La ceramica è una delle più antiche forme d’arte giapponese. Per rendere l’idea, le note ceramiche a spirale Jōmon esistono da circa 10.000 anni. Dalle terrecotte al grès, passando per le porcellane: la ceramica ha continuato a evolversi per millenni dando vita spesso a vere e proprie forme d’arte, ben al di là del semplice artigianato.
Ancora oggi, questo materiale è protagonista della cultura nipponica: tra gli artisti in grado di trasformarlo in capolavori spicca la quarantenne Keiko Masumoto con i suoi “Anti Vaso”. Dopo aver studiato e lavorato a Kyoto, Keiko ha completato la propria formazione artistica all’università delle arti di Philadelphia e al Victoria & Albert Museum (V&A). Ora lavora e vive in Giappone a Shigaraki, dove dà vita a opere in cui i vasi e i piatti della tradizione giapponese sembrano prendere vita e volo. Fino a occupare tutto lo spazio.
L’arte di Keiko Masumoto risulta immediata, gioiosa e leggera. Tali caratteristiche sono fortemente ricercate dall’artista che ha una visione democratica e inclusiva dell’arte contemporanea, che sembra criticare per alcune derive concettuali troppo ermetiche e autoreferenziali. Keiko Masumoto si può quindi dire che abbia avuto il merito di portare un materiale così “classico” come la ceramica e la porcellana giapponese nell’arte contemporanea.
Assistiamo in ogni angolo del mondo a un inedito trend artistico di riscoperta dell’artigianalità, del saper fare, non fine a se stesso, ma quale motore e oggetto di “nuova” arte. Basti pensare, in Italia, al vetro soffiato di Laura de Santillana o al legno tornito di Fulvio Morella. Per comprendere meglio questa tendenza abbiamo intervistato Keiko Masumoto, che ci ha mostrato il suo mondo e la sua visione dell’arte al di là delle facili apparenze. Abbiamo scoperto un mix unico di tecnica ed estetica, ma anche una chiara “ideologia” artistica.
A ragione sei considerata una delle più talentuose giovani artiste giapponesi, nonostante tu parta dall’artigianato tradizionale – ceramica e porcellana – per realizzare le tue opere. Cos’è quindi l’arte per te, e che differenza c’è tra arte e design?
«L’arte mi aiuta ad uscire dal mio piccolo mondo chiuso. È la mia voce. Lo strumento è l’artigianato. Vasi, ceramiche, piatti sono familiari a tutti: ognuno di noi sa cosa sono e a cosa servono. L’arte invece non sempre è così familiare e accessibile, anche se l’arte è quel qualcosa in più del design a cui voglio tendere con il mio lavoro».
Perché lavori l’argilla e, in generale, la terra? Il fuoco della cottura e il processo hanno qualche riferimento simbolico?
«Impiego molto la porcellana, soprattutto per le opere in blu e bianco. Altre volte realizzo opere in ceramica. I motivi sono diversi, ma senz’altro gioca un ruolo importante il fatto che siano tecniche tradizionali e artigianali giapponesi. Inoltre, la terra è un materiale duttile e altamente plastico che mi permette di dare forma alle mie idee. Il fuoco e il processo, però, non sono il fine del mio lavoro. Io punto al risultato, che è l’opera d’arte finale: un mix di tecnica, decorazione e idee».
Il Giappone ha una tradizione antichissima della ceramica e della porcellana: quanto pesa e conta tutto ciò nella tua ricerca?
«Lavorare con la ceramica per me è veramente il mestiere più cool che si possa fare in Giappone! Provo un grande rispetto per il passato, i mestieri e la maestria giapponese. Il mio lavoro si nutre di questo grandioso passato, da cui attingo sempre. Ad esempio, nel mio lavoro risulta forte la sintonia e la reinterpretazione delle famosissime porcellane Nabeshima che prevedevano che gli oggetti fossero dipinti con un sottosmalto blu e ossido di ferro rosso su uno sfondo bianco. Ciò premesso, il mio lavoro non ripete il passato e va oltre anche a livello formale. Ad esempio nelle mie opere non c’è l’attenzione al marchio e all’etichetta che invece caratterizza tutta la tradizione della ceramica e della porcellana nipponica. Per me questo tipo di riconoscibilità non è importante: se l’opera è piccola, firmo l’opera sul fondo, ma può anche non esserci la firma e risolvo la questione dell’autentica, allegando un documento cartaceo all’opera».
