Dopo giorni di polemiche, l’ormai ex maggioranza ha trovato l’accordo sulla conversione del decreto aiuti bis fermo al Senato, sbloccando i 17 miliardi di sostegni a famiglie e imprese che la campagna elettorale rischiava di cancellare. È stata trovata la mediazione sul Superbonus, prevedendo che la responsabilità in solido nella cessione dei crediti scatterà solo a seguito di violazioni con dolo o colpa grave. I partiti fanno a gara per intestarsi il merito dell’accordo, ma tra gli emendamenti approvati spicca la deroga al tetto di 240mila euro degli stipendi dei dirigenti pubblici. Una modifica che avrebbe irritato il premier Mario Draghi, che ha preso subito le distanze: «Si tratta di una dinamica squisitamente parlamentare», fanno sapere da Palazzo Chigi.
Proposta da Forza Italia e approvato in Commissione da tutti i partiti, la norma permetterebbe ai vertici militari, di polizia, carabinieri e ministeri di derogare al tetto che vieta indennità superiori a quella del presidente della Repubblica, pari a 240mila euro l’anno.
Non appena avuta notizia del sì all’emendamento, racconta La Stampa, dallo staff del premier è filtrato il nervosismo verso il ministro del Tesoro, Daniele Franco. Il parere favorevole alla norma è arrivato in Senato, in effetti, per bocca del sottosegretario leghista all’Economia Federico Freni, dopo l’ok del Mef. Dal ministero dell’Economia ammettono però di aver dato il via libera, salvo aggiungere che ogni decisione sugli emendamenti rilevanti è sempre concordata con Palazzo Chigi.
Ma la notizia ha subito irritato Draghi. Che ha ha recapitato ai partiti un messaggio che si può riassumere così: «Non ho intenzione di mettere la faccia su questa norma mentre la gente fa i conti con l’inflazione».
In poche ore i leader politici hanno capito che la questione poteva subito tramutarsi in un boomerang. Tant’è che, dopo il blitz in Commissione, in Aula si sono astenuti Fratelli d’Italia, Cinque Stelle e Lega.
Come spiega anche Il Foglio, il punto è che la copertura finanziaria per alzare gli stipendi dovrebbe garantirla proprio un fondo di garanzia della Presidenza del Consiglio. E qui starebbe anche la via d’uscita dal pastrocchio per Draghi. Per attivare la nuova norma servirebbe un dpcm, firmato appunto dal premier. Che però non ha nessuna intenzione di farlo.
Eliminare quella norma dal decreto aiuti bis alla Camera significherebbe un ulteriore passaggio in Senato, con conseguente allungamento dei tempi. Però è possibile agire nel nuovo decreto aiuti ter che Draghi si appresta ad approvare nel consiglio dei ministri di venerdì. Il premier inserirà una norma che cancella la furbata di fine legislatura. Il Pd (che pure ha votato a favore) promette un ordine del giorno perché ciò avvenga. «Siamo contrari alla norma», diceva ieri sera il segretario Enrico Letta. E quando il decreto sarà convertito in legge, se ne occuperà poi il nuovo Parlamento.