Nero su biancoPerché l’Italia ha bisogno di una legge sul clima

Siamo l’unica grande economia europea a non disporre di uno strumento legislativo vincolante e aggiornato che sia esclusivamente dedicato al climate change. Non basta, però, vantare una norma del genere nel proprio ordinamento: il rischio di inciampare nel greenwashing è elevato, come dimostrano alcuni esempi del nostro continente

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Nel pieno della campagna elettorale, seppur sottovoce, si torna a parlare di una legge specifica per la protezione del clima. Si tratta di uno strumento legislativo nazionale – vincolante e allineato con le volontà di Bruxelles – in grado di stabilire non solo nuovi target sulla riduzione delle emissioni, ma anche le misure e le procedure necessarie per raggiungere gli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. 

La legge sul clima è inserita all’interno del programma del Partito Democratico – che chiede anche un «piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico al 2050» – e dell’alleanza Verdi e Sinistra. Bonelli e Fratoianni, in particolare, vogliono «una legge per il clima entro i primi 100 giorni come strumento normativo di coerenza e continuità delle politiche rispetto a obiettivi vincolanti e assicurare la produzione normativa e la sua implementazione a tutti i livelli: nazionale, regionale e locale». 

Una norma del genere – presente in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, dunque in tutte le principali economie europee – non sarebbe la panacea di tutti i mali, sia chiaro. Prendiamo l’ultimo esempio dalla Gran Bretagna, dove da gennaio 2021 a luglio 2022 sono stati bocciati 27 progetti di energia solare che avrebbero garantito energia pulita a 147mila famiglie.  

Tuttavia, non avere una legge sul clima rimane sintomo di sottovalutazione di un’emergenza che, in questa campagna elettorale, viene trattata come un problema comune, passeggero e non prioritario: «Avere una legge sul clima significa elevare l’attenzione e l’efficacia delle misure a un livello più alto. Noi abbiamo abbassato l’impegno per il clima: bisogna riportarlo a livello europeo», spiega a Linkiesta Edoardo Ronchi, ministro dell’Ambiente dal maggio 1996 all’aprile 2000, che ha spesso insistito sull’importanza di questo strumento legislativo.

Edoardo Ronchi nel 1999 (LaPresse)

A livello comunitario esiste già una legge sul clima (European Climate Law, regolamento Ue 2021/1119 del 30 giugno 2021), che ha introdotto gli obiettivi – vincolanti dal punto di vista legale – della neutralità climatica entro il 2050 e del taglio del 55% delle emissioni nette di gas serra entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990). Questo regolamento obbliga gli Stati europei ad allineare i rispettivi piani nazionali per il clima e l’energia con il target del 55%, ribadito all’interno del pacchetto Fit for 55. Tra le altre cose, l’European Climate Law prevede l’istituzione dell’European scientific advisory board on climate change, un organismo che fornirà all’Ue e agli Stati membri servizi di consulenza scientifica indipendente. 

L’enorme problema, però, è che l’Italia non si è ancora adeguata alle richieste di Bruxelles sul clima: «Il regolamento europeo non è stato ancora recepito. Noi abbiamo ancora in vigore il Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030. Nei vari documenti programmatici – come il Piano per la transizione ecologica – i nuovi target dell’Ue vengono ridiscussi, ma in Italia non c’è uno strumento vincolante in vigore che abbia modificato il Pniec. Quest’ultimo era settato sui vecchi target europei del 40% e non del 55%», sottolinea Ronchi, 72 anni, che attualmente presiede la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. 

Ma cosa dovrebbe prevedere una legge sul clima? Innanzitutto, come anticipato in precedenza da Ronchi, dovrebbe allinearsi ai nuovi target climatici imposti dall’Unione europea. Non basta, però, annunciare degli obiettivi: bisogna spiegare in modo concreto come raggiungerli nel modo più veloce e meno traumatico possibile. Una legge sul clima che si rispetti deve infatti tenere conto che la neutralità climatica è un impegno di ampio respiro, in grado di toccare ogni aspetto della nostra vita. 

