Prendere coscienzaIgnorare le pressioni mediatiche sulla crisi climatica aiuta a combattere l’ecoansia

Credere in una nuova generazione che risolverà il cambiamento climatico può essere tradotto come un meccanicismo di difesa - il nuovo libro “Ecoansia” aiuta a essere più attivi nella sensibilizzazione ambientale e a gestire le paranoie causate dal global warming

L’effetto del cambiamento climatico sulle funzioni psicologiche e sul funzionamento del nostro cervello non è limitato alle conseguenze psichiche di eventi catastrofici, nei quali il rapporto causa-effetto è facilmente individuabile. Anche cambiamenti più sottili e lenti, meno percettibili, legati all’aumento delle temperature e all’inquinamento dell’aria hanno conseguenze sul cervello. Ad esempio, l’azione negativa del cambiamento climatico sulla capacità del nostro cervello di pensare e memorizzare è ormai accertata. Il particolato 2,5, una tossina di piccolissime dimensioni che si trova nell’aria e che è in grado di penetrare nel nostro organismo, sembra avere un ruolo centrale nel peggioramento delle nostre capacità cognitive. Si stima infatti che questa tossina sia responsabile di circa il 21% dei casi di malattie neuodegenerative nel mondo (Cacciottolo et al., 2017) e che una precoce esposizione a essa possa inficiare lo sviluppo delle abilità cognitive fondamentali, della memoria e dell’attenzione uditiva nei bambini.

Un aumento delle temperature, inoltre, può causare un deterioramento delle funzioni cognitive sopprimendo la secrezione di ormoni tiroidei (Sarne, 2016), stimolando la secrezione di GH, l’ormone della crescita, e della prolattina (Pranskunas et al., 2015) o portando alla disidratazione (Piil et al., 2018) come evidenziato da Palinkas e Wong (2019) Vari fattori climatici hanno una comprovata azione negativa sui livelli di aggressività e di violenza, sia a breve sia a lungo termine. Anzitutto, l’aumento delle temperature, riducendo la funzione cognitiva (Pilcher, Nadler e Busch, 2002), può incrementare i livelli di aggressività e di eccitabilità, diminuire l’attenzione e l’autoregolazione, compromettere la capacità di risolvere un conflitto senza violenza, aumentare i pensieri negativi e ostili (Bushman e Anderson, 2001; Anderson, Deuser e DeNeve, 1995).

Inoltre i disastri naturali, esponendo gli individui a minacce personali alla vita, perdita di persone care e di proprietà, distruzione dell’ambiente circostante, collasso dei sistemi di sicurezza sociale, della coesione e dell’armonia sociale, possono dare vita a reazioni di aggressività e violenza (Norris et al., 1999). Queste emozioni possono essere espresse interiormente, e pertanto portare un individuo a farsi del male, oppure esteriormente, spingendo le persone a far male agli altri. Le vittime principali delle violenze sono le donne e i bambini, soprattutto quelli appartenenti a classi sociali svantaggiate (Feng et al., 2007; Phifer, Kaniasty e Norris, 1988) come sottolinea la “World health organization” nel suo rapporto sulla violenza interpersonale e i disastri ambientali.

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Il cambiamento climatico in atto e la sua divulgazione globale a caratteri pessimistici e catastrofici hanno inevitabilmente prodotto un insieme di effetti psicologici negativi, soprattutto nei giovani. La comunità scientifica e i media non hanno ancora sviluppato un’adeguata consapevolezza circa l’esistenza di questi effetti né dei meccanismi con cui si sviluppano, dal momento che la loro genesi e il loro mantenimento sono ascrivibili a cause meno chiare di quelle che determinano reazioni a eventi specifici, come ad esempio l’ansia prestazionale o la depressione dopo un lutto. Inoltre, queste emozioni non hanno ancora una classificazione nosografica e nemmeno una terminologia specifica. In particolare, le culture e le popolazioni occidentali generalmente non percepiscono gli effetti diretti delle mutazioni del clima, quali taluni eventi meteorologici catastrofici, ma sono più permeabili agli effetti mediatici distopici. Tali stimoli mediatici veicolano messaggi pessimistici proponendo un futuro sempre meno sostenibile e destinato a un lento e inesorabile degrado, capace di portare all’estinzione la specie umana in poche centinaia di anni.

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Per l’ecoansia vale lo stesso discorso: individui affetti da ecoansia, correlata a bassi livelli di autoefficacia, potrebbero non adottare comportamenti pro-ambientali in risposta all’ansia, perché convinti di essere incapaci di avere un’azione efficace sull’ambiente (Bandura, 1988), non riducendo pertanto i propri sentimenti di ansia e rischiando di arrivare a sentirsi sempre più impotenti, fino all’ecoparalisi (Albrecht, 2011).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ecoansia”, di Matteo innocenti, Erickson, 152 pagine, 15 euro

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