Questa è una storia che parte dalla terra. Una terra che dà, una terra che toglie. Ma toglie solo quello che non può far crescere. Questa è anche la storia di una famiglia che nella terra ha investito passione, conoscenze e anche qualcosa in più: un mondo d’arte e consapevolezza. La mente da cui tutto è partito è quella di Giorgio Rossi Cairo che nel 2003 ha acquistato i primi vigneti de La Raia nelle colline del Gavi, nel basso Piemonte, con l’idea di preservare i tratti peculiari di questo paesaggio, sempre più eroso dalla vicina urbanizzazione, e le sue risorse naturali. Così, negli anni, la famiglia Rossi Cairo ha intrapreso una ristrutturazione conservativa di quella che un tempo era una vecchia posta trasformandola in una vera e propria locanda – La Raia appunto – e lo stesso ha fatto in vigna e in cantina, dove ha applicato i principi dell’agricoltura biodinamica che in terra di Gavi è cosa assai eccezionale.
«Furono i miei figli a suggerirmi la strada biodinamica per ritrovare la nota originaria di questo territorio che da secoli custodisce il vitigno autoctono dell’uva Cortese. Era un approccio coerente con il desiderio di creare un luogo equilibrato e armonico in tutte le sue componenti: agricole e paesaggistiche ma anche architettoniche, sociali e culturali. Da quell’intuizione è nata La Raia, azienda agricola biodinamica certificata Demeter, che si estende per oltre 180 ettari, tra viti, pascoli, terreni a seminativo e boschi. All’attività dell’azienda agricola si sono aggiunti negli anni una scuola steineriana, gestita da mia figlia Caterina insieme all’associazione Cascina del Melo, e portaNatura, l’iniziativa di suo marito Tom Dean dedicata alla produzione, commercializzazione e consegna a domicilio di frutta, verdura e prodotti biologici. Nel tempo abbiamo completato il restauro conservativo di una delle cascine dell’800 presenti all’interno della tenuta, Borgo Merlassino: una piccola struttura ricettiva immersa nella quiete del Gavi che apre le sue porte a chi desidera vivere appieno la natura. Nell’aprile 2017 è stata inaugurata Locanda La Raia: un tempo stazione di posta e luogo di sosta per i viaggiatori, oggi boutique hotel che propone un nuovo concetto di ospitalità fatto di tempi rilassati, con un servizio dedicato, spazi silenziosi che dialogano con la bellezza della natura circostante e un ristorante con i menù firmati Tommaso Arrigoni, chef stellato di Innocenti Evasioni di Milano.
Inoltre, nel 2013 abbiamo costituito Fondazione La Raia- arte cultura territorio con l’obiettivo di promuovere a livello nazionale una riflessione critica sul grande tema del paesaggio. Artisti, intellettuali e paesaggisti sono chiamati a intervenire a La Raia per darne una possibilità di lettura ulteriore e creare nuova identità», racconta Giorgio Rossi Cairo.
Le sfide sono state molte in questi anni, quella artistica, quella. dell’ospitalità, ma la sfida più grande rimane quella con la natura, principale protagonista di questa storia, che ogni giorno viene ascoltata, accudita e mai domata contro la sua volontà, come ci racconta l’enologa Clara Milani: «Nel mondo enoico sembra ormai impossibile fare previsioni sulle tempistiche della vendemmia, complici il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. Ogni anno la raccolta delle uve si deve adeguare all’andamento climatico dei mesi precedenti che non seguono più regole precise. La stagione era partita benissimo con un bell’inverno, le giuste piogge e ottime temperature, con anche una pioggia primaverile perfetta per aiutare la crescita vegetativa. Il resto della primavera invece è stato caratterizzato dalla siccità, con un conseguente arresto vegetativo abbastanza precoce per le piante, ma con un bell’equilibrio tra la resa (i grappoli) e l’apparato fogliare. Il caldo che da marzo ha accelerato l’esplosione vegetativa ha mandato la vigna in sofferenza, ma è la vigna stessa che si auto regola, noi dobbiamo solo capire quanti grappoli sacrificare perché lei possa crescere al meglio nelle annate successive. Il nostro non è mai un lavoro di quantità, ma di qualità assoluta. Per questo abbiamo voluto che parte del terreno fosse boschivo, per evitare uno sfruttamento massiccio del terreno e per preservare le caratteristiche di biodiversità del terroir», spiega Clara dalla cantina che è essa stessa un’opera d’arte con le sue pareti in pisè (terra cruda) progettate dall’architetto Martin Rauch.
