La bomba che ha portato alla morte di Daria Dugina, figlia dell’ideologo e propagandista russo Aleksandr Dugin, sarebbe stata piazzata da un gruppo di partigiani russi che da pochi mesi ha cominciato la lotta armata contro Putin e si fa chiamare Esercito repubblicano nazionale. Lo ha rivelato in una intervista a Repubblica Ilya Ponomarev, politico russo in esilio a Kiev dopo aver votato alla Duma contro l’annessione della Crimea del 2014.
«Sono sicuro della loro responsabilità perché mi hanno mostrato le prove. Inoltre mi hanno informato dell’attacco prima che avvenisse. Dopo mi hanno mandato delle foto che possono essere state scattate soltanto dalla persona che ha materialmente eseguito l’operazione. Non posso pubblicarle perché c’è il rischio altissimo di rivelare troppo».
Ponomarev ha detto di aver messo a disposizione il suo canale Telegram per le comunicazioni del gruppo partigiano, così da non compromettere la loro identità: «Da quando mi hanno contattato, hanno rivendicato operazioni in trentacinque regioni russe; ricordo un attacco a Murmansk, ricordo un attacco a Vladivostok, ricordo un attacco negli Urali».
Secondo questa tesi Natalia Vovk, la donna ucraina rifugiata in Estonia e accusata dal Cremlino di aver piazzato la bomba che ha ucciso Dugina, non sarebbe l’autrice dell’omicidio. Per Ponomarev si tratta del capro espiatorio perfetto perché ai servizi segreti russi converrebbe addossare la colpa a una fuggitiva senza fare un processo pubblico: «Nessun servizio segreto l’avrebbe mandata dietro le linee nemiche sapendo che il suo nome era su un database pubblico che la identifica come membro dell’esercito ucraino. Cosa doveva fare di più per farsi notare, andare in giro con una maglietta con uno slogan?».