Quesiti linguisticiSi dice «lasagna» o «lasagne»? Risponde l’Accademia della Crusca

L’origine risale al Medioevo. Si sa che al plurale, in ambito militare, ci si riferisce anche alle decorazioni sulla divisa. Mentre al singolare ci si può riferire pure a un taglio di banconota

(Unsplash)

Tratto dall’Accademia della Crusca

In riferimento a questo importantissimo piatto della nostra tradizione culinaria, alcuni lettori si domandano quale sia la forma corretta: parliamo di lasagne (al plurale) o di lasagna (al singolare)? In quali contesti si usano l’una e l’altra forma? E qual è la differenza?

Risposta
Oltre a essere uno dei piatti più blasonati della cucina italiana, questa preparazione a base di pasta, ragù e besciamella è al centro di una discussione linguistica capace di infiammare i pranzi di famiglia: sarà capitato a molti, infatti, di utilizzare la forma singolare, lasagna, alternatamente a quella plurale, lasagne. In questa risposta si cercherà di fare luce sugli utilizzi di entrambe le forme per poi formulare un bilancio finale.

Breve storia
La storia delle lasagne comincia nel Medioevo. Come testimoniano Grieco e Redon, si tratta molto probabilmente del primo tipo di pasta italiana, il più antico, presente in tutti i libri di ricette a partire proprio da questo periodo (cfr. Grieco-Redon 1989, p. 86, e Frosini 1993, p. 61).

La prima comparsa di questo piatto, infatti, è ricondotta al Liber de coquina, un testo scritto a Napoli presso la corte angioina all’inizio del Trecento; qui le lasagne non compaiono condite con besciamella (visto che quest’ultima è un’acquisizione settecentesca), ma solo con formaggio.

Nel Liber, infatti, si legge il procedimento per la realizzazione delle lasagne, secondo cui la pasta deve essere fermentata (particolarità che in qualche modo la assimila al pane), deve essere stesa fino a che non diventa molto sottile e poi divisa in quadrati della larghezza di tre dita. Bisogna, poi, bollirla in acqua e condirla a strati alterni, con formaggio grattugiato (caseum grattatum) e spezie in polvere a piacere (bonas species pulverizatas, cfr. Frosini 1993, pp. 59-60 e Montanari 2016).

Nel Libro della cocina, testo anonimo toscano collocato tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, si parla della preparazione De le lasagne:

Togli farina bona, bianca; distempera con acqua tepida, e fa che sia spessa: poi la stendi sottilmente e lassa sciugare: debbiansi cocere nel brodo del cappone o d’altra carne grassa: poi metti nel piattello col cascio grasso grattato, a suolo a suolo, come ti piace. (Frosini 1993, p. 60)

Si tratta di un “piatto non ordinario”, che anche nelle antiche mense viene acquistato già fatto dai lasagnai (cfr. Davidsohn 1956-1968, VI, pp. 88-89 in Frosini 1993, p. 61). Più tardi, Sabadino degli Arienti, nella seconda metà del Quattrocento, parla di lasagne in una sua novella, nella quale alcuni monaci bolognesi di S. Procolo mangiano attingendo da un contenitore molto caldo, chiamato catino (cfr. Montanari 2016). Nelle corti rinascimentali, come si legge nelle ricette di Bartolomeo Scappi, le lasagne fanno da contorno alle carni, mentre nell’uso popolare esse rappresentano un piatto complesso, nutriente e completo di cui si fa sfoggio in caso di ospiti o durante le festività (cfr. Montanari 2016).

Nel 1634, Giovan Battista Crisci pubblica a Napoli il libro La lucerna de’ corteggiani, che contiene la ricetta delle lasagne di monache stufate, mozzarella e cacio, nella quale per la prima volta questo piatto viene condito con un formaggio a pasta filata e poi cotto nel forno. In seguito all’unità d’Italia, nonostante l’assenza di questo piatto nella Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (1891), alcuni ristoratori bolognesi codificano la ricetta delle lasagne, che poi viene pubblicata da Paolo Monelli nel 1935, nel suo Ghiottone errante.

Nel 2003, l’Accademia italiana della cucina deposita la ricetta delle lasagne verdi alla bolognese presso la Camera di Commercio felsinea: la ricetta emiliana, infatti, prevede proprio che la pasta sia preparata con spinaci e poi condita con ragù alla bolognese, parmigiano reggiano, burro e besciamella; le lasagne bianche, invece, quelle con la sfoglia chiara, sono un tipico piatto carnevalesco della cucina napoletana che viene servito con ragù napoletano, polpette, ricotta, provola, pecorino, olio d’oliva (cfr. Massimo Lanari, Lasagne, l’eterna sfida tra Bologna e Napoli, www.lacucinaitaliana.it, 12/10/2015).

