Abbracciare l’ignotoL’arte di Flora Deborah tra viscere, terra e cioccolato

L’approccio dell’artista franco-israeliana cerca di stimolare la nascita di un linguaggio universale, conseguenza dall’empatia tra le persone, che non si appiattisca su un unico idioma codificato. Il suo obiettivo consiste nel condividere un’esperienza intima con lo spettatore

Courtesy of Flora Deborah

Flora Deborah è una giovane artista franco-israeliana molto attiva sulla scena internazionale: nata in Francia, vive tra Milano, Londra e Tel Aviv. La sua ricerca si caratterizza per l’eclettismo impiegato nel processo di autoconoscenza attraverso l’arte. Interiora, viscere, terra sono gli elementi che l’artista impiega nelle sue opere per imparare a conoscere empiricamente se stessa, gli altri e il mondo nella sua complessità. 

Secondo Flora Deborah il nostro “essere” è in funzione di ciò che è “altro” da noi: non siamo isole e ciò che ci circonda, incluso ciò che è stato prima di noi, finisce per influenzare chi siamo noi ora. È un circolo virtuoso o vizioso di crescita, che non può che partire dal socratico “conosci te stesso”.

Comprendiamo in questo modo il perché dell’importanza per l’artista della dimensione installativa ed esperienziale: l’arte non è rappresentazione, ma è una concatenazione di azioni e reazioni, anche e soprattutto del pubblico, che spesso diventa attore e artefice dell’opera finale. L’apice di questo approccio inclusivo e interattivo all’arte, Flora Deborah l’ha raggiunto recentemente con la performance “Semi: una lingua per una pietra” ospitata all’interno della mostra SEMI al Gaggenau DesignElementi di Roma (aperta fino al 28 ottobre). 

Courtesy of Flora Deborah

L’artista ha concepito tutta la mostra come un’unica grande opera che si completerà solo alla fine. Riprendendo la tradizione ebraica per cui sulle tombe si lasciano pietre al posto dei fiori, Flora Deborah chiede a ogni visitatore di portarle e donarle una pietra. Dopo aver lasciato la pietra, ci si può addentrare a vivere un’esperienza di autocoscienza, stimolata dal confronto con le opere d’arte. Lo spettatore si trova infatti circondato da lingue realizzate in diversi materiali: terra, oro e cioccolato. 

La lingua secondo l’artista fa da ponte tra le nostre emozioni e il mondo esterno. Ognuno di noi parla un proprio “lessico familiare”, un idioma unico e irripetibile, frutto della sedimentazione nel tempo del nostro vivere quotidiano. Purtroppo questi linguaggi, così infinitamente diversi, rischiano di risultare divisivi (basti pensare alla questione linguistica nel conflitto Russia-Ucraina). Il gesto artistico di Deborah va nella direzione opposta e cerca di stimolare la nascita di un linguaggio universale, conseguenza dall’empatia tra le persone, che non si appiattisca su un unico idioma codificato (come era nell’esperimento dell’esperanto) ma che sia l’insieme ideale di tutti i nostri infiniti lessici familiari. 

Per tale ragione l’esperienza performativa di “Semi” si conclude con l’invito dell’artista “Apri il frigo e mangiami”. Queste parole magiche generano emozioni contrastanti nello spettatore: ironia, stupore, ma anche fisiologico timore nei confronti dell’ignoto e di ciò che non si capisce. All’interno del frigorifero sono custodite delle lingue nere, realizzate in cioccolato dall’artista attraverso un calco alimentare. Allo spettatore non viene detto che si tratta di cioccolato: deve fidarsi, prendere una “lingua dell’artista” e mangiarsela senza altre spiegazioni. 

Courtesy of Flora Deborah

Flora Deborah spiega così questo gesto, a tratti estremo: «La lingua è il ponte tra la nostra emotività, le interiora, la parte più intima e il mondo esterno. È un organo possente, fortissimo e importantissimo che plasma tutto il nostro essere. È quindi un organo che va studiato per capire come funzioniamo e chi siamo. Per tale ragione ho voluto estendere la performance “Kiss me I’m French”, realizzata nel 2017 in Israele al Museo Zumo on the move. Se nel 2017 il frigorifero era trasparente e lo spettatore non mi lasciava nulla, oggi ci sono un confronto e uno scambio concreti. Una pietra per una lingua. Cosa c’è di più vicino della terra su cui camminiamo e della lingua? Entrambi ci connettono, e il mio lavoro nasce per conoscersi, per unire le persone».

Solo dopo essersi conosciuti l’artista e lo spettatore condividono questa esperienza intima e profonda: se da un lato l’intento iniziale nel 2017 era quello di criticare i nazionalismi e i sistemi identitari divisivi, negli anni Flora Deborah è riuscita a dare forma a un gesto artistico maturo che, senza alcuna forma di paternalismo, spinge lo spettatore ad aprirsi e a crescere con l’Altro. Se ci pensiamo attentamente, quando cerchiamo di conoscere una nuova persona è fondamentale fidarsi. L’opera finale di Flora Deborah, che si disvela dietro il gesto di aprire il frigo e abbracciare l’ignoto, è così la costruzione di una nuova Torre di Babele, fatta di pietre, pensieri e sensazioni, luogo reale di dialogo e confronto universale. Un sogno? Forse no: è sufficiente aprire il frigorifero.

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