«L’Europa come un dovere»: si apre all’insegna della frase di uno dei suoi più grandi statisti, Václav Havel, la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea della Cechia. Il dovere di ogni presidenza è guidare il Consiglio nelle sue trattative interne e con le altre istituzioni comunitarie. L’obiettivo principale che si prefiggono i cechi è sostenere l’Ucraina nel fronteggiare l’invasione russa, con tutti i mezzi possibili. Il governo di Petr Fiala, un’ampia e variegata coalizione di centro-destra, darà la precedenza assoluta a tutto ciò che riguarda il conflitto in corso e le sue conseguenze.
Dalla parte degli degli ucraini
Come ha detto il ministro ceco degli Affari europei Mikuláš Bek in un’intervista al quotidiano Politico, la guerra in Ucraina e il suo impatto in Europa saranno il leitmotiv della presidenza. Non a caso il tema occupa il primo posto nel documento in cinque punti redatto dal governo di Praga come bussola per i prossimi sei mesi. Periodo in cui l’Unione europea dovrà difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Paese con «tutti i suoi strumenti e programmi», fornire adeguato supporto militare e rafforzare le sanzioni alla Russia.
Ottenuto prima del previsto da Kiev lo status di candidato a entrare nell’Unione, che Praga puntava a concedere durante la propria presidenza, restano altre rilevanti questioni legate al conflitto. Come il più grande afflusso di rifugiati nella storia dell’Unione, che in Cechia ha portato circa 350mila ucraini finora: in questo caso serve coordinamento tra i Paesi membri e la Commissione per fornire protezione, accesso all’educazione e al mercato del lavoro a queste persone. La ricostruzione dell’Ucraina sarà un’altra sfida cruciale, per cui la Cechia spera di mobilitare le necessarie risorse finanziarie dentro e fuori dall’Unione.
Al secondo posto della lista c’è la sicurezza energetica, anch’essa minacciata dall’invasione, visto che gli Stati membri «devono rompere la sua dipendenza da gas e petrolio russi». Contemporaneamente, però, devono assicurarsi di avere abbastanza energia per l’inverno, cosa non scontata visti continui tagli alle forniture decise dal governo di Mosca. La sfida ravvicinata per i governi nazionali è il riempimento all’80% dei loro serbatoi di gas entro il primo novembre, come proposto dalla Commissione e approvato a fine maggio. Quella che attende la presidenza ceca è farli mettere d’accordo sul modo di raggiungere l’obiettivo, magari con acquisti comuni come quelli dei vaccini anti-Covid19.
I problemi di sicurezza negli approvvigionamenti, si legge nel documento contenente le priorità ceche, sono «al momento più urgenti rispetto alla transizione energetica» e sebbene la presidenza ceca «si concentrerà principalmente sugli obiettivi a breve termine»: considerazioni che lasciano intravedere un approccio quantomeno elastico ai piani di sostituzione delle fonti fossili.
C’entra con la guerra in Ucraina e con l’instabilità globale anche la necessità di «rinforzare le capacità difensive e la cybersicurezza dell’Ue». Non manca la menzione alla partnership con la Nato, particolarmente importante per i Paesi dell’Est Europa, né quella alla Bussola strategica, il nuovo piano di politica estera dell’Unione approvato da poco dai governi europei e ancora tutto da sviluppare.
La presidenza promette di prestare attenzione anche alla sicurezza informatica delle istituzioni e delle agenzie europee: un tema inevitabilmente intrecciato con la regolamentazione della rete, la gestione dei dati e l’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale. In questo ambito e alla ricerca del giusto equilibrio si muoverà il vice-ministro ceco per la digitalizzazione Ivan Bartoš, uno dei fondatori del Partito pirata ceco, che ha tra i suoi punti cardine la neutralità di internet, la trasparenza istituzionale e il diritto alla privacy online. Il partito è partner di minoranza della coalizione di governo ceca, ma Bartoš avrà il compito di guidare le riunioni dei ministri del settore e detterà l’agenda anche in base alla sua visione.
Tenuta dell’economia, nel mezzo di una forte tendenza all’inflazione, e delle istituzioni democratiche sono altri due punti di preoccupazione per l’esecutivo della Cechia. Da un lato si assicura il lavoro per mantenere all’altezza i valori di democrazia e Stato di Diritto nell’Unione, dall’altro si proverà a dare nuovo impulso alla negoziazione di trattati commerciali con i Paesi esteri: un capitolo praticamente bloccato durante la presidenza francese, con il governo di Parigi preoccupato dalle reazioni della sua filiera agricola e dell’opinione pubblica in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari.
Rischio dimenticatoio
Meno deciso sembra l’approccio alle politiche ambientali dell’Unione europea. La tradizionale ritrosia dei Paesi dell’Europa centro-orientale nel percorrere a tutta velocità la strada della transizione verde potrebbe manifestarsi in un attendismo ceco sui dossier principali in discussione. Che sono parecchi: a inizio luglio si comincia con la tassonomia europea, su cui deve esprimersi il Parlamento, poi sarà la volta di una serie di negoziati tra Eurocamera e Consiglio sulle varie tranche del pacchetto Fit for 55, tramite cui l’Unione dovrebbe ridurre del 55% le proprie emissioni di gas serra entro il 2030.
Il compito di mediazione della Cechia è particolarmente complicato, perché su ogni aspetto del pacchetto ci sono Paesi «recalcitranti». I nordici, ad esempio, non vogliono insistere troppo sulla legislazione per l’assorbimento di CO2 che potrebbe danneggiare la loro industria del legname; la Polonia vuole rinunciare al carbone il più lentamente possibile, mentre Francia e Germania sono arroccate sulla difesa, rispettivamente, di energia nucleare e gas come investimenti sostenibili. L’auspicio di terminare tutte le trattative entro la fine dell’anno sembra più una speranza che una previsione.
Uno scenario analogo si prospetta per quanto riguarda la strategia Farm to Fork, con cui la Commissione europea vuole incoraggiare le pratiche di agricoltura sostenibile e a filiera corta, tra cui un’ultima proposta che punta a una consistente riduzione nell’uso dei pesticidi entro il 2030. In entrambi i casi è molto probabile che la posizione del governo ceco, non proprio contrassegnato da un’ecologia radicale, incida sullo sviluppo delle trattative.
Allo stesso modo, rischia di rimanere indietro la discussione sul Pact on Migration, l’insieme di proposte legislative volte a ridisegnare la politica migratoria dell’Unione europea. Non è un caso se la presidenza francese ha provato fino alla fine del suo semestre a battere su questo tasto e nell’ultimissima riunione dei ministri degli Interni ha trovato l’accordo politico per riformare il sistema Eurodac (che conserva le impronte digitali e aiuta nell’assegnazione della competenza per la richiesta di asilo) e soprattutto per una piattaforma di redistribuzione su base volontaria delle persone approdate negli Stati mediterranei, pur dai contorni ancora indefiniti, a cui prenderanno parte 18 Paesi membri.
Progressi necessari prima dell’arrivo di una presidenza che per colore politico e tradizione nazionale non dovrebbe spingere troppo per condividere le responsabilità europee sui migranti. A meno che non si tratti di migranti ucraini.