Rusco ricco, mi ci ficcoNon sono stata invitata alle nozze Turci-Pascale, quindi tocca occuparmi dello spazzino di quartiere

A Bologna il sistema per aprire i cassonetti è talmente cervellotico che gli abitanti si rompono i coglioni e ficcano cose a caso in sacchetti enormi, poi però la spazzatura viene raccolta in modo che i bolognesi possano vantarsi di essere meglio dei romani

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Oggi è il primo di luglio. Il che significa sì che, se il Corriere ha ragione, domani l’ex fidanzata dell’ex Presidente del Consiglio sposerà una donna e diventeremo infine un paese postmoderno; ma – mi perdonerete se, non essendo invitata alle nozze, mi occupo di ciò che invece mi tange – soprattutto significa che ieri bisognava pagare la tassa sull’immondizia. A Bologna: rusco.

Poiché non mi ritengo affatto misura del mondo, non sto certo scrivendo quest’articolo per lamentarmi di dover essere andata sotto il sole cocente a pagare la tassa in banca giacché il comune di Bologna è così mal gestito che ti manda gli unici F24 dei quali il mio homebanking mi abbia mai detto «questi codici non mi risultano».

L’account rusco_ricco, che immortala la spazzatura lasciata per strada dai bolognesi, ha di recente sostituito nelle mie preferenze Instagram gocleanco, nei cui video un’australiana che ha fatto i fantastiliardi pulendo (a Bologna: sgurando) passa la candeggina in bagni di sconosciuti. Certo, vedere le piastrelle prima e dopo la cura, zozze e poi scrostate, dà soddisfazione e rilassa (gocleanco è perfetto se sei insonne), ma ieri rusco_ricco ha trovato fuori dai cassonetti bolognesi un ferro da stiro, una rete per i polli, un intero arredo da ufficio, scrivania e sedie e tutte cose.

Oggi è il primo luglio, e comincia uno dei tentativi di soluzione sbagliata del problema: lo spazzino di quartiere (Bologna è specializzata in puttanate i cui nomi si danno un tono; diversamente da Milano, i nomi con cui Bologna si dà un tono non sono in inglese: è già qualcosa).

Hanno fatto la conferenza stampa ieri, da oggi questi poveri capri espiatori gireranno per i quartieri pulendo. Solo che Bologna non è Roma (è peggio): la ragione per cui è sporca non è che manchino quelli che la spazzatura la raccolgono.

Anzi: non so rusco_ricco, ma io – se sono al telefono mentre passo di fianco a un cestino debordante, o a un cassonetto fuori dal quale sono stati lasciati sacchetti di umido e scatoloni di elettrodomestici – so già che al ritorno non potrò fotografarli, perché non ci saranno più (fotografare rusco è diventata la mia attività preferita allorché a Bologna: sono competitiva, non posso sopportare che tutti pensino che Roma sia più sporca solo perché c’è più gente che la immortala).

Il problema di Bologna non è che i rifiuti non vengano raccolti: è che nessuno li butta dove dovrebbe. È la teoria delle finestre rotte applicata al rusco, solo che è una variante che potremmo chiamare: teoria del divieto di avere le finestre rotte.

A Bologna, l’ho già raccontato un centinaio di volte, i cassonetti hanno una minuscola finestra. Perché non solo devi avere la residenza e relativa tessera magnetica per aprirli (e il lettore della tessera magnetica non funziona talmente mai che settimane fa il sindaco Matteo Lepore ha fatto dei video in cui una cittadina al suo fianco riusciva ad aprire un cassonetto, come avesse filmato il sangue di san Gennaro che si squagliava e lui fosse stato il vescovo benedicente); ma Bologna vuole anche rieducarti: devi avere un sacchetto piccolo, che entri nella finestrella, e perché sia così piccolo devi aver separato riciclato differenziato.

Il risultato è che i cittadini si rompono i coglioni e ficcano cose a caso in sacchetti enormi che nei casi migliori mollano fuori dai cassonetti (dove almeno passano spesso operatori a rassettare, e al ritorno dalla passeggiata potrai fotografare nuovi sacchetti fuori da quello stesso cassonetto) e nei casi peggiori infilano a forza nei minuscoli cestini stradali (che forse svuoteranno gli spazzini di quartiere).

Si potrebbe obiettare – l’ho fatto anch’io in passato – che il problema è l’enorme quantità di abitanti senza residenza ufficiale: ha senso che una città con così tanti studenti fuori sede permetta di buttare la spazzatura in maniera legale solo ai residenti? Chiaro che gli studenti la lascino per strada, che altro potrebbero fare? Già tanto che non la lancino dalla finestra, come sarei sovente tentata di fare io.

Ma, nel tempo, mi sono convinta che no, sia proprio una forma di discontento, e il rusco fuori dal cassonetto sia il modo in cui il bolognese lo segnala (mentre il sindaco instagramma garrulo che la sua è la città più accogliente d’Italia, o forse d’Europa, o forse del mondo).

Propendo per questa interpretazione da quando ho notato quante scatole, imballaggi, confezioni di elettrodomestici o di giocattoli ci siano, fuori dai cassonetti, il lunedì, in centro. In centro il martedì passano a domicilio a raccogliere la carta: veramente preferisci trascinare la scatola fino a un cassonetto che tenertela nell’ingresso ventiquattr’ore e lasciarla sotto il portone il giorno dopo? Certo che no: è che detesti il sindaco e vuoi fargli dispetto.

Oggi è il primo di luglio, e io darei qualunque cosa per essere invitata alle nozze tra Paola Turci e Francesca Pascale, ma visto che non lo sono andrò alla ricerca dello spazzino di quartiere, colui che non renderà Bologna una città in cui la raccolta dei rifiuti sia organizzata con un qualche senso, ma almeno impedirà al rusco di marcire sotto il sole, attirare pantegane, far diventare i portici tane di cinghiali. Lo spazzino di quartiere farà sì che la città in cui i cassonetti non puoi utilizzarli non perché sono strapieni ma perché sono selettivi possa continuare a dire di sé stessa, con la sicumera delle vere mitomani: Roma non ci somiglia per niente.

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