E veniamo all’amore romantico vero e proprio. Prima di affrontare il problema dell’origine di questo sentimento, devo fare una breve premessa. Per trattare distesamente di questo stato d’animo che tutti conosciamo, ho dovuto fare un’incursione nel mondo anglosassone e trovare l’espressione romantic love. Da noi si parla continuamente di amore, ma si usa spessissimo lo stesso termine, «amore», per indicare indifferentemente ogni forma di amore: da quello romantico, appunto, a quello filiale; da quello materno a quello per lo studio; da quello più marcatamente sensuale a quello per Dio. Nel nostro uso linguistico è tutto «amore», anche se poi, all’occorrenza, si può sicuramente specificare con un aggettivo o con un complemento di che tipo di amore si tratta. È difficile dalle nostre parti trovare menzionato chiaramente l’amore per eccellenza, cioè l’amore romantico. È solo una questione linguistica, perché chi parla sa perfettamente a cosa ci si sta riferendo, e indugia in espressioni quali «pazzo d’amore», «ferite d’amore», «dispiaceri amorosi», «schermaglie amorose», «pene d’amore» e così via. In tutti questi casi è dell’amore romantico che si parla e della costellazione di fenomeni che lo accompagnano.
Io parlerò qui di amore romantico, e intenderò con questa espressione il legame che si istaura fra due persone che si amano, si desiderano e si possiedono, anche se in maniera incompleta e con grandi differenze di intensità.
Si è indagato poco sull’origine di questo potentissimo sentimento e io sospetto che sia a causa di un sottile fastidio che i più provano quando si cerca di parlare seriamente – se non scientificamente – di sentimenti per dar loro un corpo e un’anima. Come già rilevato da un certo numero di neurobiologi, fra i quali spicca Antonio Damasio, i sentimenti sono considerati un mondo a parte, che non può essere indagato con serietà e che, anzi, è meglio rimanga sempre nel vago. I sentimenti sono sentimenti e basta. In particolare l’amore. Ritengo fuori luogo questa posizione, e mi auguro che il tempo faccia giustizia, anche se non ci spero molto.
L’uomo ama vivere nel vago, nel mistero e nell’ignoranza, e ci sono persone e istituzioni che si sono assunte il compito di spingerlo in questa direzione. Anche Schopenhauer, nell’Ottocento, ha dovuto notare, nella sua opera maggiore, che «dovremmo sorprenderci che un oggetto [l’amore], il quale ha un posto tanto notabile nella vita umana, non sia per così dire mai stato preso in considerazione dai filosofi, e che ci si presenti come un argomento non ancora trattato da alcuno». C’è chi lo ha considerato espressione della più cieca e primitiva sessualità, per colpa della quale la persona umana è «abbassata sotto il livello dell’animale», e chi ne ha fatto un’entità metafisica, fondamento del senso dell’esistenza, se non dell’esistenza stessa.
Sull’amore è stato scritto tantissimo. È la passione più forte e totalizzante, con il suo desiderio di avere l’altro tutto per sé. È il prototipo del sentimento e della passione e l’elemento unificante di una molteplicità di stati emotivi. E le pene d’amore – quando non corrisposto, o non corrisposto abbastanza, o non corrisposto in tutto e per tutto, oppure tradito o addirittura vilipeso – sono il prototipo della sofferenza per un dolore di natura affettiva. Procurano una sensazione di vuoto e non ci danno pace. Ma l’amore non ci fa soltanto soffrire, anche se quando ci fa soffrire lo sentiamo con particolare evidenza. L’amore ci fa agire e ci gratifica. Dà un senso alle nostre giornate e ci pone in uno stato d’animo positivo. È uno stato d’animo e un «nodo» di sentimenti che ci accompagna per tutta la vita, pur con diverse intensità e persistenza.
Non esiste niente di più individualizzato e individualizzante della relazione d’amore. Per un periodo di tempo più o meno lungo la persona amata è unica, assolutamente unica: si ama quella specifica persona e nessuna la può sostituire né ora né mai. Esistono varie forme d’amore, ma tutte hanno in comune una focalizzazione totalizzante ed esclusiva su una persona determinata, focalizzazione che può avvenire un poco per volta, ma può anche realizzarsi all’improvviso, dall’oggi al domani, talvolta persino nel giro di poche ore. Di qui varie metafore, tra cui quella del «colpo di fulmine»; e, più in generale, l’idea di un intervento dall’esterno, di una dea o di un dio capriccioso che assume magari le fattezze di un fanciulletto, incurante di quello che fa, cieco o bendato, e a suo modo spietato. La perentoietà e la bizzarria dei coinvolgimenti amorosi trova forse il suo vertice nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, in cui la protagonista, Titania, troppo a lungo insensibile agli strali d’amore, viene costretta a innamorarsi di un asino per effetto di un sortilegio e con la complicità di una situazione singolare. Insomma, per amore può capitare qualunque cosa: tutti si possono innamorare di tutti, senza un criterio, senza una logica apparente, spesso a dispetto di rigide barriere materiali o sociali. Complice di tutto questo è la bellezza, che può rifulgere ovunque e annebbiare i sensi di chiunque.