«Ecco perché questa norma deve indicare il contributo dei vari settori nella realizzazione degli obiettivi ambientali: le industrie, il settore civile, la mobilità, i trasporti. Inoltre, bisogna specificare la ripartizione del lavoro tra le Regioni e attribuire un ruolo più attivo delle città. Le politiche climatiche stanno andando piano anche perché manca un quadro legalmente vincolante e aggiornato al 2030 verso la neutralità climatica, con specifiche misure di mitigazione e adattamento alla crisi climatica», sostiene “Edo” Ronchi, che ribadisce l’urgenza di aggiornare una volta per tutte il Pniec. Quest’ultimo, ricordiamo, è stato presentato nel dicembre 2019 e pubblicato nel gennaio 2020, ben prima dell’arrivo della Climate Law dell’Unione europea. 

Come anticipato, tutte le principali economie europee hanno da tempo una legge sul clima. Ci sono alcuni esempi da seguire e altri da cui prendere rapidamente le distanze, e i protagonisti della prossima legislatura dovrebbero attentamente prendere appunti. Non basta una legge sul clima di facciata: serve una norma ambiziosa e concreta. 

In Germania esiste la “Bundes-Klimaschutzgesetz”, approvata nel giugno 2021: «Berlino, per iniziare, ha fatto una legge sul clima che puntava a ridurre le emissioni del 55%, ma la Corte Costituzionale ha detto che non era sufficiente, spinta dalle proteste di organizzazioni giovanili appoggiate dalle associazioni. C’era il rischio di caricare troppo peso sulle spalle dei giovani. Per questo motivo ora la norma impone un taglio del 65% al 2030: è una delle più avanzate». 

In Germania, inoltre, l’ex direttore di Greenpeace è stato nominato responsabile per la crisi climatica: «Può essere un modo interessante per aumentare l’impegno – sostiene Ronchi – ma non dobbiamo scordarci che a noi manca uno strumento per valutare l’impatto climatico delle misure legislative adottate. In che senso? Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) una percentuale alta di risorse è destinata al clima, ma qualcuno ha misurato l’efficacia di quelle misure? No». 

In Spagna, la “Ley de cambio climático y transición energética” prevede un taglio delle emissioni di gas serra del 23% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Lo stop alle vendite delle auto a combustione è fissato al 2040, cinque anni dopo l’obiettivo dell’Unione europea, e quello di circolazione al 2050. Gli ambientalisti hanno più volte definito questa legge poco ambiziosa.

Il Regno Unito, invece, nell’ormai lontano 2008 ha approvato il “Climate Change Act”, che sposa il target del -78% di emissioni di gas serra entro il 2030 (sempre rispetto ai livelli del 1990). Strada facendo, Londra ha modificato la legge inserendo le zero emissioni nette al 2050 e diventando il primo Paese europeo – nel 2019 – ad annunciare questo obiettivo. 

Molto timida, invece, è la “Loi Climat et Résilience” (2021) della Francia, che ha adottato il “goal” del -40% di emissioni entro il 2030. Il tribunale di Parigi ha giudicato inefficace e insufficiente il contenuto di questa norma, richiedendo al governo di aggiustare il tiro entro la fine del 2022: «Questa legge tanto attesa ha compiuto l’impresa di ottenere la contrarietà all’unanimità della società civile a causa della debolezza delle sue misure di strutturazione. Se Emmanuel Macron aveva annunciato di voler adottare senza filtri le 146 misure proposte dalla Convention citoyenne pour le climat (CCC), è chiaro che il divario tra l’ambizione delle misure proposte da 150 cittadini e il testo finale è immenso», si legge in un duro comunicato congiunto delle principali associazioni ambientaliste francesi.

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