Commedia all’italianaLe mattane di Silvio mandano in crisi Giorgia con gli elettori, le opposizioni e l’Europa

Il discorso filoputiniano di Berlusconi è un problema per il nascituro governo di destra. Oggi Mattarella inizia le consultazioni e già ci si chiede quanto potrà durare un esecutivo così

LaPresse/Matteo Corner

Di Dino Risi manca il touch, la classe che i francesi definivano dinorisienne, ma è evidente che siamo dentro una commedia all’italiana, ai Mostri di questo inizio di legislatura, a leader che sembrano Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman: e mentre si deve formare il governo del Paese questi giocano a guardie e ladri.

Una commedia mediocre sulla quale Giorgia Meloni vuole subito far calare il sipario sostenendo che la linea di politica estera e di sostegno all’Ucraina non deve cambiare altrimenti il governo non lo fa nemmeno.

È la seconda puntata del famoso «non sono ricattabile» che puntava a sminare la prima bomba di Silvio Berlusconi ma ieri questi ne ha sganciata un’altra e più devastante perché sconfessa la linea europea sulla guerra di Putin. Un cosa enorme.

Lo zar di Arcore, tragica maschera di vecchio istrione, ormai rappresenta un problema per il nascituro governo Meloni e anche per la sussistenza dell’immagine europeista e atlantica che il governo di Mario Draghi ha sin qui garantito sulla guerra di Putin.

È un problema del tutto inatteso, per la leader di Fratelli d’Italia. E per il ministro degli Esteri in pectore, quell’Antonio Tajani braccio destro dello zar di Arcore che adesso ha un problema enorme in Europa e nel Ppe.

Al tradizionale pranzo che precede i vertici europei con Draghi e i ministri, Sergio Mattarella è stato ben attento a non far trapelare nulla del suo certo sconcerto per quanto sta avvenendo, avendo egli ben chiaro che rischia di provocare un inaudito smottamento dell’Italia verso posizioni radicalmente distanti da quelle del governo in carica ancora per qualche giorno.

E infatti prima Carlo Calenda, poi Enrico Letta e infine Giuseppe Conte hanno preso una durissima posizione, con la non piccola differenza che i leader di Azione e Movimento 5 Stelle, per una volta convergenti, hanno detto no all’ipotesi di Tajani alla Farnesina: meglio di niente ma forse si poteva fare di più.

La questione è molto seria, in effetti, perché ovviamente Forza Italia non può dissociarsi dal suo padre padrone e dalle sue frasi contro Volodymyr Zelensky (registrate sempre dall’agenzia Lapresse) – tra l’altro accolte da un applauso degli astanti, i deputati azzurri – e sulla responsabilità dell’Ucraina, è chiaro che quella dello zar di Arcore è sostanzialmente la linea dello zar di Mosca; e dunque c’è uno dei tre partiti del futuro governo che si colloca su una posizione filorussa e per questo accolta nel gelo dalle opposizioni. Ma anche dall’Europa, con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha immediatamente ribadito la linea europea: massimo aiuto all’Ucraina, anche con le armi.

L’Italia si va dunque staccando dall’Europa dopo lo tsunami del Cavaliere? Forse è troppo ma il problema c’è.

Chi ha fatto uscire il discorso putiniano di Silvio? A questo punto importa poco. Per quanto la destra possa far girare la tesi che Berlusconi non sia più in sé, il problema resta, e sul groppone ce l’ha in primo luogo Meloni, che non è difficile immaginare furibonda, d’altronde già ieri sul Corriere della Sera Paola Di Caro ha riferito una sua frase inquietante – «Vogliono rendermi la vita difficile» – ed ha perfettamente ragione, in questi giorni stiamo vedendo solo le prime imboscate con le mattane di Silvio accompagnate dall’eloquente silenzio di Salvini che si starà godendo lo spettacolo e in questa commedia all’italiana potrebbe persino assurgere all’inedito ruolo di mediatore.

In serata un già ammaccato Tajani ci ha messo una pezza giurando fedeltà alla linea dell’Europa. Peccato che il suo dante causa, lo zar di Arcore, non faccia lo stesso.

Oggi Mattarella inizia le consultazioni per la formazione di un governo che nasce malissimo e che già ci si chiede quanto potrà durare. Il fondatore della destra non molla: prima i foglietti con gli epiteti su Giorgia, poi i depistaggi pro-Casellati, ieri l’adesione alle ragioni dell’amico Vladimir: nemmeno Cassius Clay potrebbe reggere queste bordate. E lei non è Cassius Clay.

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