La schiatta lombardaI primi, veri, colpevoli dello svacco istituzionale di oggi sono Berlusconi e Bossi

Hanno portato in Parlamento sfaccendati e disadattati, liberalesse della mèche, bifolchi e belle figliole da cene eleganti. Hanno elevato a sistema quella che, nella Prima Repubblica, era una quota fisiologica di impresentabili, preparando il terreno per l’analfabetismo al potere (anche nella parte avversa)

Mauro Scrobogna /LaPresse

Il degrado plebeo delle assemblee legislative e, in generale, dell’ambito pubblico si deve all’opera di due principali, se non esclusivi, responsabili: Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Gli altri, pressoché tutti e con esperimenti di legittimazione non meno desolanti, hanno preso a seguirli senza perplessità, ma furono quelli, il Cavaliere e il finto medico di Cassano Magnago, a portare in Parlamento stormi di liberalesse della mèche, plotoni di addetti alle televendite e manipoli di sfaccendati vaccamadonna e puttanaeva distolti dall’interlocuzione col bianchino nei meglio bar della Padania irredenta a Roma ladrona.

Quel che è venuto dopo in campo avverso, dal mezzo coglione da centro sociale al coglione intero da sagra sindacal-pacifista, l’uno e l’altro sottratti al tremendo precariato da quarantaquattrenni presso papà e mammà, e sino al vento del vaffanculo impetuoso nelle vele del vascello dei venditori di lupini, dei fuori corso sempiterni, dei cancellieri di tribunale in carriera statica perché inetti anche a far fotocopie, dei giureconsulti con curriculum disco dance, dei disadattati, degli sgherri, dei teppistelli, degli ignoranti abbestia messi a presidente di commissione, a sottosegretario, dio santo, a ministro, tutto questo era preconizzato nelle liste elettorali di Forza Italia e della Lega di Bossi, ripiene secondo la specialità di ciascuna di bei giovanotti e care figliole uniformati in dress code da cena elegante e allegri bifolchi in impavida crociata da Pontida a Montecitorio: tutti, ovviamente, splendidamente refrattari alla pericolosissima esperienza di leggere qualcosa, studiare qualcosa, imparare qualcosa.

Non che la fedina culturale dei predecessori democristiani, comunisti, socialisti e insomma primo-repubblichini fosse sempre illustre, anzi, perché una quota di rappresentanza era pur concessa anche allora, perlopiù in funzione di interfaccia corruttiva o per irresistibile esigenza familista e clientelare, a qualche campione che non sfigurerebbe nell’odierna sentina dell’uno vale uno che ha perfezionato e diffuso la pratica berlusconian-bossiana. Ma si trattava, appunto, tra i ranghi di quei partiti tradizionali, di presenze testimoniali ed episodiche, non della regola, e in ogni caso non si assisteva all’elevazione a modello del villano rifatto, delle “signore”, come le chiama Berlusconi, che “sono bravissime e parlano anche l’inglese”, dei venditori di spazi pubblicitari istruiti a cantare meno male che Silvio c’è e del comunista padano che si preparava a manovrare le ruspe organizzando i cori contro i napoletani puzzolenti.

Il terreno del primo analfabetismo al potere l’han preparato loro, Bossi e Berlusconi. Le prime schiatte della canaglia parlamentare sono generate dai lombi di quella leadership lombarda. E viene da quella primogenitura il successivo e ormai irrimediabile svacco politico e istituzionale del Paese.

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