Piano di esistenza superioreSiamo gli interior designer di noi stessi. Questa è una buona notizia

Talvolta, quando vediamo che lo hanno fatto anche i nostri vicini, aggiorniamo qualcuna delle nostre idee, come se fossero delle vecchie tende. Ma di rado ristrutturiamo davvero il nostro arredo mentale

di Markus Spiske, da Unsplash

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Camminando per casa mia, vedo sullo scaffale alcuni polverosi libri di programmazione informatica. Provo un po’ di nostalgia mentre ricordo a quando imparavo a programmare e mi entusiasmavo immaginando il futuro di Internet. Mi guardo intorno e noto un pianoforte ancora più polveroso. Con qualche sforzo, riesco ancora a trasmettere le note scritte su un foglio alle mie dita appoggiate sui tasti.

Cammino ancora, da una stanza all’altra, apparentemente senza fine. Alcune sono molto vissute, altre appena sfiorate. Gli oggetti sono accatastati su scaffali e tavoli. Le pareti sono ricoperte di immagini raccolte in tutto il mondo.

Il luogo che sto descrivendo non è quello in cui vivo fisicamente; qui è dove risiede la mia mente, in una costruzione tutta sua. In questa casa c’è tutto il mondo, così come lo intendo io – il che significa che questa casa è un’astrazione di una parte molto piccola del mondo. La costruisco da più di cinque decenni. I primi anni ho fatto un lavoro inconsapevole, ma importante, sulle fondamenta: tracciare le sensazioni presenti all’interno del mondo fisico, imparare a prevedere come sarebbe volata una palla e a capire se chi stava entrando nella stanza fosse di cattivo umore.

All’inizio ho costruito la mia casa nello stile in cui la mia famiglia e i miei vicini avevano costruito la loro. Le mie esperienze e le mie inclinazioni la rendevano unica, ma essa si adattava grosso modo agli stessi schemi che avevano quelle intorno a me. Dove sono cresciuto, nel Nebraska rurale, non c’era una grande varietà di stili, di idee, di professioni, di background – semplicemente perché non c’erano molte persone. Nella mia classe ci sono stati gli stessi dodici-quattordici bambini bianchi dall’asilo alle superiori. Come accade in ogni comunità, ci siamo contagiati a vicenda e abbiamo assorbito idee e supposizioni precise sul mondo esterno (con il quale avevamo pochissima esperienza). E, da quello che ricordo, tali preconcetti non erano molto positivi.

Quando ero alle medie, cercavo disperatamente la differenza. Iniziai a vestirmi in modo strano, ad ascoltare musica che nessuno dei miei amici aveva mai sentito, a dedicarmi a nuovi hobby. In quel periodo, un cugino più grande di me di Kansas City (cioè della Grande Città) comprese la mia inadeguatezza e mi assicurò che c’era un mondo più grande là fuori. Mi regalò una copia de Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach. Il libro racconta la storia di un gabbiano che si annoia del conformismo e degli interessi limitati del suo stormo e così si spinge a imparare tutto quello che può sul volo. La sua crescente riluttanza a conformarsi lo porta a essere espulso dallo stormo. Il gabbiano continua a perseguire la conoscenza e alla fine trova un “piano di esistenza superiore”.

Mi sono reso conto che, sebbene non avessi alcun interesse per i libri che mi venivano assegnati a scuola (forse perché li leggevano anche tutti gli altri), la lettura mi forniva un percorso per espandere la mia visione del mondo. Ero fisicamente limitato, ma mentalmente libero. Attraverso la magia della parola scritta, ho scoperto prospettive, persone e idee che mi hanno entusiasmato e mi hanno aiutato a costruire un’immagine del mondo più grande (ed enormemente diversa da quella dei miei compagni di scuola).

Ognuno di noi costruisce il proprio modello di realtà attraverso le esperienze, le relazioni e le conoscenze che incontra nel corso delle sue passeggiate casuali nel mondo. All’inizio della vita si è volenterosi e si cerca di aggiungere qualcosa, di raccogliere concetti, idee e prospettive. È stimolante aggiungere strumenti alla propria cassetta degli attrezzi, anche se in maniera indiscriminata. Col tempo, diventa più difficile apportare modifiche e aggiunte. Ci si abitua alle cose che si hanno e si diventa sensibili al proprio design interno. Se la casa ha uno stile particolare, alcune aggiunte non si adattano. Ergo, mai e poi mai vorrai mettere un divano moderno in una vecchia casa vittoriana.

Non possiamo fare a meno di preferire le idee che si adattano a quelle che abbiamo già – altrimenti il nostro spazio mentale risulterebbe caotico. Occasionalmente possiamo aggiornare qualcuna delle nostre idee, come se fossero delle vecchie tende, soprattutto quando ci accorgiamo che i nostri vicini hanno cambiato le loro. Ma raramente ci sottoponiamo allo stress di una ristrutturazione su larga scala solo per adattare una nuova idea o una nuova conoscenza. Il processo è molto scomodo e crea confusione, specie con l’avanzare dell’età. E poi, qual è il vantaggio? Si può essere perfettamente soddisfatti della propria casa vittoriana, sentendosi sicuri di aver fatto la scelta giusta grazie al supporto di quelli che nel quartiere apprezzano lo stile vittoriano, tutti d’accordo sul fatto che il design contemporaneo sia troppo freddo e che le persone che amano il midcentury modern siano degli hipster.

