Per la seconda volta in questa stramba campagna elettorale la destra ha tirato per la giacca, e in modo quanto mai ruvido, il presidente della Repubblica. Passi per l’anziano Silvio Berlusconi, che aveva “annunciato” le dimissioni di Sergio Mattarella qualora fosse approvata la riforma presidenziale (che non si farà mai) ma giustamente l’uscita di Giorgia Meloni – «Se vinco, Mattarella non può non darmi l’incarco» – non è passata inosservata sul Colle più alto. Meloni è inciampata in una clamorosa gaffe istituzionale che rivela la sua ignoranza, nel senso letterale e non offensivo del termine, e la sua bramosia di potere.
Confondendo le elezioni con il Festival di Sanremo, lei è convinta che chi arriva primo diventi presidente del Consiglio: e nella disattenzione della sinistra, affaccendata nella campagna sul guanciale, e del Terzo polo, che sta dedicando tutte le sue forze alla questione, pur rilevantissima, dell’energia, c’è voluto addirittura il grande costituzionalista Matteo Salvini per ricordare che l’incarico lo dà il capo dello Stato in assoluta autonomia, essendo peraltro evidente – va chiarito – che il capo della Lega non è stato assalito da scrupolo istituzionale ma da rivalità politica con la leader di FdI, come a dirle: guarda che qui non è scontato niente. E, in effetti, è esattamente così.
Com’è noto, il presidente affida l’incarico a chi ha la più ragionevole probabilità di formare il governo, cioè di aggregare intorno a sé una maggioranza parlamentare. Anche Pier Luigi Bersani arrivò primo ma il governo poi lo fece Enrico Letta. E qui si pone la domanda cruciale: siamo sicuri che Meloni, anche se arrivasse “prima”, sarebbe automaticamente in grado di raccogliere una maggioranza alle Camere? Già la precisazione di Salvini lascia aperto il dubbio.
Come abbiamo già scritto, una Lega e anche una Forza Italia cannibalizzate da FdI potrebbero ostacolare Giorgia, nel caso in cui ella ricevesse l’incarico. Si sa che Berlusconi è preoccupato che l’inesperta Meloni non sia in grado di fronteggiare una difficile situazione economica con inevitabili ripercussioni sullo stato delle sue aziende e potrebbe preferire un altro premier, persino – a certe condizioni – Mario Draghi.
Insomma, la leader dell’estrema destra, proprio perché “estremista”, pur apparendo in grande spolvero sembra politicamente isolata persino nel suo schieramento e con nulle possibilità di aggregare gruppi centristi: di qui l’assoluta incertezza e forse l’impossibilità di avere la chance non tanto di ricevere l’incarico ma di costruire una maggioranza parlamentare intorno alla sua leadership.
Forse è che per questo che Giorgia si è mossa così pesantemente con questa quasi intimidazione al presidente della Repubblica: innanzi tutto per far crescere un sorta di abracadabra che cerca di instillare nel Paese l’idea che lei abbia già vinto, che sia già tutto scritto, tutto fatto, e che manchi giusto un sigillo burocratico che è poi il libero voto dei cittadini
Nemmeno Berlusconi nel ’94, che pure, come Giorgia, si presentava come il “nuovo” mandato dalla Provvidenza, diede l’idea di aver vinto a mani basse, anzi, il risultato quella volta fu sorprendente (chiedere ad Achille Occhetto e Mario Segni): qui invece la previsione è unanime e, come al solito, suffragata dai mitici sondaggi che a loro volta rafforzano l’idea, alimentando un circolo vizioso che in qualche modo altera il gioco.
Ma poi con questa uscita sul «Mattarella non può non darmi l’incarico», Meloni crea la premessa per quello che potrebbe essere un terribile tormentone dopo il voto o dopo il fallimento del suo incarico: i poteri forti, l’Europa, gli Stati Uniti mi hanno impedito di governare in prima persona. E l’evocazione del complotto e dell’intrigo internazionale potrebbe davvero essere il capitombolo finale del Paese, con un eccitare gli animi che impedirebbe un normale sviluppo della dialettica politica.
Lei dice di «non dormire la notte» all’idea di poter diventare premier: dorma pure, ché non è affatto sicuro.