Il due settembre la Russia ha interrotto del tutto la fornitura di gas all’Europa, per mettere pressione a tutti noi e convincerci a non aiutare l’Ucraina. È una dichiarazione di guerra che completa quanto già fatto finora, cioè il taglio dell’80 per cento delle forniture, e con lo stesso obiettivo: fare la guerra all’Europa da un punto di vista economico, scatenando un forte aumento del prezzo del gas.
L’incredibile aumento del prezzo del future sul gas nel mercato Title Transfer Facility (Ttf) di Amsterdam è la dimostrazione della lentezza delle istituzioni europee nel gestire eventi straordinari come la guerra in Ucraina e la politica di utilizzo del gas come arma di violenta pressione economica da parte di Putin. Purtroppo le conseguenze saranno gravi e durature: pagheremo in modo pesante questa lentezza decisionale. Bisogna intervenire con una economia di guerra e non di mercato.
Non sono un grande esperto di gas, semplicemente studio i mercati e il loro funzionamento. Può essere che ci siano ostacoli per realizzare compiutamente alcune delle mie proposte, ma penso che i più esperti debbano usare le proprie conoscenze per renderle fattibili ed efficaci, non certo per distruggerle. Il prezzo del gas deve ritornare a essere normale per stimolare risparmi e non folle come quello di oggi. A chi sostiene che il prezzo vada bene così per disincentivare la domanda, garantisco che già a 60 euro MWh la domanda è molto disincentivata. A 300 euro/MWh invece sarebbe distrutta l’economia.
Ci sono due problemi da risolvere. Il primo riguarda la quantità di gas disponibile. A prescindere dal rigassificatore di Piombino, che va fatto subito e senza fiatare, questo inverno ce la potremo fare grazie agli stoccaggi pieni riforniti dagli ingenti flussi provenienti dal TAP e dall’Algeria. Certo, bisognerà abbassare di 1 grado le temperature, ridurre l’illuminazione e adottare altre misure sgradevoli, ma non sarà necessario chiudere i flussi all’industria. I numeri lo dimostrano e i tre piani sviluppati dal ministro Roberto Cingolani e dalla Germania lo mostrano con chiarezza.
Il tema più subdolo e pericoloso riguarda il prezzo del gas e va affrontato con decisione e un approccio da guerra.
Da qualche anno il prezzo del future Ttf è la base per la gran parte dei contratti d’indicizzazione degli acquisti di gas da parte degli operatori europei. In tempi normali tutto funziona perché nessuno speculatore si sogna di assumere posizioni troppo grandi al rialzo, o al ribasso con il rischio di essere spiazzato da una nave piena di gas liquefatto che cerca compratori o all’opposto da una utility che ha venduto gas a termine e lo vuole riacquistare sul mercato.
In tempi normali il mercato è liquido perché compratori e venditori si incontrano con ampia disponibilità di gas in acquisto e in vendita e la fissazione del prezzo rappresenta il giusto equilibrio.
Tra l’altro va ricordato che 20 anni fa (non un secolo) la produzione di gas nell’Adriatico era di circa 17 milioni di metri cubi, oggi scesi a 3 milioni dopo anni di assurde pressioni pseudo ecologiste che hanno portato a sostituire la produzione interna con acquisti dalla Russia. Il gas in Adriatico è abbondante, basta estrarlo e smetterla con idioti richiami alla transizione ecologica che hanno solo favorito il Cremlino. Sarebbe utile ricordarlo in vista delle elezioni del 25 settembre, viste le posizioni dei Cinquestelle, dei Verdi e di buona parte del Partito Democratico in merito.
La Russia da febbraio ha distrutto questo equilibrio facendo intuire agli operatori che potrebbe in ogni momento interrompere il flusso del gas in modo permanente. Al di là della credibilità di questa affermazione nel tempo, Mosca ha iniziato a bruciare crescenti quantità di gas pur di non venderlo in Europa, visto che in Asia non esistono gasdotti di portata sufficiente e il numero di terminali di rigassificazione in Russia è modestissimo rispetto alla produzione. La semplice minaccia ha reso il mercato totalmente illiquido e quindi ne ha cancellato la funzione di regolazione.