Qual è l’opera che più rappresenta la tua filosofia artistica?
«Il mio lavoro preferito è la grande scultura “Blue Birds / Blue Ceramics”: degli uccelli in volo attraversano e collegano dei vasi. Il volo degli uccelli unisce e travalica la dimensione e il significato stesso del singolo vaso: quegli oggetti non sono più solo vasi e quel volo riesce a fondere la materia e la decorazione in un tutt’uno. L’ispirazione mi è venuta riflettendo sul come la ceramica giapponese sia stata collezionata, vissuta e interpretata dall’Europa per secoli. Un giorno, osservavo la parete di una stanza di una villa in Europa ricoperta di vecchie ceramiche asiatiche; mi è venuta in mente l’immagine degli uccelli che uscivano fuori dai piatti appesi. Questo volo riusciva ad unire i singoli pezzi, quasi a renderli un’unica opera. Così è poi stato».
Sembra che la natura sia davvero rilevante per te: il volo degli uccelli, i pesci, i fiori. Perché? Come selezioni i tuoi soggetti?
«Mi piacciono gli uccelli per la loro forma e perché si adattano bene ai vasi e ai piatti, che caricano di un inedito pathos commovente. Cerco però di essere libera da stereotipi in tutta la mia arte. A volte la scelta dei motivi delle mie opere ha origini più razionali e meno empatiche. I motivi naturali sono infatti stati per molto tempo la decorazione artigianale più popolare non solo in Giappone. Perciò il mio interesse viene anche dal fatto di veicolare alle persone il mio pensiero con qualcosa che gli sia familiare: non solo realizzo oggetti che richiamano forme della vita quotidiana, ma anche la decorazione (motivi naturali, ecc…) è quella più comune, che le persone sono già abituate a vedere. Perciò il mio processo creativo spesso mi porta a selezionare i soggetti dai pezzi di ceramica tradizionali guardandomi intorno, traendo ispirazione dagli oggetti della mia vita quotidiana; li combino e vado oltre, raccontando un altro-nuovo mondo, il mio, senza risultare repulsiva per chi capisce poco d’arte. Ognuno a suo modo può capire e gioire della mia arte».
In effetti nei tuoi lavori sembra che l’opera esca dai vasi e dai piatti verso lo spazio esterno. Il tuo lavoro sembra non essere tanto la decorazione del vaso, quanto la sua esplosione tridimensionale. Parti dal particolare per arrivare, volare, a qualcos’altro di più grande. Sbaglio?
«Mi interessa lo spazio, ma sempre stando attenta al dettaglio che si muove in esso. Penso che la decorazione sia fondamentale e faccia parte tanto del lavoro artigianale quanto dell’arte. Mi interessa la decorazione, intesa come cura del dettaglio, sempre piccolo e preciso, che è motore dello spazio come lo intendo io. I motivi, se troppo grandi, non possono che ignorare le regole della decorazione. Combinando tali motivi a vasi ordinari, cerco di fare oggetti che sono artigianali a livello tecnico, ma che nell’insieme sono opere d’arte. Il mio lavoro in fondo è proprio questo: l’equilibrio fra queste dimensioni che non voglio in nessun caso rinnegare. La mia arte parte dall’artigianato e dalla decorazione, per andare oltre ed essere arte».
Combini spesso il grande con il piccolo. Come e perché decidi la dimensione finale delle opere installative?
«Se rappresento elementi naturali, come un gabbiano, un girasole o un grappolo d’uva, cerco di realizzarli a dimensione naturale. Per tale ragione progetto vasi da cui partire di dimensioni che mi permettano di rispettare il più possibile l’attinenza alla realtà rappresentata. Cerco di fare tutto io, anche se mio marito è un grande supporto a livello tecnico».