Un’etimologia incerta
Dopo il breve profilo storico appena presentato, torniamo al dubbio linguistico dei nostri lettori e cerchiamo di capire da dove proviene il termine lasagna. Il DEI riconduce lasagna al latino *lasania, da lasanum, ‘pentola’; lo stesso fa il GDLI, aggiungendo anche l’ipotesi dell’origine dal greco lavsanon, ‘treppiede da cucina’ e segnalando anche quanto indica Panzini, cioè che lasagna “è proprio parola nostra, benché incerta ne sia la etimologia, probabilmente dal lat. làsanum nel senso di ‘pentola’ (un supposto lasània, significherebbe pasta cotta nella pentola)”. Il DELI avanza l’ipotesi che lasagna possa avere la stessa origine di losanga ‘rombo’, che a sua volta potrebbe provenire dal gallico lausina, derivato di lausa, ‘pietra piatta’.

Altre volte l’origine di lasagna è ricondotta all’arabo lawzig, ‘dolce di mandorle’, dal pahlevi lawzēnak, derivato da lawz ‘mandorla’; anche l’Etimologico segue quest’ipotesi e parla proprio di una preparazione dolce con diversi strati di pasta farciti con mandorle, zucchero e spezie. Carlo Alberto Mastrelli osserva, in particolare, che questa tesi, di contro a quella che riporta l’origine di lasagna al lasanum, dunque alla pentola (come pasta cotta, appunto, in pentola), trova un suo fondamento nella cultura materiale, poiché è riconducibile, come già visto, alla losanga: ed è proprio a fette quadrate che il dolce arabo in questione viene solitamente servito. Sempre Mastrelli, inoltre, sulla base di uno studio di Alice Vollenweider, specifica che anche nei più antichi ricettari francesi e italiani (a partire dal sec. XIV) si legge di preparazioni a più strati simili alle lasagne, servite proprio a fette quadrate. È sempre in questo periodo, poi, che si attesta la presenza di lasagne al di fuori dei confini italiani: in Inghilterra, ad esempio, fino al secolo XV, le lasagne vengono chiamate loscyns, losens o ancora losyngys, termini che identificano preparazioni diversificate la cui caratteristica comune è la forma romboidale. Si parla di pasta al formaggio come di “sfoglia di pasta sottile come carta”, “sottili sfoglie di pasta a forma di losanga, grandi quanto una mano” che vengono fritte come bigné, o ancora di dolci composti di losanghe di pasta e pasta di mandorle. (Sabban-Serventi 2011)

A questo proposito, è interessante considerare anche la testimonianza fornita dal dizionario di John Florio, A world of wordes (1598), nel quale la lasagna (al singolare) è definita A kind of thin paste meate used in Italie.

Si ha, così, conferma che la circolazione di questo piatto era già consolidata anche al di fuori dei confini italiani, in questo caso nell’Inghilterra di fine Cinquecento. E si hanno tracce in area francese anche nel Seicento: nel Thresor de la santé, infatti, ci si riferisce proprio alla preparazione dei losans di pasta, tagliati in forma di losanghe (Sabban-Serventi 2011).

Nonostante tutto, Mastrelli non si dimostra totalmente convinto dell’ipotesi legata alla forma della losanga, visto che nei dizionari dialettali di alcune aree mediane si attestano forme quali rasagna e rasagnolo, rispettivamente riferite a ‘lasagna’ e ‘mattarello’ con r- iniziale al posto di l-; si potrebbe pensare, perciò, a un’altra possibilità per cui le forme con r- potrebbero risultare da un incrocio con la forma verbale *rasclare, nel senso di ‘spianare, stendere la pasta sfoglia’ e lagano ‘lasagna, schiacciata’. Quest’ipotesi potrebbe essere esclusa se si considera che in queste zone molto spesso l’uso di r e l (cioè, le consonanti liquide) si confondono (cfr. AIS 984).

Le ipotesi sull’etimologia di lasagna restano aperte: comprenderne le origini, comunque, potrebbe aiutarci a formulare una risposta ai dubbi dei lettori riguardo alla distinzione nell’uso della forma singolare (lasagna) e della forma plurale (lasagne). Come appena visto, la forma singolare lasagna, dal punto di vista semantico, potrebbe più spesso accostarsi alla losanga, cioè, alla forma quadrata. Come vedremo più avanti, invece, con le lasagne al plurale ci si riferisce il più delle volte al piatto preparato, cioè all’insieme delle strisce di pasta di forma quadrata (o rettangolare) messe insieme con diversi condimenti, oppure, secondo altre interpretazioni possibili, alla fetta quadrata, dunque a forma di losanga, che si taglia per essere servita. Non si esclude, però, che in alcuni casi tra le due forme ci sia un rapporto di sinonimia: esse, cioè, potrebbero essere usate indistintamente per riferirsi al piatto completo, soprattutto in contesti informali o nel parlato. Altre volte, invece, entrambe le forme sono impiegate con altri significati oltre a quello culinario. Resta, quindi, un’ambiguità nell’utilizzo di lasagna e lasagne, che si riscontrerà anche negli altri contesti qui di seguito considerati.