Il 2 settembre la minaccia è diventata realtà ed è facile prevedere che il 5 settembre, alla riapertura del mercato Ttf il prezzo esploderà di nuovo, dopo essere calato del 40 per cento nell’ultima settimana.
Questo perché i governi europei sono diventati compratori di tutto il gas che trovano, per scongiurare il rischio di razionamento. Qualsiasi operatore sa perfettamente che questo continuerà a succedere. Quindi il mercato non è più in equilibrio visto che anche gli speculatori finanziari (che hanno libero accesso al mercato) hanno piazzato una serie di scommesse unidirezionali al rialzo nella certezza che non esista in questa fase un venditore che possa calmierare il mercato.
Le conseguenze sono semplicemente disastrose per tutti noi. Il prezzo è schizzato fino a 350 euro/MWh cioè circa 14 volte lo standard di mercato prima della guerra in Ucraina che era 25 euro/MWh. Ciò determina una spirale inflazionistica e uno shock fiscale di dimensioni enormi, mai viste. Soprattutto per l’Italia che importa circa 71-74 miliardi di metri cubi ogni anno. Se il nostro Paese continuasse a spendere 3 euro a metro cubo (circa 300 euro MWh) sarebbe equivalente a una tassa sull’economia nazionale pari a circa 200 miliardi di euro, cioè oltre il 10 per cento del Prodotto interno lordo. Un’imposta che andrebbe al 100 per cento all’estero (Algeria, Russia, Azerbaigian, Norvegia e Paesi Bassi sono i beneficiari principali) e che determinerebbe per il sistema, anch’esso concepito in tempi normali, l’esplosione non solo del prezzo del gas ma anche del prezzo dell’energia elettrica.
La tassa da 200 miliardi di euro è un’enormità senza senso. Sarebbe come aumentare del 100 per cento le tasse sulle persone fisiche (sono circa 180 miliardi) in un colpo, pari a 6 o 7 volte l’impatto di una finanziaria. Una valanga di imprese, esercizi commerciali, produttori non saranno in grado di pagare questa imposta, falliranno o chiuderanno. La recessione anche violenta è praticamente assicurata e il danno economico sarà colossale.
Tutto questo alimentato da una pletora di speculatori che hanno realizzato profitti milionari per l’aumento del prezzo del gas, e ovviamente stimolato dalla Russia che ha tagliato già le forniture, prima dell’80%, e poi del tutto, usando motivazioni ridicole e capziose. Questo modus operandi l’abbiamo già visto sui mercati finanziari: nel mondo anglosassone si chiama cornering, cioè «mettere nell’angolo». Un fenomeno accaduto col prezzo dell’energia in California negli anni ’80, il prezzo dell’argento negli anni ’70 per il cornering dei fratelli Hunt, il prezzo delle azioni Volkswagen nel 2008 per le azioni del CEO della Porsche Wiedeking, poi assolto dai magistrati tedeschi..
Il cornering è vietato più o meno esplicitamente in Europa, mentre è reato federale negli Stati Uniti. Se attuato, il cornering porta il prezzo finanziario di un sottostante potenzialmente verso l’alto all’infinito garantendo profitti smodati a chi lo attua. Non c’è limite superiore ai prezzi. Per questo va contrastato in modo duro, diretto e immediato e finanziario prima che fisico, partendo dal presupposto che il gas esiste in natura, è abbondante e prima o poi il prezzo tornerà intorno a 20-30 euro/MWh; è solo questione di tempo (massimo 3 anni) e di risorse finanziarie per combattere il cornering.
Non credo quindi che la soluzione sia fissare un price cap per il gas russo la cui conseguenza immediata sarebbe il blocco delle forniture dalla Russia, come successo oggi dopo la decisione dei G7 sul petrolio, bensì sospendere temporaneamente il funzionamento libero del mercato Ttf che palesemente non assolve le sue funzioni e terminare il cornering in corso. Per ottenere questo risultato si possono proporre alcune idee di crescente impatto.
