Savoir faireGabriele Bianchi rivoluziona la sala

In un mondo della ristorazione mortificato dalla carenza di personale, il giovane livornese propone un nuovo stile di servizio e accoglienza

Valeria Boltneva - Pexels

Gabriele Bianchi, classe 1995, è direttore del Relais Villa San Martino di Martina Franca (Taranto), consulente per altri hotel di lusso in tutta Italia, sommelier, esperto nell’uso di tè, tisane e infusi nell’alta cucina e autore del libro “Cacio pepe e kombucha”. Di recente ha avviato il progetto “Rivoluzione Sala”, con cui porta negli istituti alberghieri del Bel Paese un modello di sala alternativo.

Nominato nel 2019 Miglior Cameriere d’Italia under 30 nell’ambito del Premio Emergente Sala, quest’anno ha vinto il premio Miglior food pairing d’Italia della guida Spirito Autoctono 2022 e ha ricevuto la consacrazione come uno dei cinque nomi più influenti nel panorama gastronomico italiano dalla rivista Forbes, che lo ha inserito nella classifica dei top 100 giovani leader del futuro.

Per scoprire la formula di questo successo e soprattutto fare qualche previsione sui prossimi sviluppi della ristorazione (vista dalla sala) lo abbiamo incontrato e gli abbiamo chiesto opinioni e qualche pronostico.

Nuovi protagonisti di un mondo in evoluzione
Mai come negli ultimi anni, il mondo della ristorazione ha visto l’esaltazione dello chef come protagonista assoluto, in quanto artefice di un’idea di cucina che inizia dalla scelta degli ingredienti e termina con la loro coreografica disposizione nel piatto. Quello che succede tra il pass e il tavolo del cliente non è stato oggetto di grandi riflessioni e, quindi, anche la figura del cameriere è rimasta nell’ombra, considerata come semplice tramite “logistico” tra cucina e sala. In realtà egli è responsabile di un servizio tutt’altro che accessorio rispetto al cibo, in cui anzi è fondamentale per garantire al cliente un’esperienza soddisfacente e piacevole, che li spinge a tornare.

Non chiamatelo “lavoretto”
Oggi, complice la carenza di personale in sala (come in cucina), il ruolo dell’accoglienza nella ristorazione è stato profondamente rivalutato e la figura del cameriere è divenuta oggetto di molti progetti pensati per avvicinare le nuove generazioni a una professione che finora è stata considerata come impiego temporaneo o “ripiego”, piuttosto che come progetto di vita sul quale costruire un futuro soddisfacente.

«Come avviene in tutti i settori – spiega Bianchi – anche in quest’ambito bisogna partire dal presupposto che il lavoro del cameriere non è adatto a tutti: ci vogliono empatia innata e predisposizione all’accoglienza, dedizione e attenzione, ma anche disinvoltura e spontaneità. Ma tutto questo non basta: prima di accettare o escludere l’idea di dedicarsi al servizio di sala serve anche un sistema capace di valorizzare la professione e motivare chi intende intraprenderla con la prospettiva delle soddisfazioni che si possono trarre dal far stare bene le persone, esprimendo al tempo stesso la propria personalità e crescere diventando parte attiva di un lavoro di squadra e di una filosofia di accoglienza».

L’arte del servizio è un tutt’uno con il “dietro le quinte”
Gabriele Bianchi conosce bene il mondo della ristorazione in tutti i suoi aspetti: nonostante la giovane età, da anni si muove tra tavoli, cucina e bancone, unendo il suo lavoro in sala con la passione per la mixology e la ricerca di abbinamenti innovativi tra le ricette più tradizionali della cucina italiana (o i piatti tipici del fine dining contemporaneo) e i drink meno conosciuti e considerati “inusuali” per la ristorazione classica.

