Un dibattito lungo e complicato, risolto come spesso accade con una soluzione di compromesso. I Paesi dell’Unione europea si sono confrontati sulla possibilità di sospendere il rilascio dei visti ai cittadini russi, ma alla fine è stata evitata la scelta più drastica. I ministri degli Esteri dell’Unione, riuniti a Praga in un incontro informale, hanno concordato una linea comune, spiegata poi alla stampa dall’Alto rappresentante per gli Affari Esteri Josep Borrell.
Accordo sospeso
La misura più significativa è la sospensione di un accordo in vigore dal 2007, che consente ai russi di ottenere il visto per entrare nell’Unione tramite una procedura semplificata rispetto ai cittadini di altri Paesi stranieri. Finora l’accordo era stato limitato, escludendo alcune categorie di persone, ma rimaneva valido per i «cittadini comuni».
La trafila per avere il permesso sarà ora più lunga e complicata e questo, secondo l’Alto rappresentante, ridurrà in maniera significativa il numero di visti concessi. Gli Stati membri, tra l’altro, non riconosceranno i passaporti rilasciati dalle autorità russe nei territori occupati dell’Ucraina.
Se il numero di visti è destinato a calare in futuro, alla Commissione europea viene chiesto pure di occuparsi dei milioni di titoli di ingresso già emessi: l’entrata massiccia di russi provoca infatti anche preoccupazioni legate alla sicurezza nei Paesi confinanti con la Russia, ha spiegato Borrell.
Proprio per questo, i singoli Stati membri dell’Unione potranno prendere ulteriori misure restrittive a livello nazionale, sempre rispettando le regole comunitarie. La Finlandia, ad esempio, ha già annunciato che diminuirà da settembre del 90% il numero di visti concessi ai russi, al momento un migliaio al giorno secondo il portale specializzato Schengen Visa Info.
Dalla Russia per turismo
Stando ai dati forniti da Frontex, l’agenzia deputata al controllo delle frontiere esterne dell’Unione, dal giorno dell’invasione dell’Ucraina quasi un milione di russi sono entrati legalmente nei Paesi europei, con flussi in aumento dalla metà di luglio. «Viaggiano e fanno shopping come se non ci fosse una guerra in corso», ha detto Borrell.
Visto che da febbraio lo spazio aereo dei 27 Paesi è interdetto alle compagnie russe e ai velivoli di proprietà o affittati da cittadini russi, chi vuole raggiungere l’Unione deve farlo via terra. In tanti hanno varcato le frontiere con Lettonia ed Estonia, o Lituania (transitando dalla Bielorussia). Altri sono volati in Norvegia, che non fa parte dell’Unione, per poi spostarsi in altri Paesi.
Hanno potuto farlo grazie al cosiddetto «Visto Schengen», un permesso per soggiorni di breve durata che consente di viaggiare in tutta l’Area Schengen: cioè 22 paesi dell’Unione, più Islanda, Norvegia, Liechtenstein e Svizzera. Il visto è valido per tre mesi, in cui un cittadino straniero non ha bisogno di ulteriori permessi per passare da uno Stato all’altro.
Favorevoli e contrari
Ma in Europa molti trovano immorale che i russi possano fare i turisti mentre gli ucraini sono sotto attacco dai loro connazionali. «In un momento in cui i cittadini ucraini devono lottare per la loro libertà, i cittadini russi possono venire nei Paesi dell’Europa meridionale per le vacanze o fare shopping nelle belle città europee», ha detto ad esempio Urmas Paet, eurodeputato liberale estone e vicepresidente della commissione affari esteri del Parlamento comunitario.
Sulla stessa linea molti rappresentanti governativi di vari Paesi. Quelli confinanti con la Russia erano i più determinati a vietare completamente la concessione dei visti: nella riunione dei ministri degli Esteri Estonia, Lettonia e Finlandia hanno sostenuto l’ipotesi, con il supporto dei Paesi Bassi e soprattutto della Cechia, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione. Il suo ministro degli Esteri Jan Lipavský aveva auspicato una «sospensione totale» prima di presiedere la seduta.
Mentre alcuni Paesi, come la Grecia, sono rimasti più defilati evitando di prendere una posizione pubblica, Germania, Francia e Portogallo hanno apertamente contestato la proposta. I governi di Parigi e Berlino hanno pure fatto circolare un documento, riportato dal quotidiano Politico, in cui sostengono che la guerra in Ucraina è responsabilità di Vladimir Putin e non del popolo russo e che una misura del genere favorirebbe la narrativa del presidente.
Dal loro punto di vista, tra l’altro, mantenere la possibilità di ingresso darebbe la possibilità di raggiungere l’Unione quei cittadini russi, non necessariamente oppositori politici, che non sono d’accordo con l’invasione dell’Ucraina. Come una giovane moscovita contattata da Linkiesta, che ha dovuto rinunciare a una vacanza già pianificata a Parigi per lo scoppio della guerra. A suo giudizio, se l’Unione Europea sospendesse totalmente la concessione dei visti farebbe un grosso regalo al Cremlino, la cui propaganda insiste ogni giorno sul sentimento anti-russo di europei e americani.
Anche Borrell si era personalmente opposto al divieto, sostenendo che l’Unione non doveva «allontanarsi dalla società civile russa», ma semplicemente essere «più selettiva», lasciando fuori gli oligarchi e mantenendo la porta aperta per gli altri.
Una missione per l’Ucraina
Dalla settimana di riunioni informali a Praga è emersa anche un’altra idea per contrastare l’operazione militare di Putin. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri ha proposto ai ministri della Difesa dei 27 una «missione europea di assistenza militare» all’Ucraina, che si aggiungerebbe ai 2,5 miliardi già forniti al governo di Kiev attraverso lo strumento dell’European Peace Facility (e alle forniture di armi decise singolarmente dai Paesi membri).
Nessuna decisione è stata presa in merito, dal momento che si trattava di una riunione informale e non di un Consiglio ufficiale degli Esteri, e i governi europei dovranno studiare a fondo la proposta per definirne i contorni. Ma anche in questo caso Borrell ha fornito alcuni dettagli.
«Serve essere veloci e ambiziosi e mostrare flessibilità basandoci sulle necessità dell’esercito ucraino». Si tratterà di una missione di addestramento, ma anche di «educazione militare di alto livello», in cui gli ufficiali degli eserciti europei trasmetteranno ai loro omologhi ucraini competenze e conoscenze che potrebbero rivelarsi molto utili nel respingere l’aggressione.
Attività di addestramento ai soldati ucraini sono già state portate a termine da alcuni Stati europei, come ha precisato Borrell. Il valore aggiunto della missione sarebbe però l’approccio comune e la possibilità di sfruttare le eccellenze dei vari Paesi membri nei diversi settori militari: logistica, operazioni di soccorso, protezione da possibili attacchi nucleari, armi chimiche o biologiche.
Perché, spiega l’Alto rappresentante, la guerra non sembra destinata a finire presto. «Bisogna preparare un esercito che dovrà combattere a lungo».