Patto elettoraleOra la partita è aperta e si può vincere contro la destra, dicono Letta e Calenda

«Ci ha aiutato lo spirito costruttivo: le cose complicate, alla fine, danno più gioia», spiega il segretario del Pd. Alla fine è prevalso «il senso di responsabilità», spiega il leader di Azione. Il rischio «non è il fascismo, ma quello di finire ai margini del G7»

Foto Mauro Scrobogna/LaPresse

Il giorno dopo l’accordo tra Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova, il segretario del Pd si dice «molto» soddisfatto. «Perché l’obiettivo era difficile e perché diamo il senso della svolta», dice. «Ci ha aiutato lo spirito costruttivo: le cose complicate, alla fine, danno più gioia. Va bene per quello che dice al Paese e perché genera energie». E lo stesso spiega il leader di Azione: «Sono stato incollato al telefono per giorni. Alla fine è prevalso il senso di responsabilità».

In un’intervista al Corriere, Letta racconta che sta ricevendo «un diluvio di commenti». «Sono complimenti. Perché abbiamo tolto il nostro interesse di parte a favore dell’interesse generale».

Certo, non è stato semplice. E la gestazione dell’accordo è stata lunga. Non per Letta, che fa il paragone «con i tempi rapidi per il patto dell’altra alleanza. Che hanno fatto in 48 ore: la chiamano intesa, ma è stata una resa. Quando Salvini ha deciso che non correva da premier ma da ministro dell’Interno di Meloni, è finita lì: per arrendersi basta un minuto. Bandiera bianca di Salvini e Berlusconi».

Ma, prosegue Letta, «tredici giorni fa il governo Draghi era nelle sue piene funzioni. Ci voleva il tempo necessario per un’intesa equilibrata e per una coalizione più larga, anche con i Verdi, Sinistra italiana, Impegno civico. Un lavoro intelligente per superare gli ostacoli, la possibilità di avere più liste».

Il segretario dice di aver «agito separando aspetti personali e politici e lui è stato davvero costruttivo. L’obiettivo è dare all’Italia un’alternativa rispetto alla vittoria della destra, che veniva considerata ineluttabile». E «c’è una decisione che ha aiutato molto: spegnere i telefonini. Nessuno ha parlato con altri».

Ora cosa si aspetta? «Calenda saprà fare da magnete per i voti di centrodestra. Così come noi, con la nostra lista, assieme a Roberto Speranza, avremo un grande successo nell’elettorato di sinistra e di centrosinistra».

Ma «se fossimo usciti senza un’intesa avremmo trasmesso il messaggio dei perdenti in partenza, per via della legge elettorale che obbliga ad aggregarsi. Gli altri, di là, tutti insieme e noi tutti divisi. No. Sarebbe stato un disastro e la dinamica della campagna sarebbe partita in avvitamento. Invece da oggi è chiaro che siamo in campo per vincere e la dinamica sarà positiva. Certo, in numeri precisi sarebbe stato 76 a 24, ma preferisco puntare a conquistarne tanti di seggi piuttosto che distribuire tra i miei tanti collegi perdenti».

E qui si riaprirà la contesa. «Mai vista una composizione delle liste facile. Sarà un lavoro difficilissimo, in particolare ora che si riducono i parlamentari di un terzo. Però è il nostro momento: lavoreremo con i parlamentari, con i territori, con le federazioni, avremo una grande spinta. Tanti possono restare delusi. Ma l’attività cominciata con le agorà darà i suoi frutti». Letta spiega che «i collegi decisivi sono una cinquantina e ci concentreremo su quelli. Non pochi. E do atto a Calenda di aver fatto un passo avanti significativo, che ha consentito di trovare l’intesa: non correrà nel collegio uninominale di Roma 1, una scelta anche simbolica, proprio nello spirito di superare i veti. Le identità si vedranno nel proporzionale, con i leader di tutte le forze politiche».

Intanto, il centrodestra li sta bersagliando. «Scommettevano sul fallimento e sugli aspetti caratteriali, appunto: i commenti stizziti confermano che è stata la scelta giusta», commenta Letta. «Siamo competitivi e mettiamo paura. Ne approfitto per suggerire al centrodestra di non spartirsi già i ministeri: Salvini ha prenotato il Viminale, ma è meglio aspettare».

