Nel mirino del DragonePerché l’acquisizione cinese del porto di Amburgo riguarda anche l’Italia (e l’Ue)

La compagnia statale Cosco, con sede a Pechino, è in attesa del via libera dal governo tedesco per l’acquisizione del 35% delle quote del terminal Tollerot, il terzo più importante d’Europa per volume di traffici. Il prossimo obiettivo potrebbe essere Trieste

AP/Lapresse

Le mire cinesi sui porti dell’Europa non si fermano. Dopo aver rafforzato la propria presenza nello scalo greco del Pireo, ritenuto uno dei più importanti a livello europeo, e aver conquistato il 10% del traffico marittimo che passa per i principali porti del Vecchio continente, la Cina si appresta ad entrare ad Amburgo.

La compagnia statale Cosco è in attesa del via libera dal governo tedesco per l’acquisizione del 35% delle quote del terminal Tollerot, il terzo più importante d’Europa per volume di traffici e al momento gestito dalla compagnia di logistica Hamburger Hafen und Logistik AG (Hhla), partecipata dall’ente amministrativo federale di Amburgo.

Berlino ha tempo fino a settembre per esprimersi sulla questione, ma Olaf Scholz sembra meno propenso ad approvare l’acquisizione rispetto ad Angela Merkel, che aveva invece espresso parere positivo. Il suo mandato però è terminato senza il via libera ufficiale all’operazione, che è passata così nelle mani del nuovo esecutivo.

Il cancelliere tedesco, visto anche lo stato attuale delle relazioni tra la Cine e l’Unione europea, ha deciso di coinvolgere proprio Bruxelles nel processo decisionale, utilizzando il meccanismo di screening degli investimenti esteri diretti introdotto a fine 2020.

Il Regolamento è stato creato per valutare l’impatto che gli investimenti provenienti da un paese terzo non appartenente all’Unione potrebbe avere in termini di sicurezza e ordine pubblico. Obiettivo ultimo del meccanismo è quello di evitare che un soggetto esterno all’Unione europea possa in qualche modo interferire con gli affari interni dell’Unione e dei suoi Stati membri attraverso particolari operazioni finanziarie.

Nello specifico, il meccanismo valuta l’impatto degli investimenti esteri diretti verso infrastrutture strategiche, tecnologie critiche (come l’intelligenza artificiale o la robotica), approvvigionamento di materie prime ed energia, ma anche in ambiti legati all’informazione e alla gestione dei dati.

Nell’effettuare questo tipo di valutazione, viene anche vagliata la presenza o meno dello Stato nell’azienda che effettua l’investimento. Il quadro legislativo, come è facile intuire, è stato pensato proprio per mettere un freno alle acquisizioni di quote di mercato strategiche da parte della Cina, cresciute rapidamente nel giro di pochi anni, attraverso un meccanismo simile al Golden power statale. Un meccanismo usato anche da Mario Draghi per frenare quegli investimenti cinesi in Italia diretti verso l’acquisizione di aziende ad alta tecnologia classificate dal governo come strategiche.

Ma la decisione che verrà presa dall’esecutivo tedesco – con il supporto dell’Unione – relativamente al porto di Amburgo riguarda anche il nostro Paese. Nel 2018 la Hhla ha acquistato il 50,01 percento delle quote della società Piattaforma logistica Trieste, battendo la concorrente CMG (China Merchants Group), compagnia statale cinese già presente in diversi scali europei e del Mediterraneo.

L’acquisizione del 35% di Tollerot e l’avvio di una partnership con la Hhla potrebbe quindi permettere alla Cina di consolidare la sua presenza anche nel porto di Trieste. La Cosco infatti ha già messo piede nello scalo giuliano a fine giugno, quando ha inaugurato un collegamento ferroviario con la Slovenia per il trasporto di componentistica per la fabbrica cinese Hisense, proprietaria dal 2018 della ditta slovena Gorenje, quarta produttrice di elettrodomestici in Europa.

L’acquisizione di alcune quote di Tollert quindi avrebbe delle ricadute non solo sulla Germania, ma anche sull’Italia. Tra l’altro maggiori investimenti dell’azienda cinese nello scalo triestino potrebbe rappresentare un problema per la sicurezza: come già evidenziato in passato tanto dal Copasir quanto dagli Stati Uniti, la presenza delle aziende statali cinesi in determinati scali italiani mette a rischio le basi militari americane e Nato presenti nel Paese.

Questo stesso problema si era presentato anche nel caso dell’insediamento della Ferretti nel porto di Taranto. Il gruppo ha ottenuto una concessione quarantennale per l’installazione di un cantiere navale per la costruzione di scafi per yacht nell’ex yard Belleli, a meno di dieci miglia nautiche dalla base Nato. Proprio la vicinanza alla sede dell’Alleanza atlantica aveva allarmato gli Stati Uniti e il Copasir, preoccupati dalla presenza a sole poche miglia di un’azienda che, pur vantando un management e un know-how italiano, è detenuta per l’86% dalla cinese Weichai, anch’essa di proprietà del governo.

Alla fine il progetto, che ha un valore di 200 milioni di euro, ha ottenuto il via libera, ma la necessità di vagliare con particolare attenzione gli investimenti esteri cinesi resta. Coinvolgendo possibilmente anche l’Europa.

La scelta tedesca di spostare in sede europea la decisione sull’acquisizione da parte di Cosco delle quote del porto di Amburgo potrebbe essere un esempio per l’Italia e per gli altri Paesi europei in cui la Cina punta ad investire. Prima di tutto il meccanismo di screening europeo può essere un utile strumento per avere un ulteriore parere sull’impatto che determinati investimenti esteri possono avere sulla sicurezza non solo del Paese direttamente coinvolto nel processo negoziale, ma anche dell’Europa. In secondo luogo, un approccio unitario agli investimenti esteri potrebbe mettere un freno all’espansione cinese nel Vecchio continente e ridurre la competizione tra Stati nell’accaparrarsi fondi stranieri in momenti di crisi.

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