Lo “Stato dei servizi climatici 2022” dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) ha messo una lente d’ingrandimento sulla regione alpina, una zona pesantemente colpita dalle conseguenze dirette e indirette della crisi climatica. Restringendo il campo, secondo l’agenzia dell’Onu, uno dei territori maggiormente a rischio è quello delle Dolomiti, soprattutto la provincia di Belluno. Il press test ha valutato l’idoneità climatica delle scelte politiche, degli investimenti e dei processi decisionali nelle aree esaminate, utilizzando il metodo “Serra” (Socio-economic regional risk assessment), che non si basa solo sulla componente climatica.
Cos’hanno evidenziato gli esperti? Nel periodo tra il 2036 (dieci anni dopo le Olimpiadi invernali, ricordiamo) e il 2065, a Cortina e in tutta la provincia di Belluno gli «eventi di neve bagnata» potrebbero rendere difficile – se non impossibile – praticare lo sci. Sulle Dolomiti, secondo lo studio, le temperature stanno aumentando a una velocità doppia (+2°C negli ultimi 120 anni) rispetto alla media globale, «con conseguenze drammatiche in termini di ritiro e scomparsa dei ghiacciai». In questa zona, il rischio climatico diretto potrebbe toccare il 6,2 per cento, mentre quello indiretto il 10,2 per cento.
«Alcune aree presentano combinazioni di rischi multipli a livelli più elevati, che dovrebbero essere considerate attentamente nella pianificazione. […] Sono presenti anche rischi per gli sport invernali. Ancora più rilevante è la combinazione di rischi elevati per il turismo estivo, con rischi da moderati ad alti sia per la distribuzione di energia elettrica, sia per gli sport invernali nell’area di Cortina», recita il report.
«L’Organizzazione meteorologica mondiale ha usato un modo forte e strategico di comunicare. Se avesse detto questa cosa in maniera diversa, il messaggio non sarebbe arrivato. Quello che dicono è vero: è pieno di pubblicazioni a supporto e di studi in atto», spiega a Linkiesta Antonella Senese, ricercatrice presso il dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano.
In un Paese normale, dinanzi all’ennesimo allarme della più importante organizzazione meteorologica del mondo, si prenderebbe nota e si rifletterebbe su come cambiare le cose nel minor tempo possibile. In Italia, però, scoppia la polemica. Figure totalmente estranee alla scienza, senza competenze in fatto di clima, sottovalutano e mettono in discussione il documento di un istituto delle Nazioni unite, lasciando prevalere interessi economici e timori. Un fatto ancora più surreale se pensiamo che le critiche allo studio dell’Omm sono giunte da persone che hanno la Marmolada a pochi chilometri da casa.
In un’intervista a Repubblica, l’ex sciatore alpino Kristian Ghedina ha detto: «Non so cosa succederà nel 2036. Sicuramente sarà un problema, ma dire che lo sci sia destinato a scomparire mi sembra un azzardo». Sempre a Repubblica, Enrico Ghezze, il titolare delle società degli impianti “Faloria” e “Cristallo” a Cortina d’Ampezzo, ha spiegato che «parlare nel breve di un cambiamento tale da rendere ingestibile la neve mi pare un’esagerazione». E poi ha rincarato la dose: «Calcolare le valutazioni climatiche in modo tale da poter parlare di cambiamenti radicali nel breve mi sembra eccessivo. Non ci si ricorda i record di neve: parlo di oltre 4 metri, solo tre anni fa».
Continuiamo. «Io penso che una previsione del genere sia un po’ azzardata. La ciclicità delle stagioni ci ha insegnato a non perdere le speranze», confessa a Repubblica Gherardo Manaigo, proprietario dell’Hotel de la Poste di Cortina. «Ci mancavano solo le previsioni meteorologiche dell’Onu. Come imprenditrice mi preoccupano molto di più la guerra e la situazione internazionale instabile che il cambiamento climatico», sono invece le dichiarazioni di Elisabetta Dotto, amministratrice dell’Ambra Cortina Luxury & Fashion Boutique Hotel.
Tra chiusure pandemiche, eventi climatici estremi, carenza di materie prime e crisi energetica, la frustrazione e le paure degli operatori turistici sono assolutamente comprensibili (oltre che condivisibili). Ma ciò non giustifica l’ennesima sottovalutazione di un rischio impossibile da non vedere, uno schiaffo agli sforzi della comunità scientifica internazionale e alle sofferenze di chi vive sulla propria pelle gli effetti della crisi climatica. Certe parole hanno un peso diverso se pronunciate tra le mura di casa o al microfono di un giornalista. Ghedina, Ghezze e tutti gli altri facevano prima a dire: «Evidenziare le conseguenze del riscaldamento globale significa fare cattiva pubblicità al turismo invernale nelle nostre zone». Il senso delle dichiarazioni sopracitate era quello. L’Omm sostiene che l’elettricità pulita debba raddoppiare entro i prossimi otto anni: perché nessuno si è soffermato sulle soluzioni per centrare questo obiettivo?
L’impatto della crisi climatica sugli sport invernali non è una novità emersa dall’ultimo report dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Oggi è quasi impossibile sciare su una pista innevata naturalmente al 100 per cento. E la neve artificiale non è una soluzione sostenibile. «In Italia, negli ultimi cinquant’anni, abbiamo notato una riduzione per decennio dell’8,4 per cento dell’altezza media della neve. In più, c’è stata una riduzione del 5,6 per cento della permanenza a terra del manto nevoso. Possiamo anche avere inverni con nevicate abbondanti, ma una primavera troppo calda vanifica tutto», sottolinea Antonella Senese.
Con un aumento medio di 4°C delle temperature globali, in Italia rimarrebbero operative poco più di 20 stazioni sciistiche: è la stima emersa da uno studio del 2020 del centro di ricerca Eurac. Entro la fine del secolo, secondo Michael Matiu (matematico dell’Eurac), le condizioni della neve a 2000 metri saranno identiche a quelle odierne a 1000-1500 metri.
Stando al report 2021 di Legambiente “Nevediversa”, nella maggior parte delle località montane italiane è atteso un incremento di temperatura tra i 2°C e i 3°C entro il 2050 (rispetto ai livelli attuali). «Le previsioni di sciabilità nei comprensori alpini descrivono una situazione piuttosto preoccupante su tutto l’arco alpino, con comprensori dove negli scenari peggiori la pratica dello sci risulterebbe in estinzione a fine secolo», si legge sul documento. Per questo motivo è necessario un ripensamento complessivo dell’offerta, «con strategie innovative che inneschino percorsi di rinaturalizzazione di ambienti fortemente artificializzati e recuperino un rapporto più equilibrato con l’ambiente».
«L’offerta turistica va ripensata per sfruttare in maniera virtuosa le risorse della montagna, la natura, il paesaggio: bisogna procedere nella direzione dell’ecoturismo. Gli albergatori, a volte, hanno un po’ le fette di salame sugli occhi», conclude Senese.