Il pacifista comunista leghista sindacalista collaborazionista commenta le notizie sugli ospedali bombardati, sulle scuole distrutte, sui mercati inceneriti, sulle donne stuprate, sui bambini deportati: le commenta per contestarne la verosimiglianza, per ridimensionarle o, quando non ci riesce, per attribuire la responsabilità di quei crimini a tutti e a tutto – allo yankee guerrafondaio, agli Stati Uniti, alla Nato, all’Europa che ne è serva, alle vanità degli ucraini, al cinismo di chi li capeggia – tranne che a chi li ha programmati e perpetrati e ne rivendica la legittimità, quando a sua volta non riesce a seppellirli con la propaganda di cui qui da noi si fa ripetitore il pacifista comunista leghista sindacalista collaborazionista.
Le notizie sulla resistenza ucraina, e sulle riconquiste che essa riesce a completare, sono più difficili da maneggiare. Imbarazzano. Turbano l’equilibrio della sloganistica corrente, “Né con le stuprate né con la Nato”, “Né coi bambini deportati né con l’Europa delle armi”, “Né con i covi nazisti camuffati da ospedali né con gli omosessuali di Kiev”.
E se dunque una città è restituita al controllo ucraino, allora il pacifista comunista leghista sindacalista collaborazionista non riesce, non ancora, a dire “purtroppo”; se le linee degli aggressori arretrano, il “malauguratamente” che rimugina non riesce, almeno per adesso, a venir fuori come vorrebbe. Ma quel cambio di scenario attenta alla pace pacifista, quella che non è revocata dai cecchini che impiombano i ciclisti e dai cadaveri di Bucha, verosimili manichini, ma dalle armi inviate dall’Occidente libero a chi reclama di farne parte e combatte per farne parte.
Arretra con gli aggressori, la pace pacifista: la pace embedded in operazione speciale.