A Milano arriva YapaQuel certo non so che

Se avete nostalgia dell'oceano, di legno e spiagge, di colori che virano tra avorio, mattone e tortora questo è in assoluto il posto che non dovete perdervi nella città dalle mille nuove insegne

Fin dal primo giorno, Yapa ha fatto sentire la sua voce: un ristorante estremamente raccolto, i cui tavoli in veranda si intravedono nella penobra filtrati da spesse veneziane. Un bancone totalmente a vista, dall’inizio alla fine, dove vengono declinati quasi tutti i piatti del menu, dal crudo, ai dolci, alla griglia. La prima cosa che si nota entrando è la postazione di Matias Sarli, esperto di miscelazione, pasticceria, food pairing e  cucina molecolare. La sua passione per l’ingrediente e la sensibilità verso l’universo della gastronomia non solo a livello di materia prima ma anche da un punto di vista tecnico si percepisce in ogni suo signature. Nomadic soul and nathural ethos, questo il claim di questo scrigno di eleganza, precisione e gusto. Una palette cromatica quasi monotono – più che apprezzata – grande matericità di ogni dettaglio, dalle pareti spazzolate alle sedie di corda, dai piatti con linee morbide ai taglieri di pietra nera. E sullo sfondo, la brace infuocata della griglia che sfiamma.


Matteo Pancetti
, chef e patron, ha saputo ricreare l’atmosfera vibrante e carismatica del Sud America, unita alle sfumature esotiche della cucina asiatica con un tocco mediterraneo che lo tiene connesso – anche se per un piccolo lembo – alle sue origini toscane. Formatosi a fianco di Sergi Arola – a sua volta allievo di Ferran Adrià e Pierre Gagnaire – si riconoscono nei suoi piatti la precisione di finitura, l’esattezza del taglio, la ricercatezza nella presentazione e, non ultimo, la pienezza di gusto. Anzi, in realtà, quello che si vive nella maggior parte dei bocconi è quello che in gergo tecnico ci piace definire come “effetto wow”. Perchè quando un piatto è composto da 5 salse diverse, un succo, una crema, due germogli, una parte croccante, una parte liquida spesso ci sembra troppo e confuso. In realtà, in questa proposta che definire nikkei sarebbe riduttivo, ogni ingrediente è al posto giusto e nella giusta quantità. Anche se non lo conosciamo così bene, verrebbe da dire che il rapporto di Pancetti con il cibo, con la materia prima che porta nel suo ristorante e lavora è intimo, quasi spirituale. Sedersi al bancone di Yapa – tutta la vita bancone in locali dove le preparazioni sono a vista – è come entrare in un viaggio a tratti mistico, a tratti emozionante ed emozionale. C’è una sincera cortesia e leggera riverenza da parte di ogni cameriere e membro dello staff che fa quasi parte di un altro emisfero. Non siamo soliti, né in qualità di osti né in qualità di clienti, dare/ricevere un’attenzione così calda e generosa. Forse anche questo fa parte di quel “nomadic soul” con il quale si descrivono loro stessi. Vedere una cucina intera muoversi con tanta precisione e sacralità dietro a un bancone fa quasi sentire in Giappone o in qualche ristorante perso nelle montagne cilene. Escapismo allo stato solido -e liquido grazie alla proposta del bar – realizzato con coerenza e concretezza.

Cosa si mangia da Yapa? I piatti sono suddivisi per modalità di preparazione / cottura. C’è una sezione di crudi che comprende anche marinati, ceviche e tiraditos peruviani. C’è qualche stuzzicheria più semplice come guacamole, pan tomate, chips di yucca e platano – a cui si aggiungono wok, nigiri, bakery, tacos, noodles, tempura. Se possiamo suggerire una sezione, vi consigliamo di non perdere i piatti di robatayaki. Tante opzioni, che fanno sicuramente venir voglia di tornare più di una singola volta, e completate da una notevole lista di specials del giorno. La sezione boucher infatti attinge dal mercato del fresco, specialmente per quel che riguarda il pesce. In un lunedì sera qualsiasi capita di trovare del tiradito di alalunga, un pastrami di spada o del denti alla robata. Ma ancora: agnello e t-bone di manza mora del Baltico. Sempre alla griglia, ma con porzioni più generose: collo di ricciola, collo di alalunga e lampuga. Vista la stagione, potrebbero arrivare anche delle chicche dal mondo vegetale, come dei freschi porcini.

Finalmente un posto che a Milano indica una svolta e lascia un segno. Un format coraggioso per la quantità di dettagli messi in gioco ogni sera ma assolutamente vincente già sulla carta. Il nome non poteva essere più azzeccato: Yapa è davvero qualcosa di più.

Tutte le foto courtesy Yapa

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