Se è vero che l’amore per un uomo o per una donna è indubbiamente sostenuto dalla spinta sessuale finalizzata alla riproduzione, è altrettanto vero che l’amore come lo viviamo noi esseri umani è qualcosa di più sottile e di più coinvolgente della semplice scelta sessuale. Se l’amore non è quasi mai scevro dal desiderio, non si può ignorare la gamma estesissima delle forme che questo può assumere: ciò che avviene prima, durante e dopo è troppo ricco e articolato per poter essere ridotto a pura sessualità. Piuttosto, risulta sorprendente come, in mezzo a una simile tempesta emotiva, possa esserci ancora spazio, nella maggior parte dei casi, per il desiderio sessuale e i necessari adempimenti riproduttivi.
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L’attrazione sessuale, insomma, ha le sue leggi, generali e poco vincolanti, ma abbastanza comuni. L’amore no. L’amore non ha regole, e anche quelle dell’attrazione sessuale possono essere trascurate o sovvertite: prova questa della relativa autonomia del sentimento d’amore dalla sessualità. Come ha abbondantemente illustrato la letteratura di tutti i tempi, l’amore è cieco e «irragionevole», non segue principi facilmente individuabili. Talvolta ci si può innamorare persino dei difetti e delle debolezze, a onta di ogni logica di selezione sessuale e di prudenza. Tutto questo conferisce un inconfondibile sapore di unicità a ciascuna delle migliaia e migliaia di storie d’amore che si sono succedute nei tempi e nei luoghi della nostra storia.
L’amore romantico, in tutte le sue forme, costituisce un brillante esempio di come un’istanza che non ha di per sé uno statuto gerarchico primario possa raggiungerlo attraverso il condizionamento e la dipendenza. Il fatto è che alcuni circuiti mentali possono prendere le forme e le vie più diverse, rendendo indispensabile qualcosa che non lo era, e che magari è addirittura dannoso. E così si può arrivare a uccidersi per paura di morire, a soffrire per paura di soffrire, a non mangiare, a non dormire o a divenire casti per amore.
Le forme che prende l’amore fra uomo e donna nella nostra specie possono meglio comprendersi alla luce del fenomeno della fetalizzazione. L’immaturità del nostro cervello, la necessità che il corpo e la mente si sviluppino ancora per un lungo periodo di tempo fuori dal grembo materno, le conseguenti essenziali cure che i genitori devono avere verso i figli, fanno del bambino/a un soggetto assolutamente unico nel panorama degli esseri viventi e ne improntano moltissime manifestazioni, prime fra tutte le relazioni che intratterrà con i propri simili per l’intero arco della sua vita. Per molti anni, come abbiamo visto, il cucciolo dell’uomo si comporta come un neonato, o quasi. Deve conquistarsi continuamente l’attenzione e la benevolenza della madre e magari di entrambi i genitori e deve essere disposto a seguirli e ad ascoltarne gli insegnamenti e gli ammonimenti, per non correre rischi.
Questo atteggiamento di dipendenza protratta informa molte delle nostre azioni ed entro certi limiti fa dell’essere umano un eterno cucciolo, un «fanciullone». Tale pronunciato infantilismo condiziona in misura notevole la vita amorosa dell’essere umano, che cerca allo stesso tempo di soddisfare il proprio istinto sessuale e di trovare una specifica figura genitoriale‐filiale alla quale attaccarsi. D’altra parte, poiché nel rapporto amoroso i due partner non possono comportarsi entrambi contemporaneamente come figli, occorre che a turno i due membri di una coppia assumano un ruolo filiale e un ruolo genitoriale. Ed è quel che in effetti comunemente si osserva. Per alcuni aspetti della vita di coppia, uno dei due tende a giocare il ruolo del figlio, mentre per altri è costretto, per così dire, a giocare il ruolo di padre o di madre. Per altri aspetti, o in certe particolari condizioni, i ruoli si invertono. L’amore romantico, tipico della nostra specie, rappresenta quindi una forma peculiare di comportamento riproduttivo e di scelta sessuale che risente in maniera determinante della spiccata neotenia caratteristica dell’animale uomo.
Va inoltre considerato che per un animale inferiore è necessario e sufficiente sopravvivere fino all’età riproduttiva e riprodursi, mentre per un animale superiore, e per l’uomo in particolare, è necessario anche riuscire a portare la propria prole sana e salva almeno fino alla sua età riproduttiva. Metterla al mondo e basta non è assolutamente sufficiente. È solo una parte dell’opera. Questo tratto essenziale dei mammiferi superiori e dell’uomo viene spesso trascurato nei ragionamenti evoluzionistici. Le specie che generano molti figli e li mandano allo «sbaraglio» devono badare innanzitutto all’accoppiamento e alla produzione di una prole numerosa: gli obblighi finiscono lì.
