Nei giorni scorsi le cronache si sono gettate, a mio parere, su di una “non notizia”: lo scoop della Stampa. Che Matteo Salvini abbia intrattenuto rapporti con l’ambasciata russa e con faccendieri come Antonio Capuano è un segreto di Pulcinella, perché fu proprio il leader della Lega ad ammetterlo e a vantarsene. Salvini (o chi per lui) ha frequentato l’ambasciata quando si era messo in testo di andare a Mosca per farsi ricevere da Putin (almeno da Lavrov) e promuovere il cessate il fuoco in Ucraina.
È plausibile che in questi colloqui si sia parlato della situazione italiana e che qualche interlocutore di rango (a conoscenza degli antichi amori, mai smentiti, di Salvini per Putin e informato dalla semplice lettura dei quotidiani, della sofferenza con la quale il capo del partito federato (non pentito) con Russia unita faceva parte di un governo considerato tra i più occidentali dal Cremlino) abbia chiesto all’ex Capitano quali fossero le sue reali intenzioni.
Anche la smentita di Franco Gabrielli non riguardava l’incontro, ma teneva a precisare che il verbale non proveniva dai nostri servizi, come a dire che gli uffici non perdono il loro tempo a carpire quello che è arcinoto da anni.
Non mi pare che invece sia data importanza a una dichiarazione del leader della Lega, rilasciata nello stesso momento in cui definiva «fesserie» le indiscrezioni della Stampa, senza smentirle (come invece ha fatto Forza Italia nel caso delle presunte telefonate di Berlusconi). «Noi alleati dei Paesi occidentali, ma non significa non volere anche buoni rapporti con Putin», perché – ha aggiunto Salvini – prima o poi questa guerra finirà.
Questa dichiarazione, rilasciata in campagna elettorale nelle stesse ore in cui Giorgia Meloni sentiva l’esigenza di schierarsi – davanti alla Direzione di FdI – con gli eroi di Kyjiv è la prova di quale sia l’effettiva posizione di Salvini se fosse un autorevole componente di un nuovo governo e di una diversa maggioranza. Putin è un amico che ha sbagliato ed è incorso in questa fastidiosa circostanza che lo costringe a massacrare un popolo. Ma, tutto sommato, si tratta di un episodio che non mette in crisi un rapporto di amicizia. Quando la guerra finirà (ovvero in Ucraina o in buona parte di essa resteranno solo macerie e fosse comuni) tutto potrà tornare come prima, perché, a parere di Salvini, non esiste un imperialismo russo alla ricerca di radicale trasformazione dell’equilibrio geopolitico, non è nelle intenzioni del Cremlino sconfiggere l’Occidente, ricattando l’Europa per la sua dipendenza energetica.
Per prendere conoscenza della intenzioni dello Zar del Cremlino è consigliata la lettura di un saggio dello storico slavista francese Nicolas Werth (“Putin historien en chef”) che raccoglie i testi di scritti e discorsi di Vladimir Putin. Giustamente quell’antologia è stata paragonata (da un noto editorialista) al “Mein Kampf” di Adolf Hitler per tanti motivi, in particolare, perché a Putin (come a suo tempo a Hitler) non può essere imputata nessuna dissimulazione: ambedue hanno fatto quanto avevano annunciato. Anche se non erano stati creduti.
Ecco i progetti di Putin per quanto riguarda l’Ucraina: da Zelensky all’ultimo cittadino ucraino sono tutti colpevoli, perché «la denazificazione è necessaria quando una parte significativa del popolo – molto probabilmente la maggioranza – viene dominata e trascinata dal regime nazista nella sua politica. Cioè quando l’ipotesi “il popolo è buono – il governo è cattivo” non funziona». Poi Putin passa a spiegare in che cosa consiste la denazificazione: «È un insieme di misure nei confronti della massa nazificata della popolazione, che tecnicamente non può essere punita direttamente come criminale di guerra. I nazisti che hanno preso le armi devono essere distrutti il più possibile sul campo di battaglia (…….) I criminali di guerra e i nazisti attivi devono essere puniti in modo sommario ed esemplare. È necessario procedere a una liquidazione totale. Tutte le organizzazioni che si sono legate alla pratica del nazismo devono essere eliminate e messe al bando».
L’ulteriore denazificazione di questa massa di popolazione consiste nella rieducazione, che si ottiene attraverso la repressione ideologica (soppressione) degli atteggiamenti nazisti e una dura censura: non solo nella sfera politica, ma necessariamente anche in quella della cultura e dell’istruzione. Tutto ciò perché il nazismo «ucraino rappresenta per la pace e la Russia una minaccia non minore, ma maggiore del nazismo tedesco di Hitler». Quale sarà il destino di questa nazione tanto pericolosa? «Evidentemente, il nome “Ucraina” non può essere mantenuto come titolo di una formazione statale completamente denazificata sul territorio liberato dal regime nazista (…) Il riscatto dal senso di colpa nei confronti della Russia per averla trattata come un nemico può realizzarsi solo affidandosi alla Russia nei processi di ricostruzione, rigenerazione e sviluppo».
Quanto al quadro geopolitico post-bellico, secondo Putin, potrebbe sopravvivere un’Ucraina ostile alla Russia, ma forzatamente neutrale e smilitarizzata, con un nazismo formalmente bandito. Gli «odiatori della Russia» andranno lì. Che questa Ucraina residua rimanga neutrale sarebbe garantita «probabilmente» da una presenza militare russa permanente sul suo territorio. «Dalla linea di alienazione e fino al confine russo sarebbe il territorio di potenziale integrazione nella civiltà russa, antifascista nel suo intimo».
Ecco, dunque, come potrebbe finire quella maledetta guerra che ha creato dei problemi ai buoni rapporti con la Russia, costringendoci a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, a praticare le sanzioni, a mandare mezzi militari a Kiev, a consolidare l’appartenenza alle alleanze occidentali e alle loro istituzioni.
Credo che a questo punto non si possa evitare una domanda. Che cosa si sarebbe pensato se un importante politico inglese, durante la seconda guerra mondiale, avesse detto: «Prima o poi questo Hitler finirà di invadere altre nazioni e di sterminare gli ebrei. Così potremo riprendere buone relazioni con la Germania»?