Il nostro Sud è tornato a cinquanta anni fa o forse cento, Cristo sembra essersi fermato anche prima di Eboli (ci siamo già dimenticati del saloon di Frosinone, la rissa dell’ex capo di gabinetto di Roberto Gualtieri, «inginocchiati, t’ammazzo»), la modernità laggiù è un vecchio sogno da anni Novanta e tutto scorre come sempre, soldi soldi soldi e il lavoro poi si vedrà.
La peggiore campagna elettorale di sempre mette in evidenza (e al tempo stesso si nutre delle) regressioni del Paese e in particolare di un Mezzogiorno abbandonato a se stesso e ripiegato sui propri secolari difetti e sulle maledizioni che si autoinfligge da sempre, e in questo senso ne sono emblema le scene di un ex presidente del Consiglio sudato e scamiciato per i vicoli di Napoli e i corsi di Catania o Siracusa che segnalano pezzi di popolo che lo vogliono toccare come da secoli si usa con la Madonna alle processioni e perché? Perché n’a runato u reddito, ci ha dato il reddito di cittadinanza, e va ringraziato vossia, forse se torna al potere ci darà altra roba: il lavoro? Macché, qui il lavoro non c’è e non ci sarà mai, no, ci darà un po’ di soldi per tirare avanti che non saranno tanti ma così tiriamo avanti, i soldi fanno solo bene e non sta certo alla povera gente sottilizzare se lo strumento usato sia fonte di altre ingiustizie perché elargito a pioggia e senza controlli: meglio così, no?
Ecco perché Giorgia Meloni sta andando un po’ in difficoltà da quelle parti, perché lei (come Carlo Calenda) ha detto chiaramente che il reddito di cittadinanza è sbagliato: ma sembra un messaggio troppo diluito nella più vasta onda nera che sale nel Paese per essere davvero un inciampo. Pd e Silvio Berlusconi, professionisti della politica, si sono trincerati dietro la rassicurante ninna nanna del reddito che va modificato ma non cancellato, così non si fa male nessuno, una linea furbina che però risulta palesemente debole rispetto ai proclami dell’avvocato del plebeismo che ne ha fatto la chiave della sua inaspettata resurrezione politica.
Il plebeismo è per così dire la fase suprema del populismo, al popolo inteso unitariamente si sostituisce la moltitudine dei poveri e finti poveri, la legge non distingue, il rapporto tra politica e società è tutto e solo mediato dai soldi e dunque eccolo che arriva a Siracusa, la meraviglia di Ortigia da dove si declama Sofocle, arriva l’avvocato – racconta estasiato Il Fatto – e «ad aspettarlo ci sono i poveri di un quartiere. Una ressa di uomini, taluni sono glabri, senza denti. Sono soprattutto loro. E poi il resto della città. C’è una ressa come all’esordio di una star. E per i poveri lo è. Acclamano: Giuseppe! Giuseppe!», e pare una scena ottocentesca, Gioacchino Murat acclamato a Napoli, giù giù fino a Mussolini, alla Dc siciliana e gavianea, a Berlusconi, e il cerchio si chiude con l’antipolitica plebeista del post-grillismo.
È un ritorno indietro, quello di Conte, persino rispetto a se stesso, all’uno vale uno, alla scatoletta di tonno, un ricongiungimento inquietante al voto di scambio non come reato che per sua natura è un fatto individuale ma come arma generale e letale della politica: e, avendone intuito la portata tecnicamente eversiva, ha pensato bene di accompagnarla con la minaccia a chi vi si oppone: la lugubre frase diretta a Matteo Renzi, «venga qui senza scorta».
Il popolo meridionale tende a rifarsi plebe, mercato di voti, i “politici” si rimettono addosso i panni dei tribuni, dei demagoghi, dei venditori di sogni pronti a rifilare bidoni come nel film di Federico Fellini mentre la gloriosa sinistra meridionale – quella degli Amendola, dei Lombardi, dei Valenzi, dei La Torre – dopo tanti giri su se stessa è ritornata alla faciloneria dei ras alla Michele Emiliano, che dell’avvocato del plebeismo è antico sodale e futuro alleato di ferro – poi ci sono anche i sindaci bravi, gli amministtatori onesti, peccato che contino molto meno di Vincenzo De Luca.
E non si capisce bene che cosa pensi di ottenere, il Pd, dalla rinascita del populismo clientelare di Conte, cosa pensi di lucrare dall’ipotesi che questi possa mettere in crisi la destra in un paio di collegi, se destra e M5s al Sud fanno più o meno la stessa politica: a parte che in quei collegi può vincere lui, che cosa se ne fanno il Pd e la democrazia italiana di un exploit grillino su queste basi? Un esempio clamoroso di quando furbizia e rassegnazione si danno la mano, e per il povero Sud significa che la maledizione non è finita, anzi.