L’attesa qui da noi è tutta per The beginning il defiléeche. Maison Valentino ha programmato alle 20.00 di questa sera in Piazza di Spagna: «Roma è dove tutto inizia, la vita, le persone, le nostre storie e le nostre identità risiedono qui. Apparteniamo a questo luogo tanto quanto esso appartiene al mondo e a Valentino», spiega Pierpaolo Piccioli, Direttore Creativo della maison.
La conclusione della fashion week parigina dedicata all’Alta moda si delinea un cambiamento tranquillo all’orizzonte, e questo grazie a designer che utilizzano materiali riciclati o provenienti da fonti sostenibili.
È in questo modo che alcuni tra i più giovani couturier portano con sé l’ambizione di cambiare il settore dall’interno. Gli olandesi Ronald Van Der Kemp e Iris Van Herpencome l’italiana Sofia Crociani, ad esempio, fanno parte di quel numero ristretto – ma in crescita – che lavora con materiali riciclati o bio per ridurne l’impatto che il comparto tessile ha sull’ambiente.
Attualmente esistono 16 maison certificate dalla Chambre Syndicale dal Ministero dell’industria francese. In prima linea celebri come Chanel, Dior e Schiaparelli che possono dimostrare la loro capacità di creare capi su misura, in atelier con almeno 20 artigiani in grado di preparare minimo 25 disegni originali e presentarli al pubblico a gennaio e luglio.
A seguire arrivano quattro membri corrispondenti (non francesi) tra cui in questa stagione Valentino e Fendi. Il terzo livello è composto da designer ospiti, che non sono in grado di soddisfare tutti i criteri sopra esposti, ma vengono comunque considerati parte del settore e sono invitati a sfilare stagione dopo stagione.
Quello dell’alta moda è un processo produttivo legato alla tradizione sartoriale e in gran parte ancora nascosto. Elementi costitutivi come ricami, plissettature e gioielli sono quasi sempre il frutto di mani femminili per lo più sempre straniere. Segnale per altro della scomparsa di una sapienza artigianale da noi non più reperibile. Anche per questo, ma soprattutto per la nuova coscienza acquisita tra i più giovani dei problemi ambientali ineludibili che si parano innanzi, però anche qui qualcosa anche qui sta cambiando.
L’impatto ambientale delle produzioni tessili è i generale un problema che deve essere risolto e intorno al quale, al di là delle dichiarazioni di buona volontà, si fa ancora troppo poco. (A questo proposito le specificità dell’haute sono ben documentate ad esempio da “The most beautiful job in the world” di Giulia Mensitieri)
E allora accade che Sofia Crociani abbia cominciato a utilizzare capi vintage, deadstock e tessuti come la canapa per creare pezzi per il suo marchio di alta moda sostenibile Aelis, che lavora a stretto contatto con l’Università di Siena nella ricerca di possibilità da ottenere dai tessuti di canapa e intorno nuovi processi di tintura meno inquinanti di quelli tradizionali.
Si tratta per il momento di piccoli numeri, ma l’attività è a suo dire già redditizia e comunque indica una strada che potrebbe magari essere seguita dai brand più potenti. Iris Van Herpen che ha iniziato a sperimentare con stampe in 3D nel 2009 produce due collezioni all’anno ciascuna costituite da 40 look personalizzati. I prezzi oscillano tra i 30.000 e i 100.000 euro. Metà del tempo lo impiega per lo sviluppo di nuovi materiali in collaborazione con startup specializzate. Per la sfilata dello scorso martedì all’Eliseo di Montmartre ha disegnato 16 look fisici e tre look digitali.
Al centro della passerella scultura di scheletro di Casey Curran raffigurante la ninfa Dafne circondata da foglie d’alloro dorate sospese al soffitto, la sua spina dorsale di organza che ondeggia nella brezza. Il look di apertura, è stato realizzato in un tessuto biodegradabile composto da foglia di banana mista a seta grezza per formare un sinuoso drappeggio greco. Mentre una tuta color cioccolato realizzata con una fibra stampata in 3D basata con i gusci delle fave di cacao è stata combinata con organza riciclata.
L’olandese Ronald Van der Kemp ha lanciato il suo marchio nel 2014 acquista i suoi tessuti da negozi vintage, vecchie fabbriche che producevano tessuti couture e ritagli da grandi marchi di lusso. Per la collezione presentata lo scorso martedì ha utilizzato mousseline di seta degli anni ’70 ereditata dalle rimanenze di un’azienda non più attiva, usate per adornare un mini abito in organza con gonna a spirale. Poi un look diafano turchese e corallo realizzato con quel che rimaneva di un vestito un tempo indossato da Naomi Campbell. Un paio di jeans a zampa di elefante sono stati costruiti con un pazzesco patchwork di broccato, pelo di capra e jacquard da abbinare a un reggiseno realizzato con una bandiera americana scartata.
L’upcycling è in realtà una tecnica sartoriale tutt’altro che poverista: assai più semplice e meno costoso utilizzare tessuti industriali che smontare e rimontare in laboratorio capi costruiti come questi. Quanto all’eccentricità – uno degli atout più classici dell’alta moda – a nessuno dei couturier qui citati fa difetto.