Poco più di cinque anni fa, tra numerose proteste in vari Paesi europei, veniva applicato, seppur in maniera provvisoria, l’accordo commerciale di libero scambio tra Canada e Unione Europea. Il CETA è un trattato commerciale molto articolato che elimina i dazi su circa il 98 per cento degli scambi commerciali, migliora l’accesso al mercato dei servizi e introduce la tutela per le indicazioni geografiche.
Non è stato ratificato da ben 11 Paesi tra cui l’Italia, presto saranno 8 visto che Francia, Germania e Belgio sono al lavoro per completare il processo di ratifica. A distanza di cinque anni, è possibile fare un primo bilancio sull’accordo di libero scambio e sugli effetti che ha avuto per le due economie. Dall’entrata in vigore provvisoria del CETA, le esportazioni europee verso il Canada sono cresciute del 26 per cento, mentre il totale degli scambi bidirezionali ha toccato quota 60 miliardi di euro.
Come sottolineato dal Commissario europeo per il commercio Valdis Dombrovskis in occasione della celebrazione dei cinque anni del Trattato, a questi numeri si aggiunge la possibilità per l’Ue di avere un accesso privilegiato al mercato dell’energia e delle materie prime di un Paese esportatore come il Canada. Le importazioni europee di energia da Ottawa sono aumentate del 70 per cento tra il 2016 e il 2021, così come sono sensibilmente aumentate anche quelle di alcune materie prime fondamentali per l’industria europea come uranio, zinco, nichel e rame. Al tempo stesso, continua a espandersi lo scambio di beni, tecnologie e servizi.
Non stupisce quindi che nelle ultime settimane di agosto, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz si sia recato in Canada insieme ai rappresentanti di alcune delle più grandi aziende del Paese. La missione istituzionale ha portato alla definizione di un accordo simbolico per una maggiore cooperazione nello sviluppo di combustibili a idrogeno ma è facile immaginare che, informalmente, si sia parlato anche di gas naturale.
Il Canada, infatti, è il quarto produttore mondiale di gas, anche se attualmente non è in cima alla wishlist tedesca dei possibili fornitori, perché non ci sono strutture per inviare spedizioni in Europa senza passare attraverso gli Stati Uniti.
I benefici per l’Italia
I numeri del nostro Paese sono superiori rispetto alla media Ue. Le esportazioni italiane di merci verso il Canada sono cresciute del 36 per cento negli ultimi cinque anni, a fronte di un incremento medio dell’export made in Italy del 16,8 per cento nel resto del mondo. A registrare i risultati più importanti sono settori come la moda, l’agroalimentare, i macchinari, i veicoli e i mezzi di trasporto, che da soli rappresentano oltre il 60 per cento delle esportazioni verso Ottawa e dintorni.
Per quanto riguarda gli scambi bilaterali, l’Italia è il secondo fornitore europeo del Canada dopo la Germania, mentre guardando al solo settore agroalimentare il nostro Paese si trova al primo posto, quarto a livello mondiale.
Nonostante questi numeri, l’Italia continua a essere tra gli 11 Paesi UE che non hanno ancora ratificato l’accordo.
A esprimersi in maniera netta contro il CETA negli ultimi anni sono stati in particolare FdI, Lega e Movimento 5 Stelle. Il partito ora guidato da Giuseppe Conte fece addirittura approvare da alcuni Comuni a guida pentastellata una mozione contro la ratifica del CETA. Un’operazione ovviamente inefficace, visto che gli accordi di libero scambio con Paesi terzi sono di competenza esclusiva dell’Ue.
Anche i principali partiti che andranno a comporre il nuovo governo si sono espressi in maniera contraria all’accordo di libero scambio, con Giorgia Meloni che non troppo tempo fa definiva il CETA un trattato pessimo. Questa forte resistenza, condivisa anche dalla Lega, deriva dai timori legati alla salute e alla sicurezza alimentare, ma soprattutto da un concetto di mercato protezionistico che fatica a intravedere le opportunità di questo tipo di accordi.
Sul tema sicurezza alimentare, le censure di questi partiti non paiono cogliere il segno considerando, ad esempio, che l’Europa stessa si è imposta impedendo la diffusione nel mercato unico di carne canadese trattata con ormoni. L’accordo prevede inoltre che entrambe le parti mantengano la capacità di esigere il rispetto di norme sanitarie e fitosanitarie all’importazione di alimenti, animali e piante al fine di proteggere la salute e la sicurezza, tutelando i propri cittadini dall’introduzione di organismi nocivi.
Lascia non poche perplessità anche l’argomento relativo alla concorrenza e al timore che le eccellenze alimentari nostrane potessero essere danneggiate dall’accordo. Al contrario, con l’introduzione del CETA viene garantito il riconoscimento di oltre 140 indicazioni geografiche europee in Canada, vietando l’apposizione sui prodotti canadesi di simboli e imitazioni fuorvianti come la bandiera italiana o frasi come «Made in Italy», mettendo un freno in questo modo al fenomeno dell’italian sounding.
Dopo cinque anni, insomma, si può dire che le ripercussioni dell’accordo di libero scambio sulla crescita e sull’occupazione europea siano positive e che il CETA non sia quel mostro famelico che qualcuno aveva immaginato. Il nuovo governo dovrebbe sgombrare il campo dalle questioni ideologiche e inizi a ragionare sui benefici che i trattati commerciali di questo tipo, con le giuste attenzioni, possono portare a Paesi fortemente vocati all’export come l’Italia.