In primis, potrebbe essere sufficiente richiedere lo stoccaggio del gas per chi acquista un contratto entro 15 giorni dalla dichiarazione. Poiché lo stoccaggio è controllato dagli Stati in modo diretto (in Italia, Stogit rappresenta il 95 per cento della capacità di stoccaggio) ed è comunque limitato, sarebbe pressoché impossibile acquistare per speculazione. La semplice dichiarazione di questa misura porterebbe a un’esplosione delle vendite sul mercato perché gli operatori puramente finanziari, non potendo stoccare il gas, sarebbero costretti a venderlo virtualmente sul mercato Ttf, azzerando le cosiddette posizioni “lunghe”, come vengono chiamate in gergo finanziario. Le conseguenze sul prezzo del gas, a mio modesto avviso, sarebbero drastiche e immediate.
Un’ulteriore decisione politica dovrebbe essere la marginazione sui contratti. Oggi un operatore finanziario che opera sul mercato e compra per ipotesi a 250 euro/MWh può farlo utilizzando il cosiddetto margine che oscilla tra il 10 e il 15 per cento cioè circa 30 euro/MWh. Se si portasse il margin call al 100 per cento la necessità di cassa salirebbe a 250 euro per lo stesso contratto e quindi le posizioni finanziarie sarebbero costrette a essere liquidate.
Questa misura estrema spiazzerebbe anche gran parte delle utility che operano sul mercato, ma si potrebbe ovviare attraverso una garanzia comune europea eventualmente coperta dai governi stessi e rilasciata unicamente alle utility che dimostrano di operare sul mercato fisico del gas (e non su quello finanziario), ma vendendo quantità proporzionate ai contratti Ttf stipulati con altre utility o consumatori. Sicuramente non con dei trader puri.
Una terza drastica misura potrebbe essere la creazione di un fondo anti speculativo. Ipotizziamo che la Banca centrale europea garantisca un fondo d’investimento con dotazione pressoché infinita (la Bce può tranquillamente farlo) che inizia a vendere lotti di gas sul mercato Ttf. Li vende quando il prezzo è alto ed eventualmente li compra per pareggiare i conti quando il prezzo è basso.
Tendenzialmente questo fondo fa utili, tra l’altro, e alla scadenza mensile dei contratti controlla le posizioni aperte sui mesi successivi. Il fondo con queste risorse infinite garantite dalla Bce sarebbe gestito da operatori professionali con un obiettivo di stabilizzazione del prezzo, avvicinandolo a quello del gas liquido a Londra o nei terminali di rigassificazione. Al limite potrebbero anche mantenere il prezzo entro un range di oscillazione, senza bisogno di comunicarlo, per lasciare gli operatori rialzisti nel buio piu totale. Vogliamo scommettere cosa succederebbe all’annuncio di un simile operatore ai prezzi di mercato? Davvero qualcuno scommetterebbe contro la capacità finanziaria della Bce, per definizione infinita?
È una mossa molto simile al whatever it takes di Mario Draghi o alla fissazione di un target di tasso d’interesse a lungo termine da parte dell’autorità monetaria. Il mercato non scommette mai contro l’autorità monetaria perché sa che perderebbe sempre a prescindere, e quindi, per definizione si adatta immediatamente portando il prezzo dove desiderato, spesso banalmente senza che si faccia nulla in termini di acquisti o vendite, perché è il mercato stesso a operare per allinearsi.
Insomma, in poche parole si eliminerebbero con mezzi finanziari le storture di tipo finanziario che stanno rendendo il mercato un casinò senza senso, con oscillazioni giornaliere del 10 o 20 per cento, lontane da ciò che dovrebbe essere: un meccanismo di formazione del prezzo. Ma per ottenere questo risultato serve una determinazione e una coesione europea che latita con effetti devastanti sull’economia reale.
Alla stortura dei mercati si può reagire sfruttando le armi stesse dei mercati, purché si sia determinati, uniti e anche coraggiosi. Qualità che oggi mancano in Europa. Per quanto l’ultimo discorso del Cancelliere tedesco Olaf Scholz sia stato finalmente coraggioso, non si può sentire che i Paesi Bassi non sono d’accordo «perché vendono il loro gas a prezzi alti (meglio sarebbe dire ridicolmente alti)».
Se i Paesi Bassi non sono d’accordo allora si discuta se l’Europa esiste o è finta. Se fosse finta sarebbe bene dirlo subito, perché mai come in questo momento deve esserci. Pena la perdita di fiducia dei cittadini penalizzati in modo folle da questa situazione.
