la direttiva fu emanata e cominciò in Italia il balletto dei rinvii nell’applicazione.
Il Conte I l’aveva rinviata al 2033, ben 27 anni dopo la sua pubblicazione nella G.U. dell’Unione Europea. Un capolavoro di furbizia levantina, da azzeccagarbugli della palla in tribuna.
Certo, due paroline non bastano per spiegare un disastro, e possono essere la foglia di fico per coprire ben altro, punte emergenti – apparentemente minori – di un vecchio iceberg che non si scongela mai: il putinismo peloso, l’anti Nato e l’anti Europa, che presto tornerà in superficie, perché è “colpa” sua se il costo del denaro aumenta, se Francoforte non ci copre più i debiti.
Pronunciando quelle due paroline, Mario Draghi ha comunque “provocato” i liberali: da quelli disattenti del Pd a quelli sedicenti del centrodestra, a quelli un po’ analfabeti dei 5S, a cui erano molto piaciuti i fumogeni e i blocchi stradali dei tassisti di via del Corso solo pochi giorni prima.
Bisogna riconoscere che Francesco Giavazzi ha colpito con grande precisione, infilando quei due riferimenti (e un altro, sublime: catasto) nel discorso di Draghi al Senato.
A uno attento come Maurizio Gasparri, in gioventù lanciatore di fumogeni a sua volta, ora leader dei “liberali” di Forza Italia a Palazzo Madama, non sono sfuggite le impronte digitali dell’economista liberale su quei foglietti del Premier, e se l’è presa infatti con i “collaboratori” del Presidente del Consiglio che vogliono colpire non il parassitismo delle rendite di posizione ma – cattivoni – gli elettori fedeli del centrodestra.
A Villa Grande, nel frattempo, si consumava l’ultimo sacrificio liberale: la resa totale di Forza Italia alla Lega e, via telefonica, a sorella Meloni. La fine di una leadership almeno morale del Berlusconi che fa rimpiangere i tempi – figuriamoci – in cui aveva vicino la senatrice Rossi e non la senatrice Ronzulli. Una resa alla tattica senza visione strategica, senza colpo ferire, senza resistere ai giochi perversi di un pomeriggio senza futuro, senza porsi il problema di un minimo di coerenza con le alleanze internazionali.
Fratelli d’Italia con i conservatori europei, Lega con Le Pen e Orbán, Forza Italia con chi? Non con Macron, come sembrerebbe logico a parole, ma con i popolari europei: già qualcosa, visto che avevano benedetto in Draghi il riferimento all’Italia migliore. Ora, gli va spiegato quel che è successo.
C’è chi, come Gelmini e ora Renato Brunetta – due dei più identitari tra i forzisti – proprio non ce l’hanno fatta a reggere. Per ora, non pervenuta Mara Carfagna, l’eterna sfinge dell’adesso decido.
Di risorse come queste ci sarebbe comunque bisogno, se non vogliamo rassegnarci a un confronto che il 21 luglio qualcuno ha evidentemente pensato come ormai pietrificato nella scelta alle urne tra i sostenitori dell’operazione speciale (uffa, questa Ucraina che chiede armi) e quelli delle scelte internazionali di sempre.
Il tempo è poco per scomporre il quadro politico, e sentiamo molti moderati che proclamano di non voler votare alle elezioni anticipate.
Possibile che non vi siano dei liberali spazientiti (sarebbe ora) che non si rassegnano, abbandonando i vertici forzisti ormai a rimorchio dei sovranisti?