I due oppostiL’Italia bipolare di Rimini che applaude sia Draghi che Meloni (ma fischia Letta)

Al Meeting di CL il presidente del Consiglio e la leader sovranista hanno ricevuto consensi dal medesimo tipo di pubblico: italiani disillusi che da un lato vorrebbero il cambiamento purchessia, ma allo stesso tempo chiedono un esperto che non crei troppi problemi e non faccia gaffe

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L’applausometro del Meeting di Rimini, di solito, è poco attendibile, perché, lì, un po’ tutto è programmato, ma questa volta ci sembra davvero un piccolo specchio della strana Italia di questa campagna elettorale. Il primo giorno, zenit di applausi per Giorgia Meloni, oppositrice totale del governo Draghi, il secondo giorno 32 interruzioni per consenso al medesimo Mario Draghi. Quale è il nesso? Che senso ha coprire di ovazioni sia il governo che l’unica opposizione?

L’uditorio, si badi bene, è lo stesso, basta guardare la platea. Un 10% di addetti ai lavori, giornalisti e codazzi, un 5% di frequentatori fissi del Meeting (famiglie che fanno le vacanze alla Fiera), e l’85%  composto da volontari (sono migliaia) di CL, comandati in sala per tutti gli eventi in programma.

Perché abbiamo la sensazione che questo sarebbe stato però l’esito di qualunque altro mix di spettatori? Perché questa balorda campagna elettorale anticipata fa prosperare, nell’immaginario collettivo, l’unico bipolarismo di cui non si parla: quello tra il capo rispettato del Governo e la sua formale oppositrice.

È l’Italia disillusa che da un lato vuole il cambiamento purchessia, e ora tocca alla Meloni godere del più populista degli atteggiamenti (proviamo anche questa, certo non sarà peggiore degli ultimi alla prova: i grillini) e dall’altro ha voglia di qualcuno che non gli ponga problemi, che non faccia troppo chiasso. Uno certamente bravo, anche se difficile da capire, un po’ troppo rigido, ma non austero alla Mario Monti e comunque prodigo di bonus (la spesa buona, lanciata proprio a Rimini due anni prima).

E quindi giù applausi a entrambi. Tragga ciascuno le conseguenze. A noi sembra però utile che Mario Draghi parli spesso, in queste settimane (e faccia atti di governo, magari cominciando da ITA, prima che la rinazionalizzino allegramente in nome del sovranismo). Perché il rischio vero è che tra breve prevalga la scarsa memoria. «Draghi, chi era costui?» è già qualcosa che gira molto sotto gli ombrelloni. Meglio tener allenata la memoria e anche lo spirito critico, possibilmente.

A Rimini, ad esempio, non ci sono stati solo applausi. Enrico Letta è riuscito a prendersi dei fischi, certamente non programmati, rari in quel contesto. Spontanei. È stato quando ha auspicato l’obbligatorietà scolastica anche per gli asili, proprio davanti a una platea di maestre d’asilo della Compagnia delle Opere, che tenta di presidiare il mercato privato di questa fascia scolastica (è la sussidiarietà, bellezza). Sprezzo del pericolo e sincerità disarmante, quasi come cominciare una campagna elettorale che sembra dominata dalla destra parlando di patrimoniale.

La coerenza non sempre è una virtù spendibile in campagna elettorale. Quella ormai è monopolio di Giorgia Meloni.

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