Il ceviche peruviano, il rodizio brasiliano, l’asado argentino: la cucina sudamericana è popolare, diffusissima nel mondo (anche a Milano i ristoranti che la propongono sono numerosi e tra i più gettonati della città) e stabilmente premiata dalla classifica annuale di The World’s 50 best Restaurants.
E se invece vi parlassimo di salteñas, tamales, chicharrón, sopa de manì, kalapurka, api e tojorì? Ne avete mai sentito parlare? Nell’emisfero australe, a qualche centinaia di chilometri da Lima, San Paolo e Buenos Aires, c’è un paese ricco di storia e tradizione che potrebbe lasciarvi a bocca aperta non solo per i suoi paesaggi incantevoli (se non lo conoscete, cercate in rete foto del Salar de Uyuni o della Laguna Colorada), ma anche per la varietà dell’offerta gastronomica.
Un bouquet succulento basato su ingredienti semplici offerti da una terra arida ma sorprendentemente fertile: mais, pomodori, peperoncini, e patate, onnipresenti in decine di varietà (tra cui i chuños, tuberi neri essiccati al gelo ed schiacciati con i piedi come da tradizione inca).
Benvenuti in Bolivia, un paese dove la vita si svolge principalmente per strada, dove nemmeno le rigide temperature andine persuadono i suoi abitanti dal consumare i pasti all’aperto, a qualsiasi ora del giorno. Benvenuti in un paese dove le «cholitas», le intraprendenti donne indigene dell’altopiano dal look inconfondibile – gonna a balzi dai colori sgargianti, bombetta e lunghe trecce nere – tengono viva la tradizione della “comida callejera”, con ricette che resistono fieramente a qualsiasi tentativo di insediamento delle arcinote catene di fast food di impronta occidentale.
Salteña, la sorella dell’empanada
A prima vista potrebbero essere confuse con le più famose empanadas argentine (e il nome viene proprio da Salta, città a nord del paese confinante), ma le differenze sono diverse: nella cottura, nell’impasto e nel ripieno. I fagottini a mezzaluna boliviani sono preparati al forno, hanno un colore tendente al giallo per l’aggiunta dell’achiote, spezia molto diffusa in tutto il Sudamerica, sono rese friabili dal burro. Il contrasto vincente è dato da un impasto leggermente addolcito dallo zucchero e un ripieno di carne di manzo o pollo, patate, olive, uvette, piselli e uova sapientemente stufati con aji (peperoncino tipico), coriandolo, cumino. I boliviani, non abituati alla colazione dolce, consumano le salteñas come spuntino di metà mattinata.
Tamal (o huminta), l’involtino con la pannocchia
Le foglie di pannocchia avvolgono un impasto morbido composto di masa (pasta) di mais e carne cotta a lungo insieme alle verdure. Il risultato è un fagottino morbido e succulento. I tamales si trovano in gran parte dell’America latina, ma ogni paese ha le proprie varianti. In Bolivia quelli serviti dalle cholitas nei mercati e nelle piazze delle città andine sono quasi sempre a base di charque, carne disidratata di lama o di maiale.
Papas rellenas, l’impero di Doña Emi
Pensate ai nostri arancini (o arancine, che dir si voglia), sostituite il riso con le patate. Il connubio tra ragù di carne e tuberi dà vita a grosse e irresistibili pallotte pastellate e fritte. Le più buone si mangiano probabilmente a La Paz da Doña Emi. Nella puntata del documentario su Netflix «Food: America Latina» dedicata alla cucina boliviana si racconta il successo imprenditoriale di Emilia, una cholita forte e caparbia che in anni di sacrificio ha creato un vero e proprio impero di papas rellenas, servite nelle numerose bancarelle nate negli anni in centro città con otto salse differenti.
Sandwich de chola, l’anti hamburger
Dimenticate hamburger e hot dog: qui il vero panino da fast food è il sandwich de chola, reso famoso, per l’appunto, dalle venditrici ambulanti di strada. Il panino viene farcito con spesse fette di maiale cotto nel forno per 24 ore, verdure sottaceto, insalata e salsa llajuia.
