Modelli di mobilità virtuosiIl Giappone sta vincendo la sua lotta contro la violenza stradale

Il numero di incidenti cala costantemente di anno in anno: merito dell’efficienza del trasporto pubblico e di politiche che stanno riducendo la quota di auto in circolazione, migliorando la qualità della vita di tutta la cittadinanza

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Mentre, in Italia, Matteo Salvini ipotizza di proporre un referendum contro lo stop Ue alla produzione di auto a motore termico dal 2035, il Giappone si sta affermando come uno dei pochissimi Stati in grado di vincere la sua lotta contro il traffico motorizzato, la violenza stradale e le morti a causa di incidenti. A dirlo chiaro e forte sono le statistiche ufficiali: dal 2012 al 2021 il numero di persone decedute a causa di incidenti si è ridotto anno dopo anno, arrivando praticamente a dimezzarsi (da 4.438 a 2.636). Per dare un’idea, in Italia – Paese che conta la metà degli abitanti del Giappone – il numero di morti annue dovute a incidenti si è attestato per gli ultimi dieci anni oltre quota 3.000, fatto salvo il 2020 (anno del lockdown che ha chiaramente influito sul dato).

Il merito del successo giapponese è di una politica della mobilità che ha puntato a minimizzare l’uso della macchina e che può dare molti spunti anche ai Paesi europei, Italia (lo Stato più motorizzato del continente) inclusa. Il primo “segreto” risiede sicuramente in una delle reti ferroviarie migliori al mondo. L’efficienza dei treni nipponici è tale che il ritardo di soli cinque minuti di un treno può diventare notizia per giornali locali e nazionali. 

Un’eccellenza che viene premiata dai giapponesi: nel 2019 il numero di abitanti che ha usato il sistema ferroviario è stato 13 volte superiore a quello dei passeggeri di Amtrak, la società di ferrovie che opera negli Usa, dove la popolazione è due volte e mezzo maggiore di quella giapponese. Il sistema ferroviario del Paese asiatico si regge su una partnership virtuosa tra privato e pubblico. In un’intervista a Forbes, Takashi Oguchi, professore di ingegneria all’università di Tokyo, spiegava che «il Giappone si differenzia dall’occidente per il fatto che i suoi sistemi di trasporto pubblico sono gestiti prevalentemente grazie a una partnership virtuosa tra pubblico e privato che garantisce un sistema molto efficiente».

Ma i virtuosismi della mobilità del Giappone non si fermano alle ferrovie, e puntano al futuro. Così, nel mezzo della pandemia, è nato il cosiddetto “MaaS” – un sistema di trasporto integrato che mira a un unico sistema di ricerca, prenotazione e pagamento -, che combina in modo ottimale più servizi di trasporto pubblico e altri servizi di viaggio, in risposta alle esigenze di ciascun residente. 

Questo sistema è già realtà in alcune zone del Paese. Nella città di Fukuoka e nella città di Kitakyushu, Toyota Motor e Nishi-Nippon Railroad (Nishitetsu) hanno lanciato un servizio di mobilità via smartphone chiamato “my route”, che consente agli utenti di pianificare un’uscita inserendo una destinazione e poi selezionando tra diversi percorsi e mezzi di trasporto, tra cui l’autobus, i treni e i taxi.

Il MaaS non è solo ecologico, ma, come spesso accade per le politiche ambientaliste, è rivolto alle fasce più fragili della popolazione come donne, anziani e giovanissimi che, per diversi motivi, sono portati a usare meno le macchine. Si tratta di un mercato sempre più in espansione: lo Yano research institute ha previsto che il mercato MaaS nazionale raggiungerà i 6,3 trilioni di yen (61 miliardi di dollari) nel 2030, rispetto agli 84,5 miliardi di yen (813 milioni di dollari) del 2018 e con una crescita annua del 44,1 per cento rispetto al 2016.

La lotta alla congestione del traffico passa anche da quella ai parcheggi per strada. In Giappone, fin dal 1962, per possedere un’automobile i cittadini devono ottenere un “certificato di garage” (Shako shomei sho) dalla polizia locale per poter immatricolare un’auto. Il documento serve a dimostrare che si ha accesso a un parcheggio fuori strada. La regola non richiede la proprietà di un posto auto: è sufficiente il permesso sull’affitto di un parcheggio. 

Una legge forse drastica, ma che sicuramente permette agli automobilisti di avere una migliore visione della strada e di eliminare quello “stress da parcheggio” e da ingolfamento che gli italiani conoscono molto bene. Roma, stando alla Global scorecard di Inrix, è infatti la seconda città al mondo dove si perdono più ore imbottigliati nel traffico (254), mentre Milano è settima (226). E il Transport and environment report 2019 dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) ha inserito l’Italia al terzo posto della classifica dei Paesi europei in cui si passa più tempo nel traffico.

Proibire i parcheggi per strada è anche uno degli esempi più concreti di come la mobilità giapponese sia pensata per mettere in sicurezza i bambini: il non avere macchine per strada permette ai più piccoli di vedere meglio la strada e farsi notare dai conducenti. Non è un caso che in questo Paese già a due-tre anni i bambini attraversino la strada da soli, sicuri che le regole della strada – insegnate a scuola fin dai primissimi anni di vita – saranno rispettate da tutti.

Non bisogna poi dimenticare che la bicicletta, in Giappone, va forte. Secondo l’Institute for transportation and development policy, la quota di mobilità ciclistica giapponese si attesta al 16% (negli Usa è del 2%). Un numero importante per un Paese di 125 milioni di persone.

Il modello Giappone sta facendo scuola: nelle Filippine è in corso una discussione per implementare una legge “no parking” simile a quella giapponese con l’obiettivo di risolvere i problemi di traffico e inquinamento nella capitale Manila. Inoltre, nel 2017 il Vietnam ha chiesto aiuto alle aziende nipponiche per risolvere i suoi problemi di traffico e di incidenti mortali. Manila, Hanoi e Tokyo si sono iniziate a muovere. Roma e Milano potrebbero essere le prossime. Nel frattempo buona fortuna per il prossimo parcheggio sotto casa.

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