Il funerale di Kurt Cobain non me lo ricordo, non me lo ricorderei neanche se fossi stata una sua fan accanita e non una che prima della sua morte non aveva mai ascoltato una sua canzone: era il 1994, l’internet era allo stato embrionale e non guardavamo in diretta qualunque cosa accadesse lontano da noi, le cronache estere le leggevamo due settimane dopo, quando le riviste straniere arrivavano all’edicola di piazza Colonna.
Non era ancora iniziata la pornografia dei funerali, che daterei a quello di Diana Spencer tre anni e mezzo dopo, e a nessuno veniva in mente di fare una diretta televisiva delle esequie d’un cantante. E io ci avrei messo decenni per capire che, della pornografia dei funerali, Cobain aveva scritto la colonna sonora perfettissima. Hello, hello, hello, how low. Ma anche: I feel stupid and contagious. Ma soprattutto: here we are now, entertain us.
Al funerale del garantismo prendo sempre parte con una certa qual allegria, mentre quelle persone serie dei miei amici mi tolgono il saluto. Che schifo, le intercettazioni, che schifo, le accuse non verificate, che schifo, la gogna mediatica. Fingo di annuire, ma si capisce benissimo che a ogni WhatsApp di cinquecento righe che riceve Richetti, così come accadeva a ogni scambio di messaggi tra Stefano Ricucci e Anna Falchi, o alle trascrizioni di certi traffici di dirigenti politici attorno alla Rai, io dentro di me canticchio: here we are now, entertain us.
Al funerale della regina Elisabetta le persone serie vedevano la fine del Novecento, la fine della storia, la fine della monarchia inglese, la fine delle formalità mentre diventava regina consorte quella che, anche se non è vero niente, ormai sarà per sempre «quella del Tampax» (così come Richetti sarà per sempre quello che ti può mettere le mani nelle mutande tanto ha l’immunità: il tizio della Lettera scarlatta vedeva il futuro, vedeva le intercettazioni e i social e come tutto ti resta appiccicato per sempre, altro che diritto all’oblio). Le persone meno serie leggevano il labiale dei bambini annoiati: una forma d’intercettazione anche quella.
Al funerale del Novecento c’erano ormai solo posti in piedi: Godard e Kenneth Starr, la regina e la filmografia di Woody Allen, che morti abbiamo nel menu del giorno?
Al funerale di Woody Allen, il cadavere si è rialzato dalla bara dichiarando assai prematura la notizia della morte della sua attività professionale: no, non ha mai detto che non avrebbe più girato film, come vi è venuto in mente di pensarlo, vi siete messi a credere ai giornali spagnoli, poi cosa, ai giornali italiani? I feel stupid and contagious.
Al funerale della satira, sabato a Forte dei Marmi, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu hanno preso il premio per la satira politica. Sono saliti sul palco e hanno commentato il filmato che li celebrava con immagini del loro lavoro di venti ma pure trent’anni fa dicendo «siamo i genitori di Luca e Paolo, ammazza come siamo vecchi». Poiché nessuno è più adatto a organizzare un premio per la satira di chi non capisca le battute, poco dopo è salito sul palco Beppe Cottafavi in compagnia della propria smania di apparire istruito, e si sono – lui e la smania – precipitati a citare Edmondo Berselli e Alberto Arbasino per dire che insomma, quel premio è aduso ai venerati maestri, e quindi «è giusto il premio alla carriera a Luca e Paolo». Un secondo prima che lo streaming si concludesse, s’è sentito un qualche badante dirgli «sì, però quello a Luca e Paolo non era un premio alla carriera», e hai voglia a scrivere satira sociale in una nazione in cui la realtà ti supera ogni minuto.
Al funerale della regina guardavo l’interminabile corteo e mi facevo domande esistenziali: questo corteo esiste per far sembrare meno lunga e noiosa questa campagna elettorale? Questa campagna elettorale sarà ravvivata fino alla fine dalle illazioni sulle signore con cui s’intratterrebbero i senatori? Se Sarah Ferguson non stava attenta ai paparazzi mentre si faceva ciucciare un alluce, possiamo pretendere che Matteo Richetti capisca al volo a quali disturbate non dare corda? Se qualche mese fa la Bbc ha ammesso di aver raccontato un mucchio di balle per farsi dare quell’intervista da Diana Spencer, tra trent’anni possiamo aspettarci la contrizione di Fanpage?
Al funerale dell’ottimismo guardavo il video che più spesso passava sui miei social, quello di Giorgia Meloni che, mentre dà un’intervista, risponde a una che prima le urla un invito a Piazza Pulita, e poi chiede «perché?» al suo «no», e lei risponde come i genitori d’una volta: «Perché no». Lo guardavo e pensavo: ma forse l’unica istanza morale che si possa pretendere oggi dalla classe dirigente non è che si tenga l’uccello nelle mutande, non è che si scusi con le principesse, non è neppure che sappia che premi sta consegnando. Forse oggi il massimo che si possa pretendere da un personaggio pubblico è che non assecondi le testate gabibbiane con pretese giornalistiche. Forse Giorgia Meloni è l’ultimo bastione dell’etica. Hello, hello, hello, how low.