Viceversa, per le specie che mettono al mondo pochi figli e che devono accudirli premurosamente nei primi tempi, portarli per mano almeno fino a un certo punto della loro esistenza è un imperativo fondamentale, la cui forza è dunque, probabilmente, inversamente correlata al numero dei figli partoriti nell’arco dell’esistenza. Per i genitori, nutrirli, proteggerli e istruirli sono funzioni imprescindibili per molti anni della propria vita. Rivelatrice, a questo proposito, è la connessione esistente tra manifestazioni amorose e offerta e scambio di cibo, e più in generale l’oralità. Il cucciolo di ogni specie superiore pretende il cibo dalla madre, e talvolta dal padre, e lo riceve. L’offerta di cibo e la sua aspettativa e sollecitazione sono elementi essenziali delle cure parentali e del rapporto madre‐figlio.
Richiesta di cibo e conseguente offerta vengono spesso ritualizzate in molti comportamenti sia animali che umani. Nell’amore romantico umano ritroviamo diversi aspetti di questa reciproca offerta, di elementi materiali o simbolici, che ruota intorno al bacio, considerato da alcuni come una derivazione dello scambio di cibo fra madre e figlio o subordinatamente fra i membri di una coppia. Anche se ipotesi del genere si muovono sul terreno assai scivoloso delle ricostruzioni di eventi del passato, per definizione unici e irripetibili, si presenta assai suggestiva l’idea di una derivazione di molti aspetti dell’amore romantico, quale lo conosciamo oggi, dal primitivo rapporto madre‐figlio nelle sue diverse componenti: nutritiva, di protezione, di rassicurazione e sostegno psicologico. Gli amanti si scambiano molte promesse e sono fondamentalmente proiettati verso il futuro, un futuro di convivenza e di collaborazione, immerso in una gioiosa aspettativa.
In questa rivisitazione squisitamente umana del rapporto maschio‐femmina, si ritrovano almeno due tratti caratteristici della biologia dell’Homo sapiens: il primato della vista fra gli organi di senso e l’accresciuto controllo della funzionalità della bocca. Nel passaggio dalle scimmie all’uomo, il controllo dei muscoli delle labbra e della lingua si è notevolmente raffinato, tanto da permetterci la pronuncia di suoni articolati intelligibili e in particolare delle vocali. Le scimmie non sono in grado di appoggiare l’emissione della voce su suoni vocalici, come non sono in grado di articolare quei gruppetti di modulazioni consonantiche che caratterizzano le varie lingue parlate dall’uomo.
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La necessità di un nucleo familiare stabile ha influito anche su molti altri aspetti del comportamento femminile, ma anche maschile: per esempio, lo sviluppo anomalo del pene e dei testicoli del maschio, che è da mettere in relazione con le necessità fisiologiche ma anche «promozionali» e psicologiche che questo stato di cose impone. Moltissimi dei tratti più interessanti e più decisamente umani della sessualità possono essere compresi in quest’ottica. Non insisteremo ulteriormente su sensualità ed erotismo, dal momento che su tali temi è stato scritto tantissimo. Solo un cenno all’importanza della sfera orale e all’attrazione sessuale esercitata dal seno femminile, che non sembra trovare riscontro negli individui di altre specie.
C’è qualcosa nell’amore umano che presenta i caratteri della perentorietà e della ridotta durata, tipici della pura attrazione sessuale: l’innamoramento. All’interno delle manifestazioni dell’amore romantico, l’innamoramento rappresenta una fase particolare, unica e strategica, dello sconvolgimento dei sensi. Nel periodo dell’innamoramento tutto si esalta, si potenzia e quasi si esaspera; i protagonisti «perdono il senno» per davvero e si abbandonano ad azioni e atteggiamenti mentali che non mostreranno in nessun’altra circostanza.
L’innamoramento segna l’inizio di una storia, più o meno lunga, ma che appare immediatamente eterna, e deve perciò possedere una forza particolare. Trasforma due estranei in due innamorati, rompe con una serie di consuetudini e di abitudini e conduce ciascuno degli amanti a trovare un posto per l’altro, soprattutto nel proprio mondo interiore, ma anche in quello esterno. In pochi giorni l’altro diviene tutto e si tende a dimenticarsi di se stessi, se non in funzione dell’«io e te». È un evento che scalda il cuore, risveglia i sensi, ci trasforma i connotati e ci spinge a preoccuparci anche del nostro aspetto. Ci fa sentire contenti e appagati anche se sempre assetati l’uno dell’altro. Ci fa sentire anche fiduciosi e un po’ ciechi. Ci fa sentire vivi e molto lontani dalla mesta riflessione sul senso della vita. Si brucia tutta l’energia vitale che si possiede senza cadute di motivazione e di attenzione. E senza riserve: altrimenti non è innamoramento.
Da “La scuola della mente”, di Edoardo Boncinelli, (il Saggiatore), pp.248, 19 euro