Parallelamente, i governi dovrebbero richiedere trasparenza totale a tutti gli operatori che acquistano gas. Siamo passati da un’indicizzazione del prezzo del gas al prezzo del petrolio in vigore pressoché ovunque fino a dieci anni fa e messa in opera perché si pensava che il prezzo del petrolio garantisse i produttori di gas da possibili eccessi di ribasso (visto che il gas è sovrabbondante nel mondo mentre il petrolio non lo è per nulla) a una indicizzazione con il Ttf.
Il risultato paradossale è che se il Ttf esplode per effetto di una manipolazione dei russi saremo costretti a essere strangolati dalle nostre stesse mani, cioè dai contratti d’indicizzazione. Non è noto quanto i contratti con Algeria e Azerbaigian o la stessa Gazprom, ormai non conta più, siano oggi indicizzati a Ttf o prezzo del petrolio, ma le stime che circolano sul mercato sono circa 80% Ttf e 20% prezzo petrolio. Quindi l’esplosione del prezzo Ttf è una bonanza per chi ci vende il gas e allo stesso modo un cappio al collo per tutti gli europei.
Solo per riferimento, il gas liquido che acquistiamo dagli Stati Uniti o da altre fonti viaggia oggi a un prezzo di circa 30 euro/MWh cioè circa il 12% rispetto al Ttf. Vale a dire che il prezzo fisico, non virtuale di chi oggi compra gas e di chi lo vende davvero è l’88 per cento più basso del prezzo che ci autoinfliggiamo con i nostri meccanismi pensati in tempo di pace e immutati in tempo di guerra.
Lo stesso ragionamento vale per l’energia elettrica. In Italia nel 2021 abbiamo consumato circa 320 TWh di energia di cui 280 prodotti e 40 importati essenzialmente dal nucleare della Francia. Sui 280 prodotti circa 90/100 sono rinnovabili (vento, idrico, fotovoltaico e biomasse) e 180 sono di natura fossile. Sui 180 di natura fossile circa 130 sono ottenuti col gas con un consumo di circa 24 miliardi metri cubi di gas (fonte: Terna).
Per il sistema di fissazione del prezzo il valore dell’energia elettrica dipende dal costo dell’operatore più costoso richiesto dal mercato. Questo funziona perfettamente in tempi normali, ma se il prezzo del gas aumenta, con il Ttf che esplode per motivi non reali ma finanziari, anche l’energia elettrica aumenta esponenzialmente creando un profitto spaventoso per i produttori di energia rinnovabile, i quali vendono di fatto al prezzo ridicolo stabilito dal Ttf.
La proposta di Calenda e del Terzo Polo di slegare il prezzo delle rinnovabili dal gas non solo è sensata, ma assolutamente necessaria e urgente. Perché ad oggi la tassa Ttf non solo si ribalta su chi usa il gas, ma anche su tutto il mercato dell’energia elettrica. Stupisce che il governo non la porti avanti con immediatezza.
Anche qui il tema è uscire da una logica finanziaria, che ha funzionato benissimo in tempi normali, ed entrare in una logica di guerra in cui il prezzo dell’energia dipende innanzi tutto dal prezzo effettivamente pagato degli operatori (che non è assolutamente il Ttf ma dipende da accordi di lungo termine o anche indicizzazione al petrolio ecc.) ed eventualmente sovvenzionare parte del prezzo degli operatori con un fondo governativo.
Insomma, quando il mercato è palesemente distorto, e lo è per azione di un operatore malevolo, non di mercato e assolutamente in grado di decidere senza riferimento a scelte economiche o democratiche (cioè il ritratto della Russia e di Gazprom) non si può continuare a fare come se ciò non fosse vero. Va risposto non tanto con embarghi o tetti al prezzo, che sarebbero sfruttati per uscire da contratti che neppure Gazprom vuole disdire viste le penali che subentrano, ma con azioni uguali e contrarie che sono per natura direttive, non di mercato e con la stessa potenza di fuoco in termini finanziari. Al bluff di Putin si risponde con un “vedo”, supportato da risorse finanziarie enormemente superiori, pressoché infinite si può dire, perché la Bce può tranquillamente finanziare temporaneamente un fondo europeo di stabilizzazione del prezzo del gas che fornisce a ogni governo i mezzi per compensare qualsiasi speculazione Ttf.