«Sperimentare ruoli diversi all’interno di ristoranti e hotel mi ha dato un punto di vista privilegiato sulle dinamiche che legano sala, cucina e tutti gli altri spazi destinati all’accoglienza: dimensioni profondamente interconnesse e paritarie dal punto di vista gerarchico. Per funzionare al meglio devono muoversi in simbiosi e, al tempo stesso, coinvolgere il cliente nell’esperienza esclusiva (sensoriale ed emozionale) che viene creata a partire dal momento in cui varca la soglia e si affida ai professionisti che dovranno rendere indimenticabile la sua esperienza».

Empatia e calore umano prima di tutto
La sala (al pari della cucina) è fatta di persone. Pertanto, al di là della piacevolezza dell’ambiente e della bontà dei piatti, ciò che rende un pasto memorabile è la sua capacità di trasformarsi in un’occasione comunicativa giocata su codici differenti. Se allo chef spetta il compito di trasmettere una storia e un’idea di cucina attraverso l’aspetto e il gusto dei suoi piatti, al cameriere è affidato il ruolo di raccontare e valorizzare quella storia e quell’idea, con il linguaggio e con una gestualità coerente con il messaggio da trasmettere, ma al tempo stesso spontanea e disinvolta, personale e identitaria.

«Stare in sala – spiega Bianchi – significa godere di un rapporto diretto e privilegiato con il cliente, di cui si possono e si devono anticipare i bisogni, cogliere i gusti e registrare in diretta le reazioni, riportandole poi a chi sta dietro i fornelli in modo da rendere bidirezionale la comunicazione. Se questo scambio è costante ed efficiente, tra sala e cucina si instaura un rapporto simile a quello che prende forma tra i due lati del bancone, in cui il cliente assiste in diretta alla preparazione scenografica e al racconto del suo drink da parte del barman e questi può ricevere un riscontro immediato sull’apprezzamento o meno della propria creazione».

La tecnica non può mancare
Per quanto la passione per l’accoglienza sia importante (più ancora di un’indole naturalmente estroversa), per mettere in atto un servizio di livello serve una formazione ad hoc, che elevi la figura del cameriere rendendolo un professionista a 360 gradi, ma senza più le ingessature che in passato caratterizzavano i ristoranti “di lusso” (o aspiranti tali).

«Oltre a conoscere come spiegare il menù, versare il vino, servire e ritirare i piatti, oggi per un cameriere è importante imparare a muoversi con disinvoltura tra i tavoli, conoscere ciò che propone al cliente, saper suggerire percorsi culinari e abbinamenti adatti con vini e altre bevande, e riuscire a compensare con la sua presenza e personalità eventuali lacune della cucina. Il tutto mantenendo il giusto equilibrio tra familiarità e discrezione, per realizzare un servizio coinvolgente ma discreto, cucito su misura per ogni cliente e per ogni circostanza».

L’abito non fa il monaco, ma fa il cameriere
Non si tratta di uno stereotipo, ma di un legittimo meccanismo psicologico che, in tutte le situazioni, spinge a formulare la famigerata “prima impressione” a partire da ciò che l’occhio restituisce, alimentando di conseguenza aspettative coerenti con quel che si vede. Pertanto, proprio come si presta attenzione all’arredamento, all’apparecchiatura e all’impiattamento delle portate, affinché siano in linea con l’anima del ristorante, anche l’aspetto del personale deve essere adeguato all’ambiente e alla storia che il servizio vuole raccontare.

Lo scorso marzo, nell’ambito di Pitti Taste 2022 di Firenze, Bianchi ha presentato “Food Couture”, la prima sfilata di abiti da sala, con una collezione di 24 abiti realizzati da La Casa della Divisa. «Il cameriere lavora con la propria immagine, trasformandola al tempo stesso nel riflesso di un’idea di cucina, nel biglietto da visita del ristorante, ma anche in uno strumento per farsi imprenditore di se stesso. In quest’ottica anche l’abbigliamento si presenta al tavolo è un elemento essenziale da non trascurare, perché è capace di cambiare lo stile della sala e di influenzare la soddisfazione del cliente rispetto all’esperienza complessiva del pasto».

