Le rotte degli altriLa discutibile accoglienza dei migranti di Spagna e Grecia

Il governo di Madrid è stato criticato per le morti al confine di Melilla, quello di Atene per i respingimenti illegali nell’Egeo. Il Parlamento europeo invoca indagini, la Commissione minaccia di tagliare i fondi

LaPresse

Entrambe affacciate sul Mediterraneo, entrambe interessate da flussi migratori in aumento, entrambe alle prese con rinnovate proteste per le proprie politiche sul tema. Spagna e Grecia stanno ricevendo negli ultimi giorni una serie di critiche e richieste: da parte nelle istituzioni dell’Unione europea, in molti contestano violazioni al diritto comunitario.

Il governo di Madrid è al centro delle polemiche per la morte di decine di migranti al confine dell’enclave spagnola di Melilla, situata nel territorio del Marocco nord-orientale. Almeno 37 decessi e 76 feriti, secondo le informazioni delle Ong che operano sul campo, durante un tentativo di attraversamento di massa lo scorso 24 giugno, che ha provocato il ferimento anche di oltre cento agenti di polizia.

L’Alto commissario delle Nazioni Unite Ravina Shamdasani ha chiesto di chiarire le responsabilità, così come decine di deputati dei gruppi di sinistra del Parlamento europeo, in una lettera rivolta alla Commissione per sollecitare un’indagine a livello comunitario. 

Le autorità spagnole non sono direttamente responsabili delle azioni che provocano la morte dei migranti, ma l’intera dinamica è frutto di «un accordo informale tra Spagna e Marocco che fornisce la base per la deportazione di migranti irregolari da Ceuta e Melilla», denuncia la lettera.

In pratica è la polizia marocchina a fermare coloro che provano a scavalcare le recinzioni ed entrare nelle due enclavi, in alcuni casi pure «sconfinando» in territorio spagnolo. In questo modo, anche i migranti che riescono a passare i confini vengono respinti, pur avendo teoricamente diritto a presentare una regolare richiesta d’asilo e permanere in territorio europeo mentre la domanda viene analizzata.

I modi degli agenti marocchini sono spesso violenti: calci, spintoni, manganellate e persino lanci di pietre denuncia l’Onu. Quando l’afflusso è massiccio e la situazione degenera, come nell’ultimo episodio, è facile che alcune persone ci rimettano la vita. Secondo il resoconto della Commissione europea, alcuni sono rimasti schiacciati dalla folla, altri precipitati per sei metri dal muro di recinzione

«Perdere la vita ai confini dell’Europa è inaccettabile. La violenza ai nostri confini è inaccettabile», ha detto la commissaria europea agli agli Affari Interni Ylva Johansson, in un dibattito molto teso sul tema al Parlamento europeo. Pur affermando la necessità di un’indagine approfondita sui fatti, Johansson si è soffermata soprattutto sul ruolo dei trafficanti di esseri umani che spingono migranti subsahariani ad attraversare illegalmente le frontiere delle enclavi.

La commissaria non ha criticato le autorità spagnole, con cui anzi vanta una «buona cooperazione» né quelle marocchine: con il governo di Rabat esiste del resto un piano di supporto europeo da oltre 300 milioni di euro che include il controllo delle frontiere

Lo hanno fatto, invece, parecchi eurodeputati, pur con intenti e angolazioni diverse. «Non può mai considerarsi un “problema risolto” la morte di decine di persone», ha attaccato il popolare spagnolo Juan Ignacio Zoido Álvarez, in polemica con il governo socialista del suo Paese e una dichiarazione avventata del suo presidente Pedro Sánchez. Il liberale Jordi Cañas, invece, ha puntato il dito contro il governo del Marocco, reo di una gestione delle frontiere che è «un mix tra negligenza, incompetenza e indecente utilizzo politico dei migranti per fare pressione sulla Spagna».

C’è pure chi se la prende con le stesse istituzioni europee: la destra di Vox, rappresentata da Hermann Tertsch, per una presunta volontà di accoglienza indiscriminata e Sira Rego di Izquierda Unida, al contrario, per una politica migratoria «razzista» che apre le porte agli ucraini e le chiude agli africani, visto che lungo il confine di Melilla «non esiste un solo punto dove chiedere asilo legalmente».