Il compito del nostro cervello non è ricostruire la realtà, ma fornire un luogo in cui possiamo vivere in modo funzionale e confortevole, indipendentemente dalla verità del mondo esterno.

Ho frequentato l’università, ma l’ho abbandonata presto. Era un mondo più grande, ma ancora troppo conformista per me. Ho imparato da solo, grazie alla lettura, a conoscere gli affari e a programmare. Quando, all’inizio degli anni Novanta, ho letto di Internet, mi è sembrata la più grande invenzione di sempre. Prometteva di aprire infinite porte a nuove idee e conoscenze. La penso ancora allo stesso modo. Per esempio, nei prossimi secondi, invece di continuare a leggere questo articolo, potreste leggere la storia dell’antico Egitto, guardare un video sui lemuri o imparare a costruire una app, e il tutto gratuitamente. Tutto questo ci dà la possibilità di avere una visione più ampia del mondo. Se non ci piace lo stile dei nostri vicini, abbiamo infiniti altri possibili modelli da emulare. Internet non è soltanto uno strumento per espandere i nostri modelli mentali, ma è anche un’estensione del nostro cervello. I fatti, i calcoli e il modo in cui arrivare da A a B si possono dare così per scontati che non ci preoccupiamo più di spendere energie mentali su queste cose: le chiediamo semplicemente quando ne abbiamo bisogno, come un tempo facevamo con i compact disc che si trovavano sui nostri scaffali.

Ci siamo abituati a questo superpotere. Ma siamo anche diventati consapevoli dei suoi aspetti negativi. Nel suo libro Fantasyland: How America Went Haywire: A 500-Year History, lo scrittore Kurt Andersen afferma: «Prima di Internet, gli esaltati erano per lo più isolati e sicuramente avevano più difficoltà a rimanere convinti delle loro realtà alternative. Ora le loro opinioni sono diffuse nell’etere e sul web, proprio come le notizie vere e proprie. Ora tutte le fantasie sembrano reali».

L’accesso a infinite idee implica l’accesso anche a molte idee sbagliate che provocano danni considerevoli nel mondo reale, perché non si tratta soltanto di idee che non riflettono la realtà, ma anche di idee che fanno sì che i nostri vicini vengano percepiti come nemici. A causa del nostro desiderio di comodità – e cioè del nostro desiderio di aggiungere al nostro cervello solo le cose che ben si adattano a ciò che abbiamo già costruito – siamo molto tentati di rintanarci nei nostri bunker mentali, raccogliendo selettivamente le prove per dimostrare che l’immagine del mondo che abbiamo formato è la più accurata possibile.

Siamo tutti inclini a farlo. Ma se facciamo un passo indietro, è facile riconoscere che i nostri modelli mentali sono tristemente incompleti e spesso sbagliati. Sono abbastanza orgoglioso del mondo che ho costruito nella mia mente negli ultimi decenni. Ho fatto molte aggiunte e miglioramenti. Tuttavia, le cose di cui non sono nemmeno consapevole superano di gran lunga quelle che capisco. E, anche tra i concetti che riesco ad afferrare, generalizzo troppo e costruisco metafore (come quella che sto usando ora) che facilitano il pensiero, ma distorcono la realtà. Inoltre, nel mio modello ci sono errori e vere e proprie falsificazioni. Spero di scoprirne alcuni per caso man mano che procedo con la mia esplorazione. Con altri dovrò convivere per sempre.

Voi avete il vostro modello, naturalmente, ed è di sicuro diverso dal mio. È una buona cosa, perché il mio modello non andrebbe bene per voi. Se potessi visitare la vostra casa, sono sicuro che apprezzerei ciò che avete fatto e troverei alcune idee che vorrei portare con me. Tuttavia – e mi dispiace dirvelo – anche il vostro modello non è uno specchio accurato della realtà. Come il mio, anche il vostro modello manca di informazioni e ha molti difetti, solo che li ha in punti diversi. Questi tre fatti – che tutti operiamo all’interno di diversi modelli di realtà, che questo è un bene e che queste realtà sono tutte imprecise – generalmente sono accettati da tutti, ma sono fin troppo facili da dimenticare. Raramente agiamo come se fossero veri. Se lo facessimo, avremmo molta più umiltà e molta più apertura e criticheremmo molto meno.

Ma ecco la buona notizia: a prescindere dalla nostra età, possiamo ancora ricostruire la nostra dimora mentale. Abbiamo accesso a conoscenze, idee e altre persone che i nostri antenati non potevano neppure immaginare. E siamo gli architetti e gli interior designer di noi stessi. Possiamo scegliere di aggiornare le nostre prospettive, di accogliere nuove idee e di eliminare gli oggetti mentali che non ci danno più gioia. Non è sempre facile. Ma questa è l’unica casa che abbiamo.

© 2022 THE NEW YORK TIMES COMPANY AND EVAN WILLIAMS

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