L’immancabile salsa llajuia
In Bolivia non c’è tavola imbandita o bancarella di street food che non esponga in bella vista la piccantissima salsa llajua. Pomodori, coriandolo e locoto, il peperoncino verde boliviano, vengono lavorati a freddo con il batán, utensile di pietra costituito da una base piana e una specie di sasso, utilizzato come il nostro mortaio per sminuzzare gli ingredienti evitando di ossidarli. La llajuia viene messa sia nei piatti più consistenti di carne, sia a mo’ di maionese, per insaporire salteñas, papas rellenas,e tamales.
Merenda con pastel con queso o cuñape
La cucina andina è caratterizzata per la pressoché totale assenza di due elementi: il pesce, non essendo la Bolivia un paese di mare (solo nei dintorni di La Paz e nella zona del Lago Titicaca è possibile trovare dell’ottima trota e piattoni di ispi, piccoli pesci tipo sardine serviti principalmente fritti) e dei dolci. È altrettanto vero che sull’altopiano, nei mercati di La Paz, Sucre e Potosì, è impossibile non fermarsi a fare merenda il pomeriggio con i locali, consumando, nei grossi tavoli in condivisione, un pastel de queso cucinato al momento dalle ambulanti del posto. Si tratta di una grossa frittella a base di farina, acqua, sale, burro e formaggio, gettata per non più di 20 secondi nell’olio bollente e successivamente condita con abbondante zucchero a velo. Una vera prelibatezza. L’alternativa per la merenda salata porta il nome di cuñape, sfizioso bocconcino di pane al formaggio, diffuso specialmente nella Bolivia orientale, a base di amido di manioca, fritto o al forno.
Api, tojorì o mocochinchi?
Non c’è pastel de queso senza api. Si tratta di una bevande calda, indispensabile per fronteggiare il calar del sole nelle rigide giornate invernali dell’altopiano, a base di mais morado (viola) fermentato insieme a zucchero e bucce di agrumi, aromatizzata con cannella e chiodi di garofano. Ne esiste una seconda versione, il tojorì, fatto con mais bianco e l’aggiunta di anice. Non solo bevande calde: i mocochinchi, piccole pesche essicate dell’altopiano, bollite insieme allo zucchero e alla cannella, danno vita all’omonimo rinfrescante succo.
Ricette antifreddo: Sopa de manì vs Kalapurka
Un elemento immancabile in un pranzo tipicamente boliviano è la zuppa. La più famosa è la sopa de manì, a base di arachidi macinate, carne di agnello, vitello o pollo, a seconda della regione, ricoperta di patate fritte. L’alternativa meno audace è la kalapurka, tipica zuppa andina della città di Potosì a base di carne di manzo, patate, farina di mais, peperoncino e coriandolo, tenuta calda da piccole pietre vulcaniche che vengono inserite nel piatto prima di essere servito. Il nome kalapurka deriva appunto dal nome della pietra vulcanica con cui si cucinava in epoca precolombiana.
Majadito de charque, il risotto mantovano in salsa boliviana
Un piatto completo, più diffuso nelle regioni amazzoniche, a partire dalla città di Santa Cruz de la Sierra. Si tratta di una sorta di risotto asciutto con carne di maiale disidratata (volendo trovare una similitudine italiana potremmo paragonarlo al risotto alla pilota mantovano), servito con platano fritto e uova all’occhio di bue.
Dal chicharrón al mondongo, passando per il silpancho: è il festival della carne
I boliviani non amano il dolce, dicevamo. Non è per nulla insolito, visitando i tanti mercati all’aperto delle città andine, imbattersi già alle 10 del mattino in folti gruppi di autoctoni alle prese con grosse scodelle fumanti a base di patate, chicchi di mais e carne. Una merenda-pranzo, che non impedisce loro di rifocillarsi nuovamente e ripetutamente nel corso della giornata. I piatti più apprezzati sono:
- il chicharrón, cotica di maiale marinata con limone e spezie e poi cotta con amido di mais (chuño) e patate
- il silpancho, una specie di cotoletta di manzo servita con uovo all’occhio di bue, pomodori e patate originaria della zona della zona di Cochabamba
- il mondongo, uno stufato di trippa di mucca servito a mo’ di zuppa molto diffuso in gran parte dell’America latina
- il fricasè, carne di maiale cotta a lungo con amido di mais, coriandolo, peperoncino e origano.