Ora l’agenda Draghi sarà «un punto di partenza e ci consente un lavoro in continuità. Ma ogni partito ha la sua autonomia e la settimana prossima con Speranza, con i Democratici e progressisti, presenteremo il nostro programma: guardando al futuro, anche oltre l’agenda, per esempio sui diritti civili. Un progetto che non è più il governo di unità nazionale, ma immagina una maggioranza liberale, democratica, europeista, appunto progressista».

Letta ci crede in vista del 25 settembre: «Io leggo le tendenze. Due partiti in calo, Lega e Forza Italia. Fratelli d’Italia in buona salute. E noi quattro in crescita, parlo di Pd, Calenda e PiùEuropa, la federazione di Sinistra italiana e Verdi, Impegno civico che è appena nato. La dinamica è chiara. Ricordate il 2013 e il 2018? Tanti elettori decidono negli ultimi dieci giorni. E noi daremo il massimo». «La partita è aperta e la giochiamo».

Su Repubblica Calenda racconta di essere stato «combattuto tra due sentimenti: quello di andare da solo, preservando la purezza delle nostre idee, e quello della responsabilità verso il Paese, che rischia di ritrovarsi al governo con una destra che ci farà fare la fine del Venezuela». Nella base in tanti gli avevano chiesto di rompere: «“Vai da solo”. Specie i militanti di Roma, che avevano vissuto l’esperienza del 20 per cento alle comunali».

Alla fine è prevalso «il senso di responsabilità». Perché «con questa legge elettorale andando da soli avremmo regalato trenta collegi alla destra». E ora si dice «straconvinto» che si possa vincere. «Questa destra si può battere».

A Calenda importava che nessun ex M5S, o chiunque avesse votato contro Draghi, fosse candidato nei collegi uninominali. «Non potevamo accettarlo». E anche il programma sembra essere piegato sulle sue richieste: «C’è una cornice atlantista ed europeista che è la premessa di tutto. Il Pnrr sarà realizzato in pieno. Niente promesse di bilancio irrealizzabili. Non aumenteremo le tasse. I rigassificatori si faranno, anche per un fatto di sicurezza nazionale. Pure i termovalorizzatori. Investiremo moltissimo sulla scuola, perché siamo il Paese più ignorante dopo la Grecia».

E sulla guerra «ovviamene sosterremo l’Ucraina, il che significa confermare gli aiuti militari. È la prosecuzione dell’Agenda Draghi. Sono molto soddisfatto». Il reddito di cittadinanza non sarà abolito, «però deve funzionare in modo che anche le agenzie private possano collocare le persone. Ci vorranno dei correttivi: se uno rifiuta il lavoro, perde il sussidio, esattamente quello che voleva fare Draghi».

E il superbonus 110 per cento? «Ha dato soldi a un sacco di gente ricca. Quel tipo di bonus va cancellato e dovrà essere parametrato alla ricchezza delle persone e a un effettivo risparmio energetico». Calenda dice di essere «favorevole al salario minimo, perché quella della povertà degli stipendi è un problema reale. Per la scuola pubblica. Per i diritti. Ma penso che ai diritti debbano corrispondere dei doveri: se tu prendi il reddito di cittadinanza devi accettare di fare anche i lavori socialmente utili».

I rapporti con Letta, assicura, sono «buoni. Lo stimo. Lui è un socialista, io un liberale progressista. Lui è per il bonus ai 18enni, io lo giudico un errore. Ma alla fine, sul nucleo fondante di proposte, ci siamo trovati d’accordo».

Altrimenti il rischio, con la destra populista di Meloni e alleati, secondo Calenda «non è il fascismo, ma quello di finire ai margini del G7». «Un Paese che fa le politiche di Orbán e strizza l’occhio a Putin. È veleno anche per il nostro Made in Italy».

Ora al governo dovranno andare ministri «competenti. Non candideremo nessuno che non abbia maturato una precisa esperienza. Basta con i dilettanti al potere. E basta con le promesse da libro dei sogni o di piccolo cabotaggio».

E Renzi che farà? «Lo vorrei con noi. Ma mi pare di capire che andrà da solo. Mi dispiace, perché è stato uno dei migliori premier degli ultimi anni».

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