Nella lessicografia
La prima comparsa nei vocabolari riguarda la forma plurale lasagne, che, messa a lemma, si trova già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) col significato di “pasta di farina di grano, che si distende sottilissimamente sopra graticci, e si secca, per cibo”. Un riferimento a questa preparazione compare anche nella pala dello Stritolato, Accademico della Crusca dal 1586: insieme al motto petrarchesco come m’ha concio il foco, l’immagine raffigura il telaio quadrangolare che si usava mettere nel forno per la cottura delle lasagne, affinché l’impasto, appunto, non si “stritolasse”, cioè non si rompesse a causa del fuoco.

Qualche anno dopo, Adriano Politi, proprio sul modello degli Accademici della Crusca, inserisce nel suo Dittionario toscano compendio del Vocabolario della Crusca (Venezia, Guerigli e Bolzetta, 1615), la voce lasagne, con la stessa definizione della Crusca.

Nel Settecento, la quarta edizione del Vocabolario degli Accademici mette a lemma il singolare lasagna, sempre con la stessa definizione, ma con molti esempi in più; succede lo stesso anche nella quinta impressione. Nel 1861 il Tommaseo-Bellini, alla voce lasagna, segue il modello della Crusca.

Nel 1905 il Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni di Alfredo Panzini (Milano, Hoepli) parla di lasagne verdi, come

specialità di Romagna e di Bologna, aggraziate con tartufi e regaglie, opulentate con tuorli d’uovo, ricamate con balsamella.

Nei vocabolari di oggi, la forma messa a lemma è sempre quella al singolare (lasagna), mentre i contesti segnalati (che rappresentano gli usi più frequenti) riportano più spesso la forma al plurale (lasagne). Nel Vocabolario Treccani, ad esempio, la voce è, appunto, lasagna (al singolare), ma si segnala un uso più frequente al plurale; il primo significato è quello culinario, perciò si parla di un piatto di lasagne; lasagne al sugo, al forno, alla bolognese; un pasticcio, un timballo di lasagne. Seguono, poi, altre accezioni, con riferimento alle decorazioni sulla divisa degli ufficiali, a indicarne il grado (un alto ufficiale, con tante l. sul berretto). Lasagna, al singolare, è usata anche per indicare una banconota di grosso taglio, come si legge anche nel terzo significato proposto dal DEI, nel quale la lasagna è un “buono da 5000 o 10.000 lire; dalla v. gergale che indica cambiale, per la lunghezza (cfr. bologn. lunghél buono da 5000 lire)”. Anticamente, poi, sempre con lasagna si indicava uno strato di cera con cui si spalmavano le forme di gesso. Nello Zingarelli 2021, la prima definizione della voce lasagna è sempre quella culinaria, di “pasta all’uovo a strisce larghe, che si mangia asciutta”, mentre è frequente l’uso al plurale nelle accezioni relative alle lasagne al forno (“lessate e disposte a strati, condite con ragù e besciamella e gratinate al forno”) e alle lasagne verdi (“in cui alla pasta sono mescolati spinaci lessati e tritati”). Come testimonia il GDLI, anche nell’àmbito della lingua popolare si parla di lasagne (al plurale) in locuzioni quali aspettare a bocca aperta che piovano in bocca le lasagne (volere qualcosa senza far nulla per ottenerla), cascare a qualcuno il formaggio sulle lasagne o le lasagne nel formaggio (avere un’occasione fortunata), nuotare nelle lasagne (essere favorito dalla fortuna), pioverci lasagne (grande abbondanza), oltre che nel proverbio chi fa lasagne nella farina altrui, fa un castello senza muro né fosso (chi nell’agire si disinteressa della reazione altrui, si espone a gravi pericoli); la forma singolare è presente in occorrere altro cacio a tal lasagna (necessitare di ben altre abilità e capacità per ottenere un certo risultato).

Sono interessanti anche gli usi figurati di àmbito gergale, nei quali si allude “agli strati farciti della pietanza”, a “portafoglio” (Devoto Oli 2021), quali lasagnetta e lasagnotta (al femminile singolare), lasagnotto (addirittura, al maschile singolare), oltre ai derivati lasagnaio (chi produce e vende lasagne), lasagnatore (tavola per la realizzazione delle lasagne), lasagnero (che è buono solo a mangiare lasagne), lasagnolo (termine regionale che indica il mattarello), lasagnino (varietà di cavolo utilizzata per zuppe e minestre), lasagnone (persona di grande corporatura, goffa e sciocca); è interessante notare che tutte le forme appena segnalate sono attestate fin dai testi più antichi (cfr. GDLI, Zingarelli 2021, Devoto Oli 2021).

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