Ci sono mosse del corpo, posture, sguardi, risate e risolini, che tradiscono molto più di un discorso politico e fanno immaginare il futuro. L’altro ieri ad esempio al Senato, durante il dibattito sulla fiducia, Matteo Salvini era l’unico che faceva finta di non ascoltare Matteo Renzi.
Con gli occhiali inforcati, scriveva leggeva o faceva finta di leggere e scrivere sul cellulare. Il tutto mentre attorno a lui tutti sul banco del governo si slogavano le mascelle per le risate mentre il senatore del Terzo Polo metteva alla berlina il Partito Democratico. «La vostra non è opposizione, è masochismo», ha detto rivolto ai Dem. Meloni ha cercato di darsi un contegno ma poi ha spalancato la bocca in una sonora risata. Il collo del ministro degli Esteri Antonio Tajani non riusciva a stare dentro la cravatta per le risate. L’unico che imperterrito sembrava distratto era Salvini, che a un certo punto, vista l’ilarità dei suoi colleghi, si è tolto gli occhiali, ha poggiato il telefonino sul banco e ha fatto clap clap con le mani. Aveva mangiato la foglia.
Non che gli altri non avessero capito che l’opposizione di Italia Viva sarà ben diversa di quella dei Cinquestelle e dello stesso Pd. Il capo leghista però capiva che l’atteggiamento di Renzi potrebbe depotenziare in prospettiva qualunque sua manovra e protagonismo. Lo capiva anche il vecchio Silvio Berlusconi, che si faceva ripetere da Licia Ronzulli alcune battute di Renzi perché non le sentiva. Ma mentre i suoi senatori e ministri crepano di risate, lui stirava la pelle plastificata in un sorriso amaro. Intravedeva cosa accadrà al Senato quando si comincerà a fare sul serio e arriveranno i provvedimenti che contano, che avranno in pancia decisioni pesanti e soldi, tanti soldi. Con nove ministri senatori e chissà quanti viceministri e sottosegretari, Palazzo Madama diventerà un campo minato. Gli eletti del Terzo Polo, se ben piazzati nelle commissioni, possono far ballare il governo, mandarlo sotto o salvarlo, ovviamente in cambio di qualcosa che di volta in volta vedremo.
Scriveva l’altro giorno sulla Stampa Carlo Bertini, che di quel partito conosce bene le cose, «c’è un motivo per cui il Pd aspetta che si formino le commissioni per dare battaglia: la speranza è che il reclutamento a piene mani dal Senato per posti di governo e sottogoverno crei un testa a testa frequente, non tanto in aula, dove la maggioranza sarà più risicata ma avrà comunque una ventina di voti di scarto; quanto nelle commissioni parlamentari, dove i membri del centrodestra avranno spesso un margine sul filo a causa delle assenze dei membri di governo impegnati altrove». Ma per incidere davvero serve una unità di intenti tra le opposizioni, in aula e nelle commissioni: «E per ora si profila solo un asse Pd-M5s».
Renzi e Calenda hanno l’obiettivo e la convenienza di schiacciare il Pd sui grillini, facendo emergere due opposizioni: una massimalista e contraria a tutto e un’altra basata sulle proposte e le contestazioni di merito. Viene così a prefigurarsi un allargamento della maggioranza nelle commissioni del Senato su questa o quella misura. Succederà sulle riforme costituzionali lungo l’asse semipresidenzialismo-sindaco d’Italia. Ma questo è un tema non divisivo nella coalizione di destra. La musica potrebbe cambiare e cambierà quando si tratterà di affrontare questioni legate all’autonomia regionale e alle relative compensazioni tra nord e sud, alla tassazione fiscale, finanche sull’immigrazione. Cosa succederà presto, prestissimo, se i Paesi la cui bandiera sventola sulle navi Ong che raccolgono naufraghi in mare non sono disposti, come in passato, a prendersi, almeno in quota parte, quei disperati che partono dalle coste africane? Ci saranno ancora calorose strette di mano tra Meloni e Macron nei rooftop romani? E quando si tratterà di scegliere da parte stare tra Parigi e Berlino sullo scudo antimissile e gli interessi industriali si faranno sentire, filerà tutto liscio nel governo e nella maggioranza?
Siamo solo ai primi fotogrammi di un film che potrebbe essere breve o lungo. Giocheranno tante variabili e fattori che attraverseranno le commissioni parlamentari e potranno esaltare o annullare i contrasti della destra. Ecco, mentre parlava Renzi, Salvini aveva chiaro che i suoi margini di manovra saranno strettissimi. Il leader di Italia Viva non parlava solo a Enrico Letta e a un partito che sembra un pugile suonato in un angolo del ring. Parlava al pezzo minoritario della maggioranza, ai leghisti, al capo seduto accanto a Meloni. Lei si lamenta che si parli male del suo governo all’estero? «Presidente Meloni, lo dica a chi le sta accanto, al vicepresidente del Consiglio che andava nelle piazze straniere durante il referendum costituzionale a dire ’Renzi a casa’».
Nel Vietnam del Senato potrà succedere di tutto. La Lega e Forza Italia potrebbero frenare sul rifinanziamento e l’invio delle armi in Ucraina e dare seguito alle parole filo-Putin di Berlusconi e a quelle del capogruppo del Carroccio autorizzate da Salvini. Massimiliano Romeo, durante la dichiarazione di voto sulla fiducia al governo, ha sostenuto che fatica a sentire che sulla guerra e sulla pace decideranno gli ucraini. «Certo, va rispettata la loro volontà ma meglio dire che decide la comunità internazionale nell’interesse dell’Ucraina. Insieme a Francia e Germania, siamo tra i Paesi che, di fronte a un conflitto incessante, rischiano di più». Parole che hanno provocato la dura reazione di Kyjiv, affidata al portavoce del ministero degli Affari esteri ucraino Oleg Nikolenko: «In quasi tutti i Paesi ci saranno politici che cercheranno di compiacere Putin».
Meloni ascoltava perplessa Romeo, meglio per il momento farsi una risata con Renzi.