Invece, fino a quando noi europei risponderemo alle azioni fuori mercato e miranti alla destabilizzazione geopolitica di Putin con misure timide, locali e non europee, (tendenzialmente sempre attente a non calpestare i diritti degli speculatori o di chicchessia e di guadagnare sul mercato) potremo solo perdere. Siamo in guerra economica con la Russia. Questo è un dato di fatto, ma rispondiamo alla guerra senza giocare ad armi pari, presupponendo di vivere nel bel mondo antico in cui non c’era la guerra.
Il gas adesso è scarso e la sua distribuzione va gestita in una ottica di guerra, così come il suo prezzo. Per 12-18 mesi il mercato come lo conosciamo non ci sarà più, così come non è stato lo stesso negli ultimi drammatici sei mesi, quando non abbiamo fatto nulla per riconoscere il problema.
Bisogna che l’Europa si svegli e non solo si riarmi per evitare strane idee di Putin nel futuro, ma che lo faccia anche economicamente, per rendere la Russia innocua e lasciarla alle prese con idrocarburi che potrà vendere solo alla Cina e solo con un enorme sconto rispetto al prezzo di mercato. Questo potrà avvenire non perché mettiamo un price cap al prezzo del gas; tutt’altro. Semplicemente perché non compreremo più i loro idrocarburi, avendo sviluppato fonti alternative di approvvigionamento gas nel breve termine e di altre fonti di energia nel medio e lungo termine, cioè il nucleare. E semplicemente a patto che l’Europa agisca sul mercato Ttf come un antispeculatore abbassando il prezzo tanto quanto la Russia (infinitamente meno ricca ed economicamente irrilevante) lo ha fatto salire artificialmente.
La Russia ci ha dichiarato guerra, economica per ora.
Siamo enormemente più ricchi, più operosi, più numerosi, più tecnologicamente avanzati e molto più evoluti finanziariamente della Russia. Possibile che un ricatto dai piedi di argilla (perché non può durare ancora molto) su una materia prima sovrabbondante non solo nel mondo ma anche vicino a casa nostra, nel triangolo Cipro-Egitto-israele e perfino nel mare Adriatico, basato su un mercato ormai palesemente non funzionante e distorto, ci possa mettere in ginocchio?
Ma dove è il nostro orgoglio, la nostra creatività, la nostra ricchezza per difendere i nostri cittadini e le nostre imprese e uscire dal ricatto temporaneo e patetico della Russia di Putin? Perché continuiamo a giocare pulito a fronte di un tiranno che mente ogni giorno è che sfrutta la nostra onestà e trasparenza democratica contro di noi?
Dobbiamo fare emergere con forza, quasi con violenza, la nostra voglia di vincere la guerra che Putin ha scatenato fisicamente contro l’Ucraina ed economicamente contro di noi. Dobbiamo dimostrare a Putin e a tutto il mondo che l’Europa è economicamente potente, capace, ricca, abile e non può essere sfidata chiudendo il rubinetto di una materia prima per costringerci a lasciare al loro destino i poveri ucraini che sacrificano la loro vita per non finire oppressi, colonizzati e cancellati come popolo dall’orso russo.
Più il ricatto continua e si allarga, più armi dobbiamo dare convintamente agli ucraini senza dire quante ne diamo, cosa diamo e in che tempi. Stessi metodi non trasparenti dei russi. Perché oggi è il gas e domani saranno i chip di Taiwan, e dopodomani una qualsiasi materia prima o ricatto possibile. E ai ricatti si risponde con la forza, specie quando siamo più forti. E noi europei siamo immensamente più forti della povera Russia in balia di un dittatore bugiardo, repressivo, sanguinario ed enormemente corrotto insieme a tutti i suoi pretoriani.
Questa è una guerra e noi vogliamo vincerla. Anche contro chi fa al nostro interno da quinta colonna di Putin, per lo più per l’ignoranza assoluta, espressione dominante dei partiti populisti come purtroppo abbiamo imparato in questi anni da Giuseppe Conte, Matteo Salvini, Michele Emliano, Francesco Boccia, Luigi Di Maio, Nicola Fratoianni e via dicendo.
Ma vogliamo vincere lo stesso e lo faremo anche mandandoli tutti a casa a cercarsi un lavoro.
Whatever it takes.