Poche cose sono certe nella vita. Una di queste è che “Italica. Il Novecento in 30 racconti (e tre profezie)” di Giacomo Papi (edito da Rizzoli) andrebbe letto ovunque, diffuso nelle scuole, regalato ai compleanni, a Natale, quando si può. Non inganni la copertina di ispirazione balneare, anche se il libro va bene anche per accompagnare i pomeriggi sotto l’ombrellone. La verità è che ogni stagione è buona, soprattutto in questi anni nei quali a ogni decesso illustre (l’ultimo quello della Regina Elisabetta) si ripete che il Novecento, anche in ritardo di 20 anni, è davvero finito.
Papi il Novecento (italiano) lo comprime in un libro di quasi 450 pagine e lo descrive con un’antologia di racconti, non per forza i più belli (anche se alcuni sono bellissimi) «perché il criterio che ha orientato la scelta è stato cercare di mostrare i passaggi cruciali avvenuti nella politica e nel costume in Italia». Racconti, insomma, come fotografie d’epoca, istantanee che diventano documentari, documenti storici. Che hanno in più il punto di vista laterale di un genere trascurato dalla tradizione letteraria del Paese, che pure serba rivelazioni (come “La paura” di Federico De Roberto) e vere e proprie gemme (ce ne sono tante, come “Il ladro di lumi” di Elsa Morante o “Prima divisione nella notte”, di Carlo Emilio Gadda).
Ogni racconto – le antologie funzionano così – è preceduto da alcune pagine introduttive (a volte più godibili dei racconti stessi) che servono a inquadrare il tema. Il futurismo, la Prima guerra mondiale, l’avvento dei fascismi, la donna, le leggi razziali. Ma anche la resistenza, la fine delle case chiuse, l’avvento della schedina e la piaga dell’eroina. Il Novecento scorre davanti agli occhi nelle statistiche introduttive, negli aneddoti sugli autori selezionati o sui racconti stessi. Si scopre che la censura sotto l’epoca fascista nasce in seguito a un romanzo di Mura, pseudonimo di Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri. Il suo “Sambadù amore negro” del 1934 fece infuriare Mussolini, che chiese una stretta sulle pubblicazioni. O che “La città involontaria” di Anna Maria Ortese, sorta di reportage tra il popolo degli abissi del III e IV Granili pubblicato in due puntate sul Mondo nel 1952, contribuì alla decisione di radere al suolo l’edificio e dare una sistemazione più dignitosa ai suoi abitanti.
“Italica” poi è un’antologia di atmosfere e geografie. Alle languide camere d’albergo degli anni ’30 (sempre Mura) si accompagna il freddo delle montagne della Prima guerra mondiale, l’inverno opaco di “Fame”, la Roma dei sobborghi, fiera e spensierata, in un sabato fascista , o l’apatia nervosa di una costa ligure prima della Seconda guerra mondiale. E poi il tepore domestico di una coppia nella Milano che si industrializza (Calvino), l’ora notturna del dialogo tra due mafiosi (Sciascia), la vita d’ufficio fantozziana riprodotta da Paolo Villaggio, lo squallore tossico della periferia emiliana (Tondelli), il pomeriggio all’Olimpico in mezzo ai neonazisti. È un caleidoscopio di paesaggi, intrusioni, immagini.
Insomma c’è tutto un secolo e c’è tutto un Paese, con i suoi progressi e le sue tare, i suoi miti abbandonati per strada e le sue incertezze per il futuro. Non a caso Papi va oltre – perché il Novecento, come detto, non finisce mai davvero – e completa i racconti con tre profezie e previsioni, a indicare che il percorso continua ancora, anche se le pagine a un certo punto si fermano. È necessario, certo. Ma al termine del viaggio davanti agli occhi c’è il ritratto di un secolo e di un Paese. E in una certa misura, quello di ciascuno di noi.