Alla Biennale di Venezia, visitabile fino al 27 novembre, è esposta la prima opera d’arte al mondo certificata “carbon neutral”. L’installazione è stata realizzata dall’artista vicentino Arcangelo Sassolino, si chiama “Diplomazija astuta” e in sostanza trasforma in installazione scultorea un dipinto del 1608, “La decollazione di San Giovanni Battista” di Caravaggio. Fa parte del padiglione di Malta, isola in cui Caravaggio, che era lì per entrare nell’ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme ed evitare così una condanna a morte, dipinse il quadro in questione. Tutte le fasi, dalla progettazione alla produzione materiale, sono state realizzate con il supporto di Carbonsink, società di consulenza che si occupa di misurare e contrastare le emissioni prodotte con determinate attività.
Siamo sommersi dai dati riguardanti le emissioni per quanto riguarda settori come la moda o l’agroalimentare, è semplice reperire informazioni sulle emissioni prodotte dal comparto tessile in un anno o quelle necessarie a produrre un chilo di carne. Ma cosa sappiamo dei consumi nel mondo dell’arte? «Non abbiamo dei dati disponibili riguardo il settore dell’arte nel suo complesso: non sono ancora stati misurati perché ce ne altri più impattanti. La cosa bella del contrastare il cambiamento climatico, però, è che ci sono delle basi scientifiche, dei numeri concreti su cui basare l’azione: è così che è nata l’idea di provare a lanciare un messaggio tramite un’opera d’arte carbon neutral. Anche l’arte può, nel suo piccolo, contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico» argomenta Elisa Riva, Head of Marketing & Communication di Carbonsink.
«Quello che facciamo noi come società è, da un lato, supportare le aziende, e dall’altro portare avanti un’opera di sensibilizzazione sulla tematica dei cambiamenti climatici. Senza conoscenza è difficile prendere coscienza di quello che sta succedendo, e di conseguenza prendere l’iniziativa e agire. Sempre più artisti si schierano attraverso le proprie opere. L’idea di questa collaborazione, e di proporci come partner tecnico, è nata da un’amicizia che abbiamo con Susanna Sieff, consulente ed esperta di sostenibilità, che collabora con noi da anni: è lei che ha curato lo sviluppo della parte di misurazioni dell’opera in questione».
Quali sono gli aspetti più critici dal punto di vista delle emissioni?
«Principalmente trasporto, allestimento e materiali utilizzati: la logistica solitamente impatta molto perché le opere, per loro stessa natura, viaggiano molto. In questo caso, per come è stata pensata e studiata l’opera, l’utilizzo e la fusione del metallo è quello che ha comportato il maggior numero di emissioni. La cosa fondamentale, nel caso di quest’opera, è che è stato tutto studiato in anticipo per limitare la produzione di Co2 dalla fase di progettazione alla realizzazione, non si tratta solo di un intervento a posteriori. In primo luogo “Diplomazija astuta”, nonostante faccia parte del padiglione Malta, non è stata realizzata lì, ma nelle vicinanze di Venezia, proprio per abbattere le emissioni legate al trasporto e alla logistica. È stata inoltre concepita e costruita utilizzando energia rinnovabile per la fusione del metallo e, tutto il materiale utilizzato, è di recupero. Non solo: il metallo utilizzato è sì riciclato, ma l’opera è stata concepita in modo che, una volta finita la Biennale, il metallo possa venire utilizzato nuovamente, attraverso un opportuno processo di fusione. Il concetto di circolarità è stato concepito all’interno dell’opera d’arte a partire dalla sua concezione».
La neutralità di “Diplomazija astuta” però è data dal fatto che le emissioni, inevitabilmente prodotte per fondere il metallo, poi sono state compensate, giusto?
«Esattamente: per prima cosa abbiamo seguito quello che dicono gli standard internazionali, quindi siamo andati a misurare l’impatto e le emissioni dell’opera d’arte e le abbiamo ridotte il più possibile proprio a partire dalla fase di progettazione, con il recupero totale dell’acciaio a fine Biennale. Quelle che non siamo riusciti a ridurre, le abbiamo compensate. Il calcolo delle tonnellate residue di Co2, per quest’opera, è di 81 tonnellate: normalmente un’installazione del genere ne emetterebbe molte di più, questa cifra è frutto proprio degli aggiustamenti ex ante.
Per compensare queste 81 tonnellate residue abbiamo scelto un progetto che fosse fortemente connesso con il messaggio voluto dall’artista: in “Diplomazija astuta” si parla di ingiustizie sociali e disuguaglianze, quindi abbiamo cercato nel nostro portfolio dei progetti di compensazione, tutti assolutamente certificati, quello che potesse essere più affine. La scelta è ricaduta quindi sul progetto di Ntakata Mountains REDD: un intervento che viene sviluppato in Tanzania e che, oltre alla parte di sviluppo delle foreste, che è quella più forte dal punto di vista dell’impatto ambientale e che assorbe di fatto le emissioni, presenta anche tutta una parte sociale ed economica che va a impattare positivamente sul villaggio.
Undici dei diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite sono infatti coperti da questo tipo di progetti proprio perché vengono coinvolte le popolazioni locali, alle quali si porta un migliore stile di vita, di salute e di educazione, ma anche acqua pulita e la possibilità per loro stessi di contribuire a proteggere la foresta nella quale vivono».
Provoco: ha senso costruire qualcosa che non c’era per poi andarne a compensare le emissioni? Non si poteva cercare qualcosa che impattasse ancora meno?
«Sicuramente tutto parte dall’idea dell’artista e dal messaggio che vuole veicolare: lui ha deciso e pensato che quella struttura rappresentasse meglio il suo tipo di pensiero. Stiamo comunque parlando di una manifestazione come la Biennale di Venezia: una situazione in cui in ballo non ci sono solo dei premi, ma anche visibilità a livello mondiale, quindi immagino che abbia avuto i suoi motivi per realizzare l’opera in acciaio. Finora il comparto dell’arte ha utilizzato il suo prodotto per veicolare messaggi di attivismo ambientale e per sensibilizzare le persone, ma è la prima volta che un’opera viene concepita come carbon neutral: noi ci vogliamo augurare che ci possa essere un effetto a cascata, e che altri seguiranno questo esempio proprio perché siamo in una vetrina così importante e internazionale come la Biennale. Speriamo che succeda quello che è successo nel mondo della moda: sono partiti in pochi e adesso è un trend. Questo effetto a cascata qualcuno deve farlo partire, ma poi si autoalimenta da solo».