Il piano dell’Unione Europea di mettere un tetto ai prezzi del petrolio e del gas russo è «solo delirio, pura stupidaggine» che «non porterà nulla di buono a chi la prende» e «può condurre solo a un aumento dei prezzi», ha detto Putin al Foro dell’Economia dell’Est di Vladivostock. «Sospenderemo le forniture di gas e petrolio se la Ue metterà un tetto». «Non gli daremo né gas, né petrolio, né Diesel, né carbone». Infatti, subito dopo il prezzo del petrolio ha raggiunto i minimi da gennaio, e anche quello del gas è crollato.
Per il gas, è bastato proprio il mero annuncio che la Ue avrebbe messo un tetto al prezzo per gli acquisti di metano – 100 euro per il gas e 200 per l’elettricità – a far scendere il prezzo del 35% nella settimana prima della riunione del Consiglio dei ministri Ue dell’Energia: da 340 euro a 213. Il tutto come parte di un pacchetto che dovrebbe comprendere anche un piano di risparmi fino al 10%, una tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche con cui recuperare risorse per rimborsare gli aumenti delle bollette di cittadini e imprese, un intervento sulla Borsa del gas di Amsterdam. Ovviamente, se poi il gas davvero manca, il prezzo non potrà che risalire. Ma molto doveva dipendere dalla speculazione, e ora sembra che l’annunciata intenzione della Ue di fare sul serio sia bastata per indurre gli operatori a puntare su uno scenario differente.
Il presidente russo ha pure detto che Mosca non ha avrà problemi a conseguire clienti alternativi in Asia. «C’è una tale domanda nei mercati globali che non avremo problemi per vendere». Ma sembra una analisi altrettanto acuta di quella che lo indusse a attaccare l’Ucraina nella certezza che avrebbe risolto tutto in 48 ore. Vero che un minimo di petrolio russo sotto banco ha continuato a filtrare in Europa. Nikkei Asia riferisce ad esempio che nelle acque della Grecia negli ultimi sei mesi almeno 41 navi avrebbero trasbordato greggio da petroliere russe.
Ma non sono quantità tali da determinare le tendenze di fondo. In realtà, proprio i prezzi stracciati fatti ai clienti asiatici hanno subito saturato il mercato, e in più in Cina il ritorno del Covid sta portando a una recessione tale da azzoppare la domanda. La crescita di esportazioni della Repubblica Popolare tra luglio e agosto è calata dal 18 al 7,1%, il suo import di petrolio è dunque calato del 4,7% su base annuale, e quello di prodotti raffinati del 15,9.
Inoltre, le stesse minacce di Putin hanno un effetto da annuncio recessione il cui impatto è depressivo. Dunque, il barile di petrolio statunitense West Texas Intermediate (Wti) a ottobre è terminato a 81,84 a New York, perdendo il 16% del suo valore in 10 giorni, e il 5,85% solo mercoledì. Il Brent del Mare del Nord per ottobre in Europa ha a sua volta perso il 5,30%, arrivando sugli 88 dollari a Londra. Per la prima volta dal 2 febbraio è sotto quota 90, e l’ultima volta che era stato più alto era l’11 gennaio. Il fatto poi che il prezzo medio degli ultimi 50 giorni è sotto a quello degli ultimi 200 è indicato come «death cross»: indica una inversione di tendenza, e in questo caso un ribasso ostinato.
Secondo Edward Moya, Senior Market Analyst del Forez Broker Oanda, in questo momento il mercato del petrolio è «un bagno di sangue» in cui «il rischio di perdere forniture di energia russa non basta a sostenere i prezzi, nel momento in cui gli operatori sono focalizzati sulla domanda». Anche Matt Smith, Oil Analyst della data and analytics firm Kpler, osserva come «Putin cerca di servirsi del petrolio e del gas come di un’arma, ma il mercato invece di preoccuparsi del relativo impatto sull’offerta sta preferendo concentrarsi nell’effetto sulla domanda che potrebbero avere i prezzi alti».
La forza del dollaro contribuisce. Neanche l’annuncio di un taglio della produzione a ottobre fatto dalla OPC+ apposta per sostenere i prezzi ha avuto effetto. Di conseguenza, già a agosto i ricavi del petrolio e del gas nel budget federale della Russia sono scesi a 672 miliardi di rubli. Il valore più basso dal giugno 2021.