Compromesso al ribassoLa resistenza degli Stati membri dell’Ue a ridurre i consumi di gas

Approvato con pesanti deroghe il piano della Commissione: i Paesi insulari sono esentati dalla soglia obbligatoria, l’Italia taglierà solo il 7%

AP/Lapresse

L’accordo è stato raggiunto e l’unità europea è salva, come si sono affrettati a dire i ministri dell’energia dei Paesi dell’Unione europea. In realtà il piano presentato dalla Commissione una settimana fa per ridurre i consumi di gas dell’Unione è stato approvato con rilevanti modifiche, deroghe ed eccezioni, che ne inficiano l’obiettivo finale: il taglio del 15% del gas utilizzato rispetto alla media degli ultimi cinque anni, pari a 45 miliardi di metri cubi. Nemmeno la notizia recente di un nuovo problema tecnico nel gasdotto Nord Stream, che abbasserrà il volume dei flussi del 20%, ha convinto i governi nazionali a sposare la linea, ambiziosa, della Commissione.

Un piano contestato
La proposta originaria prevedeva infatti un target uguale per tutti i 27 Stati, volontario in un primo momento e obbligatorio nel caso di «allerta europea»: cioè di un rischio di carenza di combustibile, provocato da ulteriori interruzioni nelle forniture russe o da un inverno eccezionalmente freddo.

Diversi Stati, però, l’hanno contestata fin da subito invocando maggiore flessibilità, come raccontano a Linkiesta fonti diplomatiche. Ad alcuni non piaceva il fatto che la riduzione potesse diventare obbligatoria, né la soglia del 15% da raggiungere, considerata troppo alta. 

Altri contestavano il fatto che fosse uguale per tutti, nonostante le differenze nei mix energetici nazionali e nella dipendenza dal gas russo. Criticato pure il meccanismo dell’«allerta europea», attivabile su richiesta di almeno tre Stati membri e con decisione della Commissione senza votazione da parte del Consiglio. 

Il quadro della discussione era molto complicato e le trattative tra gli ambasciatori sono proseguite per sei giorni, fino all’incontro dei ministri. La più chiara era stata quella della Transizione ecologica spagnola Teresa Ribera, parlando di «sacrificio sproporzionato» per il suo Paese, che poco gas importa da Mosca e dispone di tanti terminal marittimi per ricevere gas naturale liquefatto. 

Anche gli altri Stati dell’Europa meridionale erano contrariati. Italia, Portogallo e Grecia hanno fatto trapelare in modi diversi il proprio scetticismo, che per il ministero della Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani riguardava sia la quota del 15%, sia la sua obbligatorietà, sia il fatto che fosse uguale per tutti. 

Nell’ambiente comunitario c’è chi ha sottolineato una sorta di revanchismo nei confronti della Germania, sostenitrice in passato di politiche fiscali rigide con i Paesi mediterranei: il governo di Berlino era uno dei più favorevoli alla proposta della Commissione, vista la forte dipendenza dalle importazioni russe.

Il ministro dell’Energia tedesco Robert Habeck ha chiesto «un passo in più che vada oltre gli interessi nazionali», evidenziando la strategia del Cremlino di minare la solidarietà nell’Unione europea utilizzando il gas come arma di pressione. 

Sulla stessa linea le argomentazioni del vice-presidente della Commissione Frans Timmermans, per cui è necessario ridurre il consumo dappertutto nell’Unione, in modo da non cadere nel «ricatto» di Vladimir Putin.

Compromesso al ribasso
Alla fine è stata faticosamente trovata la quadratura del cerchio: tutti più o meno soddisfatti tranne Ungheria e Slovacchia, che fino alla fine della riunione hanno ribadito la loro contrarietà al piano.

Intanto, il meccanismo di «allerta europea» che rende obbligatorie le riduzioni, può essere attivato su richiesta di almeno cinque Stati membri invece che tre, così come su iniziativa della Commissione. Ma in entrambi i casi deve passare al vaglio dei 27 Paesi, che possono approvarlo solo a maggioranza qualificata: con il parere favorevole, cioè, del 55% degli Stati con almeno il 65% della popolazione totale dell’Unione europea.

Una volta attivata la procedura di allerta, sono comunque previste delle deroghe, sintetizzate in sei punti dal ministro ceco Jozef Síkela, che ha condotto i negoziati. La prima è automatica e riguarda gli Stati insulari. Irlanda, Malta e Cipro sono esenti da una soglia obbligatoria di riduzione, perché i loro sforzi non garantirebbero più gas per gli altri, visto che le condutture nazionali non sono connesse a quelle di altri Paesi europei.

Poi c’è l’«eccezione baltica», legata a una circostanza specifica che potrebbe verificarsi in futuro. Le reti elettriche di Estonia, Lettonia e Lituania non sono agganciate a quella europea, ma a quella russa, almeno fino al 2026. Se Mosca dovesse mettere a repentaglio i loro rifornimenti, questi Paesi non potrebbero fare a meno del gas per compensare la produzione. 

Un’esenzione simile si applica anche agli altri Stati che dovessero avere problemi, di qualunque tipo, nel generare energia elettrica, per esempio perché il caldo riduce la portata dei corsi d’acqua utilizzati per produrla. In questo caso, sarebbero allora autorizzati a ridurre in maniera meno consistente i consumi di gas. «Non dobbiamo passare da una crisi del gas a una crisi dell’elettricità», ha spiegato a questo proposito in conferenza stampa la commissaria all’Energia Kadri Simson.

Ma una deroga può essere richiesta anche da quei Paesi che hanno «interconnessioni limitate» con gli altri membri dell’Unione e dimostrano di continuare a esportare il gas (compreso quello in forma liquefatta) ricevuto da Stati extra-Ue: la loro quota di riduzione obbligatoria verrebbe dimezzata. Oppure da un governo nazionale che abbia oltrepassato la soglia minima di riempimento dei propri depositi di gas (80% entro il primo novembre 2022) ed è molto dipendente da questo combustibile, con consumi aumentati di almeno l’8% nell’ultimo anno rispetto ai cinque precedenti.

Anche l’ultima clausola si può applicare teoricamente a tutti i Paesi e prevede di esentare le industrie che utilizzano il gas come materia prima per la produzione, come le aziende di fertilizzanti ed estratti chimici.

«Con le modifiche approvate, alla fine per l’Italia si tratterà di un risparmio del 7% di gas, che è la percentuale già prevista nel nostro piano», ha spiegato ai cronisti il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.

L’Italia, afferma, ha già sostituito 30 miliardi di metri cubi di gas russo tramite nuovi fornitori, ha acquistato due rigassificatori galleggianti che saranno operativi in 24 mesi e si avvia a diventare indipendente da Mosca entro un anno. Anche per questo si è battuta per abbassare il target.

Tutte queste difformità dalla proposta originaria riducono però sensibilmente il risparmio di gas stimato a livello complessivo. La Commissione assicura che, in caso di «allerta europea», anche se tutte le deroghe venissero attivate la cifra ridotta sarà comunque non inferiore ai 30 miliardi di metri cubi. E garantisce che basterà per superare un inverno con temperature nella media, pure in presenza di un’interruzione totale delle forniture russe. Non resta che sperare che non faccia troppo freddo.

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