Il presidente Dem dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini cerca di dare una scossa al Partito democratico. E in un’intervista a Repubblica ricorda al segretario Enrico Letta, se mai ce ne fosse il bisogno, che alle elezioni del 25 settembre si corre per vincere e non per perdere bene.
Il governatore che da più parti viene indicato come candidato alla successione Letta dice che vede «un po’ smunto» il suo partito, «depresso, scontento: come la convinciamo la gente così?», si chiede. «Io cerco di dare una scossa al Pd». E spiega che per provare a vincere «anche sorridere non basta». «Bisogna presentare proposte chiare e comprensibili». Tre esempi: «Una busta paga in più in tasca ai lavoratori e un salario minimo per chi oggi non è coperto da un contratto collettivo. Una forte spinta sulla transizione ecologica ed energetica perché significa bollette più basse e un pianeta più pulito per i nostri figli, a fronte della destra che vaneggia di nucleare senza dire dove e quando. Infine, più sanità pubblica».
Il presidente emiliano fa un discorso da segretario: «Non è un voto tra buoni e cattivi. Per me noi non siamo migliori, ma diversi. E molto più affidabili. Abbiamo sostenuto il governo nel momento della pandemia e della crisi energetica, mentre la destra ha rincorso i No Vax e poi mandato a casa Draghi, quando famiglie e imprese non riescono più a pagare le bollette da sole. Non è nemmeno un voto tra il bene e il male, ma tra proposte radicalmente alternative: noi stiamo con l’Europa dei diritti e delle libertà mentre la destra guarda a Putin, Orban e Bolsonaro. Noi vogliamo una società più giusta, meno diseguale, innovativa. La destra affida al mercato anche la scuola e la salute».
Poi conclude sulle alleanze, e anche qui è chiara la distanza dalle scelte fatte a livello nazionale da Letta. Bonaccini sogna un centrosinistra più largo, come in Emilia Romagna. «Governo una Regione con Pd, civici, Italia Viva, Azione, Sinistra italiana e Verdi. Le discussioni non mancano, figuriamoci, ma non c’è mai stato un giorno di crisi. Si può fare. Io voglio un Pd più forte in un centrosinistra più grande: non mi rassegno né alle divisioni né ai veti. E mi interessa poco il nome dei leader. Quello che interessa, e molto, è recuperare il voto di elettori che se ne sono andati».
Ma il segretario del Pd Enrico Letta, rilasciando un’intervista alla Stampa, spiega la sua idea di rimonta. Dice che è possibile recuperare rispetto alla destra, ma solo grazie all’avanzata dei Cinque Stelle. «Al Sud il centrodestra perde colpi a favore dei Cinque stelle e questo nei collegi avvantaggia noi. Sono diventate contendibili zone che non consideravamo tali», dice. Di fatto è come se nel rispondere al bisogno di protezione di una fetta di popolazione, stessero sostituendo il Pd, gli fa notare Annalisa Cuzzocrea. «Non è così», risponde Letta, «perché è una dinamica legata al tracollo di Salvini nel Mezzogiorno. Sono voti in uscita dalla Lega, che è tornata quella di Bossi: sotto Roma non la vota più nessuno».
Intanto però le rilasciate da esponenti del Pd in questi ultimi giorni mettono in discussione la sua segreteria. «L’ultima fase della campagna elettorale è sempre piena di asprezze», ammette Letta. «Io rivendico un’unità vera da parte del Pd, profonda. Domenica mattina saremo a Monza con tutti i sindaci, il 23 in piazza del Popolo a Roma. Ho fatto di tutto per tenere unito questo partito e ci sono riuscito. Se pensa cos’era nel 2018, quando il Pd di Renzi arrivò al voto sfinito e lacerato dal suo stesso capo, vedrà la differenza».