Una carriera “rivoluzionaria”
Tra soddisfazioni personali e riconoscimenti internazionali, apparizioni in tv, attività sui social e inviti a eventi e manifestazioni dedicati al mondo del food&wine, Gabriele Bianchi è diventato il primo influencer italiano nel settore della sala e dell’accoglienza, ma anche l’ambasciatore e il testimonial di una nuova idea di imprenditoria nella ristorazione, basata proprio sul ruolo del cameriere. Da poco ha avviato il progetto Rivoluzione Sala, ideato nel 2019 con lo scopo di portare negli istituti alberghieri di tutta Italia un modello di sala alternativo, che ispiri i giovani che vogliono seguire le sue orme e li motivi a pensare fuori dagli schemi, ma anche a creare una sinergia tra scuola e aziende, in modo da ampliare il percorso formativo e agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro.

«L’obiettivo è garantire agli studenti una competenza professionale completa ma anche spingerli a compiere esperienze collaterali al puro servizio in sala, che li aiutino a conoscere meglio se stessi, ad allargare i propri orizzonti mentali, a sviluppare una maggiore sicurezza e a esprimere un proprio stile relazionale nel modo di interagire con i colleghi e con il cliente».

Oltre le polemiche, alla ricerca di soluzioni nuove
In una fase storica animata da diatribe e polemiche a proposito della carenza di personale, del trattamento economico inadeguato e dello stile di vita che disincentiva i giovani a intraprendere una carriera nell’ambito della ristorazione, Gabriele Bianchi punta piuttosto sulla ricerca di soluzioni concrete, praticabili nell’immediato: «Lamentarsi non risolve nulla, quindi nell’attesa che le istituzioni mettano mano al contratto collettivo nazionale del lavoro bisogna iniziare ad avviare una trasformazione dall’interno, che renda i giovani consapevoli del fatto che il lavoro in un ristorante non sarà mai come l’impiego in un ufficio: orari, mansioni, responsabilità variano a seconda delle circostanze estemporanee, e solo chi è realmente appassionato riesce ad accettare i sacrifici che questa estemporaneità richiede alla vita privata. Ciò non toglie che sia necessario anche un impegno nuovo da parte delle aziende, che devono garantire ai giovani lavoratori un trattamento (in termini di esperienze, stimoli e prospettive) adeguato a motivarli a proseguire la loro carriera nel settore, grazie anche a un sistema basato sulla meritocrazia».

Futuro prossimo e orizzonti lontani
Il 5 ottobre Gabriele Bianchi sarà ospite del primo Festival di Gastronomika, al teatro Franco Parenti di Milano, insieme a più di altri 100 professionisti dell’enogastronomia italiana under 40 (chef, produttori, comunicatori e addetti ai lavori), che si confronteranno su diversi aspetti del settore ristorazione e accoglienza, scambiandosi opinioni, idee e spunti, e condividendo riflessioni e progetti.

Ma questo non è (ovviamente) l’unico progetto nell’orizzonte del giovane cameriere-influencer: «Oltre a proseguire la mia attività di insegnamento nelle scuole e consulenza negli hotel, continuerò a portare un servizio “giovane” e di livello in diverse strutture ricettive di tutta Italia con Gabriele Bianchi Hospitality Management, che ad oggi dà lavoro a 500 ragazzi. In più, in cantiere c’è anche il progetto televisivo di un reality dedicato al mondo della sala; un altro tassello per cambiare la prospettiva su questo ambiente complesso e affascinante, renderlo sempre più protagonista della ristorazione 2.0 e farne il punto di partenza per nuove avventure e soddisfazioni. Le parole d’ordine però restano sempre le stesse: determinazione, umiltà, curiosità e sogno». In sala, in cucina, in qualsiasi altra professione e nella vita.

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