«La traspirabilità dei muri in terra consente di realizzare edifici privi di condense, con una capacità di regolazione dell’umidità dell’aria. L’inerzia termica della terra cruda, cioè la sua capacità di accumulo del calore e l’alto coefficiente di isolamento termico, permettono di risparmiare sui costi di gestione del riscaldamento. La totale assenza di inquinanti indoor, inoltre, la rendono adatta alla costruzione di ambienti salubri per abitare, lavorare, conservare alimenti. In questo senso, il materiale scelto per la cantina La Raia ha un effetto molto positivo sul mantenimento del prodotto. L’uso congiunto alla terra di materiali quali legno, vetro, ceramica e cotto rinnova e sviluppa la tecnica da noi adottata, per un’architettura innovativa che fa da ponte tra passato e presente e da rampa di lancio per il futuro», conclude l’architetto Martin Rauch.
Qui la biodiversità si respira in ogni centimetro: la prima azione che è stata fatta è la riconversione della coltivazione delle viti: sovescio tra i filari, corno letame dinamizzato e stallatico per fertilizzare questo terreno marnoso, areazione profonda, assenza di pesticidi, modiche quantità di rame e di zolfo di cava spruzzate in determinati periodi dell’anno, potatura che segue la fase discendente della luna.
È stata inoltre ripristinata la rotazione dei terreni, con il recupero di coltivazioni antiche come il farro e la segale ed infine è stato reintrodotto l’allevamento del bestiame a pascolo, con mucche di razza fassone. La ricchezza e la varietà delle vegetazioni che si trovano all’interno della tenuta fanno de La Raia una vera oasi di biodiversità per api e altri insetti impollinatori: da qui una copiosa produzione di mieli biologici di acacia, millefiori e bosco.
A La Raia tutti i filari sono inerbiti di specie spontanee e di erbe seminate in autunno per il sovescio: si tratta infatti di seminare leguminose (favino), ma anche cereali (avena e orzo) che, una volta interrate e arrivata la primavera, hanno il potere di migliorare la fertilità del terreno. Le erbe spontanee nei filari aiutano inoltre ad aumentare la biodiversità del suolo agendo sulla formazione dell’humus e rendendolo più stabile. Queste piante saranno poi falciate e interrate, a beneficio ulteriore del terreno.
Oggi La Raia produce tre tipi di Gavi DOCG pluripremiati – Gavi, Gavi Riserva e Gavi Pisé, il nostro cru – e due tipi di Piemonte DOC Barbera. Ma non sono le uniche “opere” di cui godere una volta giunti qui. Nella locanda c’è una piccola spa che affaccia sulle colline del basso Piemonte e che dà sulle vigne dalla cui piscina si possono intravedere alcune delle opere d’arte che la Fondazione (diretta dal gennaio 2017 da Ilaria Bonacossa) ha disseminato tra i filari per riportare qui l’attenzione sul territorio da ogni punto di vista. Soggiornare qui restituisce un valore al tempo: in questa grande casa verde, ex stazione di posta per i viaggiatori, ogni camera ha una sua anima. Sono solo 12, una diversa dall’altra, arredate con mobili piemontesi del Seicento e dell’Ottocento accostati a oggetti di design, colori, tessuti e materiali naturali.
Forse è anche per questa filosofia del saper aspettare e del sapere dare benessere che artisti, filosofi, paesaggisti, fotografi e architetti sono attratti da questo luogo e che da anni sono invitati a vivere e sperimentare i diversi elementi del paesaggio, attraverso interventi e opere d’arte che creino occasioni di nuova conoscenza e nuove identità. Il primo atto della Fondazione è stato il progetto Nel Paesaggio – ideato da Irene Crocco e curato da Matilde Marzotto Caotorta.
«Il sentiero dell’arte conta ben otto opere, l’ultima, quella di Michael Beutler è del 2021. L’artista è tornato alla Raia dove ha realizzato Oak Barrel Baroque, un piccolo rifugio dalla forma di un tempietto votivo costruito con travi in legno e doghe delle barrique a fine vita. La sua forma evoca le architetture del Palladio, le chiese cittadine delle piazze italiane, ridimensionate in uno stesso edificio», spiega la gallerista d’arte Irene Crocco.