La complessità del dibattito è evidenziata dall’imbarazzo dei socialisti spagnoli, chiamati a difendere l’operato dell’esecutivo di Pedro Sánchez e la cooperazione con il Marocco. Proprio loro che di solito denunciano all’Eurocamera le politiche di esternalizzazione delle frontiere e violazione dei diritti dei migranti attuate da governi di destra.

Accuse respinte

Lo hanno fatto, ad esempio, nei confronti della Grecia, che violerebbe il diritto comunitario non permettendo spesso alle persone in arrivo sul suo territorio di inoltrare regolare richiesta di asilo, respingendole indietro di nascosto: un atteggiamento tipico di quella che viene definita la strategia della «Fortezza Europa».

L’accusa, lanciata a più riprese da organizzazioni internazionali e giornalisti investigativi, non è nuova, ma ha ripreso vigore di recente. Proprio un socialista spagnolo, il presidente della commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo (Libe), Juan Fernando López Aguilar ha scritto alla Commissione europea esprimendo preoccupazione e chiedendo chiarimenti, in particolare per ciò che succede al confine greco-turco segnato dal fiume Evros.

«Alla luce delle numerose segnalazioni allarmanti dei media e della società civile, la Commissione dovrebbe condannare qualsiasi uso della violenza e adottare tutte le misure necessarie al fine di garantire che lo Stato di diritto sia rispettato», si legge nella lettera. Il governo greco ha reagito negando i respingimenti e sostenendo che le accuse si basano sostanzialmente su informazioni fornite dalla Turchia. 

In realtà anche l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, riporta almeno 540 «episodi di rimpatri informali» effettuati dalle autorità greche, dall’inizio del 2020. Se sulla terraferma questo si traduce in spostamenti forzati delle persone oltreconfine, in mare significa lasciare alla deriva gommoni o persino gettare le persone in acqua.

Il confronto è culminato con un dibattito tra il ministro dell’Interno greco Notis Mitarákis e i parlamentari della commissione Libe a fine giugno. La commissaria Johansson ha poi incontrato altri rappresentanti del governo di Atene, portando loro un messaggio netto e una minaccia velata: «Le deportazioni violente e illegali devono terminare subito. I fondi per le politiche migratorie sono legati alla corretta applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione europea». 

Il supporto economico non è una leva trascurabile: la Grecia riceverà in totale un miliardo di euro entro il 2027 per sviluppare la sua rete di accoglienza. Johansson avrebbe ottenuto la promessa di un nuovo sistema per garantire il diritto d’asilo nel Paese, che sarà operativo dal primo settembre. 

Intanto vari eurodeputati hanno battuto sull’argomento nell’ultima sessione plenaria del Parlamento europeo, che ospitava il Primo ministro Kyriákos Mitsotákis. «Respingere i migranti non è una risposta europea», le parole dell’esponente dei verdi olandesi Tineke Strik, che ha evidenziato altri aspetti della gestione greca: l’affollamento e le condizioni degli hotspot dove sono alloggiati i migranti, le lunghe procedure in cui incorre chi riesce a fare richiesta d’asilo e l’azione repressiva nei confronti di quegli attivisti che denunciano irregolarità e trattamenti disumani. 

Mitsotákis però ha rivendicato il salvataggio di seimila naufraghi nelle acque greche e sottolineato l’enorme pressione esercitata dalla Turchia, che a suo dire utilizza i migranti come un’arma, esattamente come la Bielorussia di Lukashenko ha fatto nei confronti di Polonia e Lituania. «Voi parlate di pushback, ma noi assistiamo a dei pushforward: quando dalle coste della Turchia salpa un’imbarcazione con 200 persone a bordo è impossibile che le autorità non ne siano al corrente», ha affermato il primo ministro, chiedendo agli eurodeputati di «non credere alla propaganda turca» sul tema.

Oltre ad annunciare il miglioramento delle condizioni di accoglienza rispetto al precedente governo di sinistra, Mitsotákis ha voluto ribadire in maniera chiara il diritto di ogni Stato membro a «difendere i propri confini». 

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